Io e Lei (8)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Ottava puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura. Racconta del mio primo libro non di genere, e di alcune tesi di laurea che parlano dei miei primi romanzi pubblicati su Urania .

continua dalla settima parte


Quella di Laura Garonzi non è la prima tesi di laurea che abbia analizzato qualcosa scritto da me. Nel 2007 (ma io sarei venuto a saperlo più tardi), Claudia Gaudenzi aveva discusso all’università di Bologna una tesi dal titolo “Un percorso nella fantascienza italiana: la manipolazione del tempo”. L’autrice analizzava in maniera piuttosto diffusa alcuni miei testi: Ai margini del caos, Radio aliena Hasselblad e Torino.

[Ricciardiello] riesce a […] comporre alcuni interessanti esempi di storia “mista” imperniati su esperienze di totale immersione entro le vicende legate ad Hitler e i suoi accoliti durante gli ultimi giorni del nazismo, in un piccolo ciclo composto da due romanzi, Ai margini del Caos e Radio Aliena Hasselblad, che aggiungono un tassello alla già vasta produzione internazionale del “fantanazismo”, elaborando nel contempo una teoria epistemologica non convenzionale sulla ambigua consistenza della realtà, aiutato dalle possibilità speculative del medium fantascientifico.

Il testo analizza dettagliatamente la trama dei due romanzi pubblicati su Urania. Nel capitolo L’implosione della Storia l’autrice si occupa di Ai  margini del caos:

Il rapporto tra una realtà apparente dominata dal Bene, ed una “Altra” dominata dal suo principio antagonista, potrebbe autorizzarne l’accostamento alle realtà differenziate della teoria degli universi paralleli: Vic è in grado di varcare il confine tra la realtà fenomenica e quella effettiva grazie alle sua sensibilità accentuata ma passiva, con l’intervento di un catalizzatore come il quadro di Böcklin.
Quella percepita da Vic sarebbe una verità simile a quella di Dick: una soprarealtà illusoria che nasconde la vera natura del mondo in cui il Terzo Reich ha vinto la guerra.
Indipendentemente dal contenuto di queste idee, ciò che continua a mantenere salda la realtà illusoria è la crisi definitiva, la fine della percezione lineare, visiva del mondo, sostituita da una percezione multimediale plurisensoriale non più limitata alle categorie spazio-temporali euclidee.

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Io e Lei (6)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

La sesta puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura è presa dalla prefazione al romanzo “Radio Hasselblad”, che ho reso disponibile in autopubblicazione dopo che è uscito dal catalogo Mondadori: racconta l’inizio del nuovo millennio, la pubblicazione di “Aux frontières du Chaos” in Francia presso Gallimard, e poi altre traduzioni in Francia e Grecia; termina con la vittoria al premio Gran Giallo Città di Cattolica.

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Io e lei, parte III

(da Franco Ricciardiello, “Radio Hasselblad”, 2015)

Il nuovo millennio si apriva per me sotto i migliori auspici. La notte di San Silvestro inaugurai l’anno 2001 iniziando la lettura di Mason & Dixon di Thomas Pynchon, acquistato un mese prima e messo da parte per l’occasione. Oramai la fantascienza aveva uno spazio sempre minore nelle mie letture. A Pynchon ero arrivato grazie alla “guida schematica” scritta da Richard Kadrey e Larry McCaffery in appendice al volume rilegato Cyberpunk curato da Piergiorgio Nicolazzini per l’Editrice Nord. Già qualche anno prima avevo letto V. e L’incanto del lotto 49, anche se fu L’arcobaleno della gravità  a cambiare la mia idea di letteratura. Da Pynchon in poi il mondo aveva un sapore nuovo, e lo sterminato continente postmoderno sul quale mi affacciai (DeLillo, Wallace, Gaddis, Vollmann, Rushdie, Eco, Chandra, Murakami, Mo Yan e molti altri ancora) è ancora in buona parte da esplorare.

Il 18 gennaio 2001 apparve nella collana Imagine della casa editrice Flammarion il romanzo Aux frontières du chaos, edizione francese di Ai margini del caos. Avevo ottenuto dal traduttore Jacques Barbéri di supervisionare in anteprima il testo. In primavera fui invitato ufficialmente alle Utopiales a Nantes, grande appuntamento della fantascienza transalpina, insieme a autori di tutta Europa. In Francia era davvero il momento degli italiani, grazie al fantastico exploit di Valerio Evangelisti che ci aveva trascinati con sé, a partire da Luca Masali che ebbe un buon successo con la traduzione di I biplani di D’annunzio.

