“La storia del premio Urania” di Mauro Gaffo

Mauro Gaffo ha curato in appendice a diversi numeri di Urania la storia del premio dalle origini a oggi, raccontando ogni volta tre successivi anni; il mio “Ai margini del caos” è apparso sul numero 1701 (aprile 2022), insieme a Claudio Asciuti e Francesco Grasso. Ecco il testo, per il quale ringrazio l’autore (e amico).

LA STORIA DEL PREMIO URANIA – I VINCITORI 1997-1999

di Mauro Gaffo
Il premio Urania per il miglior romanzo italiano di fantascienza inedito è nato nel 1989 e da allora non si è mai interrotto. I romanzi vincitori, finora trentatré, sono stati tutti pubblicati sulle pagine di «Urania» contribuendo a poco a poco a creare un’autentica e molto apprezzata dai lettori “via italiana” alla fantascienza. Nel corso del 2022 ripercorreremo la storia di questo premio attraverso i romanzi che l’hanno vinto.

NONA EDIZIONE: 1997
VINCITORE: Franco Ricciardiello
ROMANZO: Ai margini del caos (n. 1348, novembre 1998)

Diamo subito la parola all’autore, che ci racconta come è venuto a sapere di aver vinto il premio Urania. «Mi telefonò Giuseppe Lippi che, mentre io assorbivo la notizia, euforico e stordito, mi invitò anche a recarmi in redazione, presso la sede Mondadori di Segrate. Ad accogliermi trovai l’intera redazione di Urania e mi stupii per l’interesse destato dal mio arrivo… me lo spiegai più tardi, quando l’editor Annalisa Carena mi svelò un curioso retroscena. Nella riunione finale per decidere il vincitore, c’era chi, come Vittorio Curtoni, riteneva che fosse di una qualità fuori standard per “Urania” e di conseguenza meritasse un altro tipo di collocazione editoriale, e chi era convinto – come Evangelisti e Lippi – che rimandarlo ad altra destinazione equivaleva a non pubblicarlo. La discussione stuzzicò la curiosità delle redattrici, che si fecero una fotocopia del testo per leggerlo. Annalisa Carena assicurò alla fine, a nome della redazione, che nulla ostava alla pubblicazione nelle collane da edicola di un’opera non propriamente standard, se la giuria riteneva che meritasse il primo posto. Quel giorno a pranzo Evangelisti mi consegnò la sua copia di lettura, che ancora conservo, sulla quale è scritto di suo pugno: “Intelligente, ben scritto, avvincente, 9”.»

E come fu accolto dai lettori di «Urania» questo romanzo così insolito? «Non so se fu merito mio o della copertina di Manzieri, fatto sta che i risultati di vendita, almeno così mi dissero, furono inferiori soltanto a quelli de I biplani di D’Annunzio di Luca Masali e ai volumi della serie di Eymerich.»

Franco Ricciardiello, nato a Vercelli nel 1961, ha iniziato a scrivere fantascienza a vent’anni e l’aver trovato lavoro alla Banca di Asti non ha ostacolato la sua passione: a oggi, ha scritto 88 racconti e 8 romanzi, il più recente dei quali è l’ucronia Nell’ombra della Luna (Meridiano Zero, 2018). Segnaliamo anche l’uscita su «Urania» di un altro suo romanzo pubblicato al di fuori del premio: Radio aliena Hasselblad (n. 1440, 2002), una sorta di seguito di Ai margini del caos, ambientato fra Torino e la Germania con vari flashback sugli anni Trenta e Quaranta. Per chi volesse approfondire la conoscenza dell’autore, sono tuttora disponibili in e-book dieci suoi romanzi brevi in edizione Delos Digital.

Non è finita. In un mondo parallelo, probabilmente, Franco Ricciardiello sarebbe ordinario di letteratura all’Università di Torino, ma anche nella nostra triste realtà ha fatto tutto il possibile per condividere con gli altri la sua esperienza: ha insegnato per quasi vent’anni scrittura creativa, tenendo seminari in tutta Italia. Ha collaborato con l’enciclopedia a dispense Scrivere di Bompiani-Rizzoli realizzando il volume dedicato allo “Stile letterario” e recentemente ha scritto, insieme a Giulia Abbate, il Manuale di scrittura di fantascienza (Odoya). Inoltre, nel 2020 ha curato per Delos Digital l’antologia di racconti solarpunk Assalto al sole, ed è tra i fondatori del sito Solarpunk Italia, un sottogenere nato per riflettere su suggerimenti e idee intesi a migliorare il disastrato mondo in cui viviamo.

