Materiali resistenti / Muri urlanti

Il 16 aprile ci sarà l’inaugurazione della mostra fotografica collettiva della Biennale di arti visive MATERIALI RESISTENTI – MURI URLANTI,” con 24 autori partecipanti e il patrocinio della Regione Piemonte e dell’ANPI, nella sala mostre della regione, in piazza Castello 165 a Torino. Per l’occasione, le associazioni organizzatrici “Il terzo occhio” e “Arte totale” mi hanno chiesto di scrivere una breve prefazione al catalogo della mostra, che anticipo  in questo post

L’urlo dei muri

di Franco Ricciardiello

Sono nato l’anno in cui fu costruito il Muro. Quello di Berlino: solo uno fra tanti eretti prima, e troppi che vennero dopo. Sembrava dovesse durare in eterno, simbolo materiale della contrapposizione tra due mondi, monumento all’odio, una spada di Damocle di cemento armato sul nostro futuro. E invece è andato giù come un castello di carte in un sogno, smontato mattone su mattone, moltiplicato con il tipico miracolo capitalista della reificazione, venduto a chi crede di conservare in questo modo un frammento di storia.

E dire che da sempre il muro, così concreto, è anche un ambiguo simbolo astratto. Ambiguo perché è protezione, rifugio, casa, ma la faccia oscura della medaglia è la sua capacità di separare. È intimità, riservatezza, famiglia, ma può anche tenere lontano ciò che in natura sarebbe unito.

La storia della civiltà è anche storia di muri: i valli romani contro i popoli che vivevano oltre i limiti dell’Impero; Chángchéng, la Grande muraglia che non riuscì a salvare i cinesi dalla furia dei nomadi mongoli; l’imprevidenza dello stato maggiore francese, che pensava di evitare un’invasione tedesca con la lunga ridotta di bunker e cannoni della Maginot, semplicemente aggirato dalle divisioni corazzate di Hitler.

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Cucinare un orso

kiD Chan, “Respira”

Il sessantenne Mikael Niemi è tra gli scrittori svedesi contemporanei più pubblicati all’estero. La sua fama internazionale è iniziata nel 2000 con Musica rock da Vittula, tradotto in 26 lingue: un originale romanzo di formazione, genere fantastico borderline, ambientato in una cittadina della Lapponia svedese nei pressi del circolo polare artico. Anche questo Cucinare un orso ha la stessa ubicazione geografica: quella marca di confine abitata da gente di cultura sami ma appartenente alla corona di Svezia, che rappresenta una minoranza linguistica e una delle ultime popolazioni semi-nomadi d’Europa; però il genere contemporaneo di Musica rock e quelle fantascientifico del successivo Manifesto dei cosmonisti sono soppiantati da un’ambientazione storica — all’apparenza, almeno.

A metà Ottocento la Lapponia, che si estende attraverso l’estremità settentrionale di tre nazioni (Norvegia, Svezia e Finlandia), vede la predicazione del pastore Læstadius, la cui oratoria origina un vero e proprio movimento di rinnovamento religioso e sociale luterano, il Risveglio. I suoi adepti sono soprattutto sami, quelli che noi chiamiamo lapponi, ultimi rappresentanti di una cultura violentata e eradicata dalle monarchie cristiane: un popolo decimato e diviso in più nazioni, costretto a parlare e a pensare nella lingua degli altri.

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