Aux frontières du chaos Gallimard, 2001

Non era la prima volta che partecipavo a un congresso francese: ero già stato a quello di Nancy e anche a Poitiers, in entrambi i casi insieme a Nicolazzini, che era divenuto il mio agente letterario, e ogni volta avevamo fatto tappa a Parigi. In una di queste occasioni ci recammo in visita alla sede di Flammarion, che allora era in rue Racine, pieno Quartiere latino; incontrammo l’editor Jacques Chambon, che purtroppo sarebbe morto prematuramente pochi anni dopo. In occasione della presentazione al pubblico dell’antologia Fragments d’un miroir brisé, raccolta di autori italiani selezionati da Evangelisti, conobbi un altro editor, Doug Headline, e anche Cesare Battisti, che in quegli anni non era ancora famoso perché la sua latitanza non sembrava indignare che i pochi che in Italia si ricordavo di lui. Battisti era ben inserito nel milieu letterario parigino, e pubblicava romanzi neri per Payot.

Il 2001 fu un anno anomalo nella mia carriera: l’unico in cui fui pubblicato solo all’estero e non in Italia. Sulla raccolta Utopiae 2001- Fin de l’Odyssée? apparve Torino nella traduzione di Éric Vial. Intanto Aux frontières du chaos raccoglieva in Francia molte recensioni, quasi tutte positive; quella su Litteraire.com, a firma di Isabelle Roche, arrivò a commuovermi:

Au fond, c’est la sensation confuse que ce roman n’obéit à aucun des codes romanesques habituellement en vigueur qui dérange tant. […] L’expérience qui constitue la lecture de ce livre se situe, elle aussi, “aux frontières du chaos”. In fondo, è la confusa sensazione che questo romanzo non obbedisca a nessuno dei codici romanzeschi in vigore che disturba tanto. L’esperienza che costituisce la lettura di questo libro si situa, essa stessa, “ai margini del caos”.

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Mare della Tranquillità

di FRANCO RICCIARDIELLO

Quell’estate, eravamo probabilmente già tornati dalle ferie che trascorrevamo al paese di mio padre. Ogni anno percorrevamo in auto la dorsale della penisola, l’autostrada del Sole, e tornavamo in tempo per l’anno scolastico. Nel ’69 però le scuole avrebbero riaperto il 1° ottobre, dunque oltre due mesi dopo il nostro rientro; per cui siamo probabilmente tornati a causa dell’attività di mia madre, una rivendita di giornali, un commercio che negli anni Sessanta prevedeva pochissimi giorni di chiusura festiva — in un anno si potevano contare sulle dita di una mano. Quando eravamo in vacanza, doveva rimanere in edicola mia nonna, aiutata da mia cugina prima Patrizia, che viveva con noi perché i suoi genitori erano in Nigeria, nella vasta comunità italiana che lavorava nei grandi cantieri edili. Avevano tentato di portare con sé le due figlie, ma l’infuriare della guerra del Biafra li aveva convinti a rispedirle in Italia.

Questa è probabilmente la ragione per cui ci trovavamo a casa e non in ferie il 20 di luglio, la notte dello sbarco sulla Luna. Mio padre era un entusiasta autodidatta, interessato alle questioni scientifiche; aveva indotto me e mio fratello minore a seguire fino dall’inizio la missione Apollo 11. Conoscevamo i nomi dei membri dell’equipaggio, Armstrong, Aldrin e Collins, riconoscevamo il profilo del razzo Saturn e ci era famigliare anche la forma del Lem, il modulo di atterraggio Eagle che portò due uomini dall’orbita lunare alla superficie del satellite. Sapevamo invece poco o nulla del contemporaneo programma spaziale sovietico, molto più avanzato e superato solo negli ultimi mesi dalla Nasa, e pertanto abbandonato; per ragioni politiche, a mio padre non interessavano i russi.

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L’infinito caos dei generi: Franco Ricciardiello fra giallo e fantascienza. Seconda parte

di CLAUDIO ASCIUTI

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Seconda parte della postfazione all’edizione eBook di Cosa Succederà Alla Ragazza.