Concludiamo con un ultimo “ricordo d’epoca” dell’autore. «Feci varie presentazioni in libreria del romanzo Ai margini del caos, la più riuscita fu una serata al Trottoir di Milano, dove Andrea G. Pinketts fece un elogio esagerato del romanzo, perfino imbarazzante, al punto che non fu quasi necessario che intervenissi io… meglio così, da sempre sono convinto che i libri siano più interessanti degli scrittori, e questo vale anche nel mio caso. A quella serata intervenne anche Piergiorgio Nicolazzini, che nel frattempo aveva fondato un’agenzia letteraria, di cui divenni uno dei primi clienti. Grazie a lui Ai margini del caos fu tradotto e pubblicato in Francia da Flammarion, nella sua preziosa collana Imagine a cura di Jacques Chambon.»

Ipotesi di copertina scartata dalla redazione

Per le ceneri dei padri

Si allunga la lista di autori italiani che hanno vinto due volte il premio Urania, in anni successivi: Francesco Grasso (1991, 2000), Donato Altomare (2001, 2008), Lanfranco Fabriani (2002, 2005), Alberto Costantini (2003, 2006), Francesco Verso (2008, 2014 ex æquo), Piero Schiavo Campo (2012, 2016). A questi sei si aggiunge quest’anno Davide Del Popolo Riolo, che già aveva vinto quattro anni fa, nel 2019, con Il pugno dell’uomo.

Il bando di alcune edizioni del premio, precisamente dal 2008 al 2012, conteneva il divieto di partecipazione ai vincitori delle precedenti edizioni. Questa regola però non ha funzionato, a differenza dell’analoga regola del premio Tedeschi per romanzi gialli: come ha spiegato il curatore di Urania, Franco Forte, in occasione della consegna del premio alla manifestazione Stranimondi, il 15 ottobre scorso, la norma ha provocato effetti indesiderati.

La realtà sconfortante, ma non così inattesa (almeno per il sottoscritto) è che con l’esclusione per regolamento di un serie di autrici e autori già vincitori, la rosa dei testi meritevoli si riduce a nulla. Purtroppo, la platea del fandom italiano non è mai stata in grado di “coltivare” un vivaio di scrittori sufficiente da “estrarne” uno ogni anno, il/la laureatǝ del concorso appunto, da elevare a una carriera professionale (o semi-professionale, dai!, siamo realisti).

Mentre nel giallo troviamo un pubblico vasto e eterogeneo, numerose collane editoriali di diverse case editrici, anche specializzate, un periodico da edicola (il Giallo Mondadori) con una distribuzione abbastanza capillare, e soprattutto aspiranti autori e autrici con un ampio bagaglio di letture, un livello culturale e un’abitudine alla scrittura affinata dalla prova di una vasta serie di concorsi letterari più o meno selettivi, più o meno prestigiosi — tutto questo alla fantascienza difetta. Il sottobosco è composto da autori che nella migliore delle ipotesi hanno letto tanta fantascienza, per lo più classica (anni 40-50-60), per lo più Urania della gestione Fruttero & Lucentini comprati sulle bancarelle dell’usato (come se per vincere il premio Urania fosse sufficiente leggere numeri di autori dimenticati di cinquanta, sessanta anni fa), e nella peggiore ipotesi sono patiti di film d’effetti speciali, serie tv e videogiochi, convinti che per scrivere un’opera di fantascienza basti avere un’idea più o meno originale e futuribile (magari solo uno scenario distopico, voilà!) perché disprezzano ogni livello di editing in quanto violazione della propria creatività ispirata.

Il problema della fantascienza italiana è questo: abbiamo fatto troppo poco per tirare su nuove generazioni di autori e autrici, e il risultato è che la competizione di un premio letterario importante come l’Urania viene meno. Mi auguro che con il nuovo incarico a Franco Forte di editor per tutta la fantascienza Mondadori, e non soltanto per Urania e addentellati, questa distorsione venga meno, grazie a una visione organica e complessiva, e magari grazie al consolidamento degli autori laureati in altre collane e pubblicazioni. Nel frattempo, però, questa è la realtà.

“Outrider” di Thomas Du Crest (Parigi), da ArtStation

Nella presente situazione, non esattamente ideale, Davide Del Popolo Riolo è tra gli autori più interessanti. Saluto con favore questo suo secondo Urania, sebbene alcune considerazioni che mi riservo per la fine rimetteranno in parte in discussione il mio ottimismo.

Davide DPR ha una cultura vasta, che va oltre la fantascienza; come ha dimostrato in prove precedenti, ha un’approfondita conoscenza del mondo classico greco-romano, che sfrutta simpaticamente anche in questo romanzo. Per esempio, il titolo è derivato da un verso di Thomas Babington Macaulay, per la precisione dall’Horatius, nei Lays of ancient Rome:

To every man upon this earth
Death cometh soon or late.
And how can man die better
Than facing fearful odds,
For the ashes of his fathers,
And the temples of his gods?

