Io e Lei (5)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

La quinta puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura riproduce l’ultima parte della mia prefazione all’antologia “Compagno di viaggio” (Cordero Editore): la fine degli anni Novanta, e la vittoria al Premio Urania con “Ai margini del caos”.

continua dalla quarta parte


Io e lei, parte II

(da Compagno di viaggio. Dieci racconti di fantascienza di Franco Ricciardiello, Marco Cordero editore, Genova, Giugno 2015)

All’incirca nel 1997 cominciai a trovarmi insoddisfatto della letteratura che scrivevo. È un dato di fatto che leggevo sempre meno fantascienza e sempre più narrativa di altro genere, gialli e thriller oppure postmoderno. Paradossalmente dunque, negli anni in cui gli autori italiani passavano finalmente dal fandom all’editoria professionale, io sentivo il bisogno di cambiare. Non che il cambiamento mi fosse mancato negli ultimi tempi: nel ‘96 mi ero separato legalmente; nello stesso anno avevo smesso di lavorare per il sindacato aziendale ed ero tornato in produzione, chiedendo un cambio di mansioni dalla direzione generale alla rete di vendita; infine, avevo abbandonato gli studi universitari dopo avere superato poco più della metà degli esami. Forse il nuovo romanzo che iniziai a scrivere nel ‘97 si inseriva in questa esigenza di rinnovamento, alimentato dall’entusiasmo del corso di scrittura creativa.

Tutto iniziò con la lettura di un articolo su un periodico, la storia della celebre opera del pittore svizzero Arnold Böcklin: Die Toteninsel, “L’isola dei morti”, dipinto in cinque versioni definitive, oggi disperse tra i musei di Europa e America. L’articolo era molto approssimativo e conteneva imprecisioni, soprattutto nei nomi di luoghi e persone, ma raccontava di una incredibile influenza sulla cultura europea lungo tutto il periodo tra il romanticismo e la seconda guerra mondiale; questa enorme diffusione dell’immagine dell’Isola dei morti finì non solo perché era cambiato il paradigma culturale, ma anche perché una delle cinque versioni era proprietà personale di Adolf Hitler.

Decisi di scrivere un romanzo sull’Isola dei morti.

con Carlo Lucarelli all’Unipop di Vercelli

Avviai immediatamente ricerche per confermare e approfondire gli spunti trovati nell’articolo. La diffusione commerciale di internet era ancora agli albori, i motori di ricerca compivano i primi passi. Alla biblioteca civica trovai quattro volumi di grande formato, in lingua tedesca, stampati dalla Photographische Union di Monaco in una data non indicata, probabilmente agli inizi del Novecento: un catalogo dell’artista svizzero con informazioni sulla collocazione delle opere. Mi servì per ricostruire i passaggi di proprietà dei cinque dipinti dal momento in cui l’autore li aveva consegnati al committente e fino al 1997.

È più o meno a partire da quest’anno che Torino diventa il luogo di ambientazione privilegiato delle mie storie; a Torino vivono infatti i due protagonisti del romanzo, un giornalista free-lance e la moglie benestante di un docente universitario.

Ancora prima di iniziare la scrittura, mi posi il problema dello stile da utilizzare, anche grazie al lavoro fatto per l’enciclopedia. Mi venne in mente che avrei potuto impiegare la formula già sperimentata con il racconto Ombre di Imperi a venire, scritto tre anni prima e rimasto isolato nella mia produzione. Le caratteristiche di questo stile si possono riassumere in poche nozioni:

  • (1) il punto di vista è la terza persona immersa;
  • (2) il tempo grammaticale è l’indicativo presente;
  • (3) le parti di esposizione sono limitare allo stretto indispensabile, non più di poche righe, con l’inserto di frequenti “apocrifi”;
  • (4) la trama non è divisa in capitoli;
  • (5) mancano i segni grafici del dialogo, non ci sono cioè né lineetta né virgolette: che di un dialogo si tratti, si capisce dal contesto della frase.

Quest’ultima caratteristica non è certo invenzione mia, per esempio il Nobel José Saramago non ha mai usato segni per il discorso diretto; anzi la sua scrittura è ancora più radicale perché non va neppure a capo tra la battuta di dialogo di un personaggio e quella dell’altro.

