Il più orribile delitto

A quattro anni dall’assegnazione del premio Nobel per la letteratura, e ben otto anni dopo l’album precedente, in piena pandemia da Covid-19 Bob Dylan pubblica un album bellissimo, Rough and Rowdy Ways, il numero 39 della sua sessantennale carriera: il brano di punta, Murder Most Foul, è una lunga ballata crepuscolare, la canzone più lunga che il cantautore abbia mai inciso (16’56”). Ad ascoltare il testo, tutt’altro che facile da interpretare, sembra che Dylan abbia deciso di raccontare in musica una sua interpretazione della storia degli Usa nell’ultimo mezzo secolo.

Come si intuisce dall’immagine che fa da copertina al singolo (e come ultima pagina nella busta del doppio vinile), il racconto prende le mosse dal grande evento traumatico della storia americana del dopoguerra: l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre del 1963, il giorno in cui l’America perde la propria innocenza, e anche l’atto di nascita dell’epoca postmoderna:

[…] quello fu il giorno che simbolicamente segnò la fine di una certo tipo d’ottimismo e ingenuità nella nostra coscienza collettiva, la fine di certe verità e garanzie che avevano contribuito a formare la nozione di ciò che dovrebbe essere la letteratura.

Larry McCaffery, Postmodern fiction. Bio-bibliographical guide (1986)

Già il titolo della ballata, con il suo sapore shakespeariano, è lì a indicare l’inizio di un’era di follia e paranoia:

«Murder most foul, as in the best it is. But this most foul, strange and unnatural»

William Shakespeare, “Amleto”, atto I scena V

Il testo è quasi recitato, con un atteggiamento da “fine dicitore”, su un arrangiamento minimale, pressoché improvvisato, quasi doloroso: percussioni, violino e soprattutto pianoforte, suonato da Fiona Apple in una sessione-fiume di sette ore consecutive. Il testo è la migliore dimostrazione che il Comitato per il Nobel non si è sbagliato nell’attribuire il premio a un cantautore.

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bob-dylan-nobelIngrato. Presuntuoso. Maleducato. Chi si crede di essere per non ritirare il Nobel di persona? Cos’ha da fare di meglio, la sera del più importante premio del mondo? Non merita il Nobel. Dovevano darlo a Philip Roth. Dovevano darlo a Murakami Haruki. Dovevano darlo a Don DeLillo. Se volevano darlo a un cantautore, meglio Leonard Cohen.
Mi domando: ma quanti fra quelli che scrivono queste parole sul web hanno mai ascoltato una canzone di Dylan? Quanti hanno aperto un libro per leggere i suoi testi? Quanti si sono lasciati invadere dalla bellezza terrificante delle sue canzoni? Quanti si sono sentiti invadere dalla bruciante verità delle parole, come lui stesso canta in Tangled up in blue?

Quindi lei aprì e mi porse un libro di poesie
scritte da un poeta italiano del tredicesimo secolo,
e ciascuna di quelle parole suonava vera,
colava come carbone fuso tracimando da ogni pagina,
come se fosse scritta nella mia anima,
scritta da me per te

Foto © John Shearer, 2013

Il Nobel del Desiderio

L’ACCADEMIA DI SVEZIA HA SCELTO BOB DYLAN

dylan-giovaneLasciatemi dire che sono non soltanto contento, ma entusiasta per l’assegnazione del Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Certo, rimango sempre in attesa per Murakami Haruki l’anno prossimo, se non addirittura per Thomas Pynchon; ma Dylan ha un posto speciale nell’immaginario, nella cultura, e da oggi anche nella storia della letteratura. Oggi, appena letta la notizia, ho messo sul piatto il vinile di Desire — possiedo anche la versione CD, ma quanto mi mancano le copertine 30×30 dei long-playings… Senza contare che a differenza del CD la busta interna riporta una lunga poesia di Allen Ginsberg (che si autodefinisce «condirettore della Jack Kerouac School per Poeti Disincarnati») contenente le note dell’album, o forse sono le note redatte da Ginsberg in forma di poesia.

La prima volta che ho sentito parlare di Desire (pubblicato a fine 1975) fu durante una gita scolastica, nella primavera 1976; ero uno studente delle superiori, piuttosto monotono in quanto a preferenze musicali, decisamente appiattito sulla musica italiana — ma a casa mia non c’era alcuna educazione musicale, inoltre eravamo tutti stonati, per cui mi muovevo da autodidatta. Sapevo leggere la musica, questo sì, perché l’insegnante delle medie me l’aveva inculcata. Una compagna di scuola aveva portato questa audiocassetta per il lettore dell’autobus, in copertina c’era un tizio che non avevo mai visto né sentito nominare, con un cappello bianco a larga tesa, un foulard al collo e il risvolto di pelliccia del cappotto, che decisamente non mi ispirava. Non ricordo se nel corso della gita verso il Lago di Garda abbiamo ascoltato anche quella cassetta.

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