La società violenta e feroce che DPR crea per il suo pianeta Abisso è debitrice, almeno nella terminologia, della Grecia classica: gli affiliati delle grandi cosche mafiose che si contendono il dominio sull’economia della città di Corcyras si chiamano opliti, e indossano armature super-tecnologiche; i boss delle famiglie si chiamano wanax, in assonanza con l’anax omerico, il “re dei re”, e naturalmente in riferimento all’analogo wanax miceneo. Per il resto, le analogie sono più con Il padrino e le sue logiche di spartizione del mercato illegale e guerra fra clan.

L’idea di fondo è interessante. La protagonista Olympias, figlia prediletta di un wanax, viene allontanata dal pianeta su volontà del padre, che la invia nell’idilliaca Casa-tra-le-stelle, un idilliaco ambiente artificiale in movimento nello spazio. Nella Casa-tra-le-stelle DPR materializza il suo concetto di Utopia, una grande comunità esente da conflitti, una vita in armonia governata da solidi principi morali, con l’ausilio di una tecnologia molto avanzata, rapporti interpersonali di correttezza, sessualità disinibita etc.

Dopo anni di permanenza in questa utopia, Olympias (che ha cambiato nome in Sospiro di Giada) è completamente permeata dei suoi ideali. Per questa ragione, quando viene precipitosamente richiamata sul pianeta d’origine, Abisso, dopo la morte violenta del padre, sbatte la faccia contro una realtà incredibilmente violenta, spietata, senza regole morali, in cui omicidio, sacrificio, tradimento sono all’ordine del giorno. Abisso è diametralmente all’opposto della Casa-tra-le-stelle.

Questo è l’interessante, e originale, conflitto interiore della protagonista, e anche il conflitto narrativo sotteso al romanzo: come reagisce un individuo di moralità superiore inserito in un ambiente ostile, di guerra tutti-contro-tutti? Può mantenersi incorrotto, in coerenza ai propri principi? Oppure riesce a cambiare l’ambiente in cui si inserisce? O ancora, è costretto a abbandonare ciò in cui crede e commettere atti che considera riprovevoli?

DPR ha l’intelligenza narrativa di prevedere un secondo protagonista “di controllo” per evitare di appiattire la storia su un unico punto-di-vista: certo, Per le ceneri dei padri è un romanzo di formazione, ma bene ha fatto l’autore a inserirne un secondo e mantenere un significato non univoco, come già ha fatto in opere precedenti — o meglio, un significato ambivalente. È forse questo il pregio narrativo più evidente di questo romanzo: il suo senso non univoco, con preconfezionato, ma lasciato alla scelta di chi legge. Alla fine, con chi si identifica chi legge? Con le scelte di Olympias o con quelle di Vento Gioioso, l’amante che lei ha abbandonato nella Casa-tra-le-stelle quando è stata costretta a tornare al pianeta natale?

David Del Popolo Riolo ha un’ottima cultura generale, capacità di controllo della scrittura e conoscenza degli stereotipi della fantascienza, senza per questo correre il pericolo di rimanervi intrappolato.

Il problema cui accennavo all’inizio è però un altro. La mia sensazione personale è che DPR si sia adattato a “abbassare” il livello di complessità della sua scrittura fino a un prodotto YA (nella prima metà del presente romanzo) o poco superiore (nella seconda metà). Niente di male, intendiamoci, a scrivere letteratura per ragazzǝ —non però è una sensazione che ho soltanto da questa ultima prova di DPR, ma anche da diversi premi Urania precedenti, in gestioni editoriali anteriori a quella di Forte.

Ora, il mio dilemma è il seguente: si tratta di un effetto della modalità di selezione dei testi a concorso, o è proprio connaturato al tipo di fantascienza che produciamo in Italia? È dovuto al gusto prevalente dei lettori, cioè per una letteratura d’evasione, non impegnata (tra l’altro questo non è il caso di DPR, che comunque ha impostato un forte dilemma morale)? E in che modo è correlato con la scarsa permeabilità tra fantascienza italiana e letteratura mainstream, a parte il caso eclatante di Valerio Evangelisti — cioè: esiste una relazione tra questo fatto e il disinteresse degli addetti ai lavori per la fantascienza, che non si verifica in altre letterature nazionali?

E perché ciò non è vero anche nel giallo, per esempio? Davvero abbiamo perduto l’occasione di elevare la science fiction al livello del poliziesco, del thriller, di altre letterature di genere che si sono emancipate dalla trappola del disimpegno? Nessun autore considera più con sufficienza lo strumento della letteratura gialla.

Chiedo venia per le troppe domande senza risposta, però la mia riflessione è questa: dal momento che la sf ha molti più strumenti d’indagine del reale rispetto alle altre letterature di genere, è proprio la sua fama di letteratura per ragazzi, o per adulti mai cresciuti nel gusto, a mantenerla nel ghetto?