La struttura del romanzo era organizzata non in capitoli bensì in “unità narrative” di alcune pagine ciascuna, separate da un’interruzione di pagina. Ogni “unità” (risultarono in totale poco meno di 90) conteneva almeno un’informazione che faceva avanzare la trama, oppure diceva qualcosa di nuovo a proposito dei personaggi. Le “unità” erano organizzate in cinque gruppi di lunghezza simile, e il passaggio da un gruppo al successivo era rappresentato da un’unità di lunghezza maggiore, un apocrifo scritto in prima persona da uno dei personaggi; tra ogni apocrifo e il gruppo successivo interveniva un’elisione temporale di qualche giorno o settimana nel tempo del racconto.

Sottoposi il risultato a Alberto Odone, Vittorio Barabino e a qualche altro amico, piacque. Non si poteva definire un romanzo di fantascienza, era un mystery o forse un thriller; però dovetti constatare che l’avevo scritto seguendo le convenzioni estetiche di genere, evidentemente radicate nella forma della mia scrittura. Mentre riflettevo su questo fatto (un romanzo mainstream scritto come se fosse science fiction), mi imbattei nel bando di concorso del Premio Urania 1997, che già da qualche anno aveva aperto agli autori italiani una via per arrivare alla pubblicazione sulla più prestigiosa e longeva collana italiana. Non avevo altre prospettive di pubblicazione, non sapevo muovermi nell’ambiente esterno alla fantascienza, per cui decisi di trasformare il romanzo perché potesse partecipare al concorso. Rividi interamente il testo e aggiunsi una serie di nuove unità in un blocco consecutivo: tutta la parte in cui Wendy, la trockista australiana, avanza l’ipotesi gnostica della “scimmia di dio” che poi è ispirata dall’Esegesi di P.K.Dick, più varie modifiche sparpagliate ovunque.

Anche il titolo non era ancora pienamente definito: titolo di lavorazione era L’amore ai margini del caos (possiedo ancora un dattiloscritto con questa intestazione), al quale ero giunto per esclusioni successive dopo L’amore ai margini del Reich (dopotutto l’argomento del romanzo erano gli ultimi giorni di Hitler nel bunker della Cancelleria) e Vittoria ai margini del caos (la protagonista si chiama Vic, Vittoria).

Prima della scadenza per l’invio del testo, Mirko Tavosanis mi chiese di leggere il romanzo. Ci incontrammo di persona nell’estate del ‘97, in Versilia, dove mi ero recato in vacanza con le mie figlie. Disse che la mia scelta di stile rischiava di essere troppo sperimentale per la giuria di un concorso dedicato a un genere così tradizionale; in sostanza, dovevo ripristinare i segni di dialogo. Le sue osservazioni furono risolutive, e penso che il successo finale al concorso sia anche dovuto a questo intervento.

Seguii il suo consiglio e mi accinsi a stampare il dattiloscritto con il titolo definitivo Ai margini del caos nel numero di copie richieste. Qui si presentò subito un piccolo problema che avrebbe avuto uno strascico abbastanza patetico. Il bando prevedeva che la lunghezza minima fosse 250 cartelle dattiloscritte (di 30 righe per 60 battute circa) per un totale di 500.000 caratteri: però 30x60x250 fa 450.000 battute, quasi il 10% in meno. Quando stampai il romanzo, con un’interruzione di pagina al termine di ogni unità, raggiunsi 252 pagine; nessuno dalla redazione né dalla giuria fece mai osservazioni sull’eventuale insufficiente lunghezza, tuttavia quando il libro venne distribuito un lettore scrisse sia al sottoscritto che a fantascienza.com denunciando che il mio testo non raggiungeva il limite minimo previsto. Non so se il lettore abbia contattato anche la redazione di Urania: però l’episodio è indicativo dell’idea che l’aspirante autore si fa del mondo dell’editoria, cioè che un testo sia immutabile e immune da pesanti revisioni prima della pubblicazione.

La scadenza per l’invio dei testi era fine novembre 1997; ricevetti la notizia della vittoria tramite una telefonata di Giuseppe Lippi, direttore responsabile di Urania, una di quelle notizie che ti lasciano euforico e stordito. Fui invitato a recarmi in redazione, presso la sede Mondadori di Segrate; ci si arrivava con una navetta in partenza dalle vicinanze di piazza San Babila a Milano.

Trovai un ambiente piuttosto diverso da come mi ero immaginato: la redazione dei periodici da edicola (che si occupava sia di Urania che di Segretissimo e del Giallo Mondadori) si trovava in un open space; era composta da cinque giovani donne coordinate da Fabiola Riboni, che mi parvero molto brillanti e dotate di un’energia che non riscontravo nei miei colleghi di lavoro. Fui stupito dell’interesse che destò il mio arrivo, e me lo spiegai solo quando l’editor Annalisa Carena mi svelò i retroscena, mentre ci trovavamo a pranzo insieme a Giuseppe Lippi, al direttore responsabile Stefano Magagnoli e a Valerio Evangelisti, sopraggiunto per l’occasione in quanto membro della giuria.