 

3. Altri racconti: giallo tradizionale e fantascienza, cyberpunk, memorie e clonazione.

Abrar Khan, Malmö (Svezia), “I gemelli”

Nel decennio che separa  La rocca dei celti dalla vittoria al Premio Urania 1997, R. continuò la sua attività di scrittore di racconti, fra i quali vogliamo ricordare Archeologia[1], un vero e proprio giallo fantascientifico, Saluti dal lago di Mandelbrot[2], un racconto cyberpunk dalle atmosfere noir e Se io fossi Escherichia coli[3], sul tema della clonazione, approfondimento e divagazione a proposito dei concetti espressi nel romanzo. I primi due racconti sono particolarmente interessanti perché mostrano la duttilità della scrittura di R. e la capacità di piegare il linguaggio alle esigente del contenuto.

Sebbene R. non ami in modo particolare il giallo classico, Archeologia si manifesta come una riproposizione del modello del romanzo-enigma ambientato in un luogo circoscritto, alla Agatha Christie; il tradizionale delitto della “camera chiusa”, insomma. In questo caso la piccola “comunità” dove si svolge la storia è un gruppo di amici che giocano con la “commutazione”, un procedimento che trasla l’essenza di una persona nel corpo di una seconda, con un sistema casuale e a rotazione, sesso per sesso, e assoluto anonimato. Il protagonista Finn accetta di giocare con la moglie Franziska; nel suo gruppo di amici intimi, dove già Hannibal, il primo marito, dieci anni addietro era stato misteriosamente assassinato mentre si stava riprendendo dalla commutazione. Finn avverte da subito una strana atmosfera, e ha la sensazione di essere invischiato in un gioco più grande di lui; e infatti la commutazione ha un risultato particolare, Finn trasla nel corpo di una donna, Tersicore; e ci resta, fino a quando il suo corpo-Finn non muore quasi accidentalmente, e un altro corpo non afferma di essere lui l’essenza di Finn. Finn adesso è rimasto rinchiuso nel corpo di Tersicore, e Tersicore è morta. Alla fine si scopre l’assassino, ma a questo punto il sapere che si tratta di Tristram, dentro cui abita l’essenza del defunto Hannibal, non ha importanza; è importante invece la perfetta struttura classica da giallo classico, la complessa psicologia dei personaggi e dell’azione, e la curvatura della memoria (o sarebbe meglio dire: delle memorie) che aveva già una grande importanza ne La rocca del Celti, e che continuerà ad averne ancora in seguito.

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L’implosione della Storia / 2: «Radio Hasselblad»

di CLAUDIA GAUDENZI

La conclusione del piccolo ciclo di Ricciardiello sulla storia del nazismo è costituita dal romanzo Radio Aliena Hasselblad.[1]

Attraverso un evento particolare, cioè la caduta di un fulmine su un traliccio dell’alta tensione durante un concerto rock, un misterioso “raggio verde“ colpisce la cantante sul palco, Kimberley Miranda. Il raggio le insinua nel cervello la personalità di un militare dell’esercito sovietico, il Generale Alpers, morto da più di trent’anni, la cui personalità è stata “ricreata” all’interno di un’unità senziente aliena in orbita attorno alla Terra.

– La cosa che mi è entrata in testa al concerto dice di essere un soldato russo di nome Alpers – continua Kim come se non avesse sentito. – Dice di essere morto quasi quarant’anni fa, però adesso si trova in orbita intorno alla Terra perché degli extraterrestri lo hanno resuscitato.
– Un ufficiale dei servizi segreti dell’Armata Rossa – conferma Roberta rassegnandosi, con la schiena ap­poggiata ai cuscini della poltrona. – Ha detto di chiamarsi Pavel Alpers, e di trasmettere via laser da un disco volante.
– Un disco volante! – ripete Kimberley guardando la TV, ancora accesa ma con il sonoro disattivato, e allora Roberta ricorda la notizia al telegiornale della sera, l’avvistamento di un Ufo nel cielo di Torino.
– Non è possibile, non è possibile… – ripete. – Non può essere vero…[2]

In realtà la “trasmissione” di Alpers era diretta alla fotografa che sta riprendendo il concerto, Roberta, ex-moglie di un documentarista, Folco Cardini, che sta girando un servizio sugli ultimi giorni di Hitler nel bunker della Cancelleria.

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