Credo che questo meriti una riflessione. Nel frattempo, ho deciso di nutrire aspettative per questa grande novità in casa Mondadori, una direzione univoca per tutta la fantascienza pubblicata dall’editore milanese.

Franco Ricciardiello
Davide Del Popolo Riolo

Io e Lei (5)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

La quinta puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura riproduce l’ultima parte della mia prefazione all’antologia “Compagno di viaggio” (Cordero Editore): la fine degli anni Novanta, e la vittoria al Premio Urania con “Ai margini del caos”.

continua dalla quarta parte


Io e lei, parte II

(da Compagno di viaggio. Dieci racconti di fantascienza di Franco Ricciardiello, Marco Cordero editore, Genova, Giugno 2015)

All’incirca nel 1997 cominciai a trovarmi insoddisfatto della letteratura che scrivevo. È un dato di fatto che leggevo sempre meno fantascienza e sempre più narrativa di altro genere, gialli e thriller oppure postmoderno. Paradossalmente dunque, negli anni in cui gli autori italiani passavano finalmente dal fandom all’editoria professionale, io sentivo il bisogno di cambiare. Non che il cambiamento mi fosse mancato negli ultimi tempi: nel ‘96 mi ero separato legalmente; nello stesso anno avevo smesso di lavorare per il sindacato aziendale ed ero tornato in produzione, chiedendo un cambio di mansioni dalla direzione generale alla rete di vendita; infine, avevo abbandonato gli studi universitari dopo avere superato poco più della metà degli esami. Forse il nuovo romanzo che iniziai a scrivere nel ‘97 si inseriva in questa esigenza di rinnovamento, alimentato dall’entusiasmo del corso di scrittura creativa.

Tutto iniziò con la lettura di un articolo su un periodico, la storia della celebre opera del pittore svizzero Arnold Böcklin: Die Toteninsel, “L’isola dei morti”, dipinto in cinque versioni definitive, oggi disperse tra i musei di Europa e America. L’articolo era molto approssimativo e conteneva imprecisioni, soprattutto nei nomi di luoghi e persone, ma raccontava di una incredibile influenza sulla cultura europea lungo tutto il periodo tra il romanticismo e la seconda guerra mondiale; questa enorme diffusione dell’immagine dell’Isola dei morti finì non solo perché era cambiato il paradigma culturale, ma anche perché una delle cinque versioni era proprietà personale di Adolf Hitler.

Decisi di scrivere un romanzo sull’Isola dei morti.

con Carlo Lucarelli all’Unipop di Vercelli
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«Ai margini del caos» versione eBook

Illustrazione originale di Maurizio Manzieri

Il 18 gennaio 2001 usciva in Francia Aux frontières du chaos, versione francese del mio romanzo che aveva vinto il premio Urania, per la traduzione di Jacques Barbéri. Adesso è disponibile in eBook la versione originale del testo, prima delle modifiche apportate per la presentazione al concorso, e di quelle richieste dalla redazione editoriale. Quello che segue è il racconto di come Ai margini del caos è stato pensato, scritto e pubblicato.

All’incirca nel 1997 cominciai a trovarmi insoddisfatto della letteratura che scrivevo. È un dato di fatto che leggevo sempre meno fantascienza e sempre più narrativa di altro genere, gialli e thriller oppure postmoderno. Paradossalmente dunque, negli anni in cui gli autori italiani passavano finalmente dal fandom all’editoria professionale, io sentivo il bisogno di cambiare. Non che il cambiamento mi fosse mancato negli ultimi tempi: nel ‘96 mi ero separato da mia moglie; nello stesso anno avevo smesso di lavorare per il sindacato aziendale ed ero tornato in produzione, chiedendo un cambio di mansioni dalla direzione generale alla rete di vendita; infine, avevo abbandonato gli studi universitari dopo avere superato poco più della metà degli esami. Forse il nuovo romanzo che iniziai a scrivere  nel ‘97 si inseriva in questa esigenza di rinnovamento, alimentato dall’entusiasmo del corso di scrittura creativa.

Tutto iniziò con la lettura di un articolo su un periodico, la storia della celebre opera del pittore svizzero Arnold Böcklin: Die Toteninsel, “L’isola dei morti”, dipinto in cinque versioni definitive, oggi disperse tra i musei di Europa e America. L’articolo era molto approssimativo e conteneva imprecisioni, soprattutto nei nomi di luoghi e persone, ma raccontava di una incredibile influenza sulla cultura europea lungo tutto il periodo tra il romanticismo e la seconda guerra mondiale; questa enorme diffusione dell’immagine dell’Isola dei morti finì non solo perché era cambiato il paradigma culturale, ma anche perché una delle cinque versioni era proprietà personale di Adolf Hitler.

Decisi di scrivere un romanzo sull’Isola dei morti.

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