A quanto pare, la riunione di giuria per decidere il vincitore nella rosa dei finalisti era stata molto combattuta; credo ci fosse unanimità di giudizio sul mio romanzo, tuttavia c’era chi, come Vittorio Curtoni, riteneva che fosse di una qualità fuori standard rispetto a Urania e di conseguenza meritasse altro tipo di collocazione editoriale, e chi come Evangelisti e Lippi era convinto che rimandarlo a altra destinazione equivaleva a non pubblicarlo. La discussione stuzzicò la curiosità delle redattrici, che si fecero una fotocopia del testo per leggerlo. Pare che Annalisa Carena assicurasse alla fine, a nome della redazione, che nulla ostava alla pubblicazione nelle collane da edicola di un’opera non propriamente standard, se la giuria riteneva che meritasse il primo posto.

È così che ho vinto il Premio Urania.

Ipotesi di copertina scartata dalla redazione

Quel giorno a pranzo Evangelisti mi consegnò la sua copia di lettura, che ancora conservo, sulla quale è scritto di suo pugno Intelligente, ben scritto, avvincente, e il suo voto, 9. Annalisa mi fece presente che un paio di capitoletti si ripetevano identici due volte di seguito: nella fretta di stampare il testo avevo invertito le pagine, omettendone alcune e duplicandone altre.

Fu necessario apportare pochissime correzioni prima della stampa: Annalisa mi fece presente che per lo standard di Urania era essenziale una divisione in capitoli, così accorpai le unità narrative in capitoli numerati da 1 a 15. Per il resto non ricevetti altre osservazioni. Riuscii perfino a dire la mia sulla scelta della copertina, non credo che questo capiti a molti autori esordienti presso una grande casa editrice. La redazione aveva commissionato un disegno a Maurizio Manzieri, artista già apprezzato nel settore, che io conoscevo soprattutto di nome, perché nel 1980 avevamo pubblicato entrambi un raccontino sul volume dei finalisti del concorso letterario Nord. Secondo me il suo era il racconto più bello (Nessuno dei due vinse).

Maurizio Manzieri mi domandò una descrizione di Vic, la protagonista, e da quello produsse un disegno realistico e incantevole che non cessa di lasciarmi a bocca aperta: una giovane donna osserva in estasi L’isola dei morti appeso alla parete di un museo e si sente attirare all’interno del dipinto.

L’illustrazione creò di nuovo pareri discordanti in redazione, ci fu chi disse che sembrava un libro per signorine. Era veramente lontana dallo standard di Urania; per fortuna era terminato il tempo delle copertine di Karel Thole, che io ho sempre trovato tremendamente irritanti, ma ancora non era pensabile un’illustrazione che creasse confusione con un altro prodotto editoriale.

Illustrazione originale di Maurizio Manzieri per la copertina

Annalisa Carena fece quindi predisporre dallo studio grafico un’ipotesi alternativa di copertina che mi inviò per posta elettronica, chiedendo il mio parere. Si trattava dell’elaborazione a colori invertiti di un dettaglio dell’Isola dei morti, la barca con l’anima in piedi, di spalle, che si avvicina all’approdo tra i cipressi. La trovai gelida. Dava l’idea di una storia di fantasmi, e inoltre era tutta costruita unicamente sul contrasto tra il nero e il grigio.

Caldeggiai la scelta di Manzieri. Alla fine si decise di apportarvi qualche ritocco: la ragazza, che indossava jeans e T-shirt, si ritrovò vestita con un tubino nero; le braccia, che teneva incrociate dietro la schiena in una posizione che serviva a sottolineare la torsione del busto attirato nell’Isola dei morti, si distesero lungo i fianchi; infine i contorni dell’immagine furono sfumati in un’ombra che aveva il colore dell’inchiostro blu.

Da un paio d’anni Urania aveva una doppia distribuzione, sia in edicola che in libreria; i numeri della collana uscivano con copertina e contenuto assolutamente identici, ma con numerazione differente: Ai margini del caos portava quindi il 1348 in edicola e il 31 in libreria. La casa editrice aveva deciso di terminare l’esperienza in libreria a fine estate, ma la redazione aveva ottenuto di continuare almeno fino alla pubblicazione del Premio Urania, nel numero di novembre 1998.

Merito di questa fortunata coincidenza o merito della copertina di Manzieri, fatto sta che i risultati di vendita furono assolutamente lusinghieri, inferiori soltanto a I biplani di D’Annunzio di Luca Masali e ai volumi della serie di Eymerich. L’ultimo resoconto del 26 luglio 2000 riportava i seguenti dati:

Venduti: edicola 10.682 + libreria 6.405 = 17.267 copie vendute in totale
Copie distribuite omaggio = 537
Copie consegnate al circuito remainders = 12.751


Durante quella lunga giornata a Segrate, Valerio Evangelisti mi aveva avanzato un cortese avvertimento che avrei compreso soltanto di lì a qualche mese, dopo l’uscita del libro: “Non leggere i commenti sulla mailing list fantascienza, ti pentiresti”, mi aveva detto.

Purtroppo non seguii il suo consiglio.

La mailing list fantascienza era allora il veicolo più comune per commentare tutto ciò che riguardava l’editoria italiana[i], e una serie di argomenti attinenti alla science fiction. Io non partecipai che diversi mesi dopo, su invito, quando l’eco dei commenti si era già disperso; ma ci fu chi mi tenne aggiornato su quello che si diceva nel thread dedicato a Ai margini del caos.

In questo modo mi resi conto di due fatti. Il primo è che il romanzo piaceva soprattutto a chi era digiuno di fantascienza, come aveva predetto Roberto Sturm. Il secondo è che il mondo degli appassionati conduceva un dibattito di scarso spessore, concentrato non su aspetti narratologici o letterari, bensì su dettagli dell’ambientazione! Sarebbe inutile riportare certi commenti, se non fossero indicativi del clima di gelosia spicciola che ha sempre caratterizzato il fandom, frequentato più da aspiranti scrittori che da lettori: è significativo che durante una Italcon gli unici due fan presenti in sala che non avevano mai scritto fantascienza fossero chiamati sul palco della tavola rotonda, mentre tutti gli altri scrittori rimanevano in platea a fare domande.

Una delle puntualizzazioni più inutili e irritanti della mailing list era se Ai margini del caos fosse fantascienza o meno. Il testo aveva superato la giuria più qualificata che si potesse immaginare, era stato accolto nella collana più prestigiosa e diffusa interamente dedicata, eppure qualche fan sindacava sulla purezza della sua appartenenza al genere. Chi aveva ragione? Vittorio Curtoni, Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi oppure qualche fan di recente acquisizione più abituato forse ai film di effetti speciali che alla tradizione della letteratura di science fiction?

Uno dei miei personaggi fa un apprezzamento negativo su Rachmaninov, al contrario apprezza Céline Dion: un fan stigmatizza sdegnato come se fosse l’opinione dell’autore. In un’altra scena un personaggio afferma che si assenterà cinque minuti per andare in un certo luogo, un fan smentisce che possano occorrere solo pochi minuti per fare quel tratto di strada, come se fosse un errore di valutazione e non un modo di dire. La protagonista del romanzo (Vic) appare poco pratica nell’uso del computer, e il punto di vista (Nico) deve spiegarglieli: una fan lamenta il pregiudizio che la donna sia digiuna di informatica; questo è il rilievo più incomprensibile, perché considera il testo come un’opinione propria dell’autore; lo stile del romanzo prevede che l’esposizione sia ridotta ai minimi termini, quindi tutte le informazioni per il lettore devono passare attraverso i dialoghi dei personaggi, ed è narrativamente logico, quando il punto di vista è un personaggio diverso dal protagonista, che il flusso d’informazione proceda in questo senso.

Credo che la mailing list sia uno dei motivi principali della mia disaffezione verso la fantascienza; al tempo stesso devo notare però che non è giusto, perché lo stesso problema di scarsa maturità si presenta in qualsiasi discussione su blog o social network in cui i partecipanti possono contare sull’anonimato o sulla distanza – e non si limita naturalmente alla critica letteraria.


Intanto il romanzo procedeva molto bene, e il fatto che avessi vinto il Premio Urania rilanciava il mio nome dappertutto tra gli addetti ai lavori. Silvio Sosio mi chiese per Delos Books una raccolta di racconti già editi, che uscì in formato .pdf con il titolo Saluti dal lago di Mandelbrot. Raccoglieva due diverse antologie: Cronache dell’arabesco di pietra riuniva i sei racconti ambientati in Spagna che compongono un ciclo unico, con prefazione di Roberto Sturm destinata in origine alla pubblicazione su carta presso un editore di nome Furio Bellomo, della quale non si fece più nulla. La seconda raccolta era intitolata Ombre di Imperi a venire e riuniva altri racconti dal 1981 al 1998.

Pubblicai per la seconda e ultima volta su Futuro Europa, nel numero 24. Roberto Sturm curò un’antologia di racconti cyberpunk per Pequod, una casa editrice anconetana che si sarebbe fatta conoscere con il tempo: Sangue sintetico conteneva anche il mio racconto Combat film. Presentai in alcune occasioni pubbliche Ai margini del caos, in diverse librerie tra Torino, Milano e Genova; la più riuscita fu una serata al Trottoir di Milano, dove Andrea G. Pinketts e Andrea Carlo Cappi organizzavano serate culturali e incontri con gli autori: in una sala nel seminterrato gremita di partecipanti, con gente in piedi lungo tutte le pareti, Pinketts fece un elogio esagerato del romanzo, perfino imbarazzante, al punto che non fu quasi necessario che intervenissi io; meglio così, da sempre sono convinto che i libri siano più interessanti degli scrittori, e questo vale anche nel mio caso.

A quella serata intervenne anche Piergiorgio Nicolazzini, che nel frattempo aveva fondato un’agenzia di diritti letterari[ii], credo di essere diventato uno dei suoi primi clienti italiani; è grazie a lui se Ai margini del caos è stato tradotto e pubblicato in Francia. Un sabato pomeriggio d’estate, mentre ascoltavo musica sonnecchiando nella penombra del mio appartamento (le imposte erano chiuse perché il condominio era in manutenzione, lavori pagati grazie al compenso della Mondadori), una telefonata entusiasta di Nicolazzini mi annunciò che Flammarion avrebbe acquistato i diritti del romanzo per la traduzione in Francia, nella sua preziosa collana Imagine a cura di Jacques Chambon.

Aux frontières du chaos, Gallimard 2001

Il testo fu tradotto da Jacques Barbéri in una lingua semplice e efficace, tanto che mi sono sempre proposto di ri-tradurlo in italiano, in modo da depurare lo stile dei residui arcaismi di origine scolastica.

La prossima pubblicazione presso Flammarion e l’ingresso nel sistema di amicizie di Valerio Evangelisti, molto conosciuto e molto apprezzato in Francia, significava nuove possibilità per quel mercato, molto più vivace del nostro per quanto riguarda la pubblicazione di autori nazionali. Sull’antologia Fragments d’un miroir brisé dell’editore Payot et Rivages, curata da Evangelisti nel 2000, apparve la traduzione di Ombre di Imperi a venire, che per un caso bizzarro incontrò di nuovo difficoltà, come era accaduto con Franco Forte. Il curatore chiese a Evangelisti di cambiare l’incipit del racconto, piuttosto aggressivo:

Mentre l’Impero del Male viaggia a ritroso nel Tempo, frantumando i secoli del futuro prossimo con la forza cieca dell’incoscienza, Joyce Harrington osserva se stessa obbligata ad un rapporto orale con un uomo dai lineamenti sfumati da una protezione ottica.

Valerio Evangelisti giustamente si oppose: mutilare la prima frase avrebbe significato attutire la forza del racconto.


Quasi in contemporanea, Jacques Chambon curò insieme a Robert Silverberg un’antologia destinata al mercato francese, intitolata Destination 3001, per immaginare la vita nel trentunesimo secolo; io scrissi un racconto per l’occasione, L’hiver de Turing, finora l’unico caso in cui sono stato pubblicato prima all’estero che in Italia (l’antologia uscirà separata in due volumi nel 2004 presso Mondadori).

Fabio Zucchella, il responsabile della splendida rivista di critica letteraria Pulp mi domandò tramite Nicolazzini un racconto molto breve da pubblicare nell’ultima pagina; scrissi per l’occasione Esperimento sulla persistenza dell’immagine.

Il millennio si avviava al termine, ero ancora abbastanza richiesto sulle ultime fanzine in circolazione: Avatar di Lukha Kremonij Baroncinij, Intercom, Future Shock, ma cominciai a non trovare più nulla di interessante nella fantascienza. Poi arrivò la fine del millennio, e il nuovo secolo iniziò sotto i migliori auspici.

Il 18 gennaio 2001 Aux frontières du chaos uscì in Francia.

Franco Ricciardiello, Giugno 2015

5 – continua


Note

[ii] Oggi è la prestigiosa PNLA, Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency.

[i] Ancora non esistevano i “social”.

Pubblicità

Un pensiero su “Io e Lei (5)

  1. Pingback: Io e Lei (6) | AI MARGINI DEL CAOS

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.