Le leggi dell’ordine etico

La lettura della quarta di copertina spinge a pensare che questo romanzo sia una delle molte, troppe “distopie” (io preferisco dire “nuovo distopico italiano”) che si pubblicano oggi in Italia; sembra che ogni aspirante lettore, al suo primo approccio con il genere, scelga di cimentarsi con uno scenario più o meno catastrofico e il risultato è abbastanza omologante — per non dire deprimente. È questo tutto ciò che riusciamo a fare con gli strumenti della fantascienza?

Non è però il caso di questo romanzo di Maurizio Cometto.

Innanzitutto, la sua scrittura è molto curata, sintomo di una volontà di controllo sul mezzo — e probabilmente di una progettazione a priori, oltre che di un processo di revisione al quale non molti si sottopongono. C’è in giro un’idea romantica per cui la revisione spetterebbe all’editor, o alla casa editrice, mentre l’autore (o l’autrice) avrebbe libertà di espressione, anche a costo di errori di ortografia, consecutio temporis, infodump e altre perle narrative.

Secondo aspetto positivo sono i dialoghi: non vi sono sbavature né infodump (o meglio, ce n’è uno solo, ma attutito, e comunque non è all’interno di un dialogo), i personaggi non parlano soltanto perché si incontrano. L’alternanza tra discorso diretto e pensieri del protagonista è giustamente misurata per suscitare la curiosità del lettore, e favorisce l’immedesimazione.

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Il trentunesimo giorno

Dopo l’affermazione definitiva, anche al di fuori del ristretto pubblico di appassionati di fantascienza, con il suggestivo ciclo di Mondo9 ambientato su un pianeta così arido da essere ricoperto da mari di sabbia, solcati da navi semi-senzienti in stile vagamente steampunk, Dario Tonani muove un passo ulteriore per uscire dalla gabbia dei generi letterari codificati. Poco conta che l’editore Mondadori per ragioni di marketing abbia coniato questa categoria, “eco-distopia” che accompagna la pubblicazione di “Il trentunesimo giorno”; ormai l’etichetta di distopia non si nega a nessuno, ho letto persino che qualcuno classifica come distopico Il signore delle mosche.

Il prossimo passo sarà, immagino, definire distopico l’Inferno della Divina Commedia.

A parte ciò, e conoscendo cosa Tonani pensa delle etichette applicate ai generi letterari, questo romanzo è di difficile classificazione — ammesso, ovvio, che una classificazione debba esserci. Non è di certo distopia, dal momento che il tessuto sociale non si dissolve per opera del disastro climatico che dà l’avvio alla trama: permane un’organizzazione statale, c’è un ritorno all’ordine sociale, ci si risolleva nelle nuove condizioni. Il prefisso “eco” è più giustificato, nel senso che i trenta giorni sottintesi nel titolo sono unperiodo in cui piove ininterrottamente e a dirotto in tutto il mondo, causando inondazioni disastrose e annegamenti; catastrofe climatica o artificiale? Naturale o metafisica? Da scoprire leggendo.

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La città tenace

Alessandro Massasso, “La città tenace”, Dystopica Delos Digital, 2021 € 2,99

“Abbiamo bisogno di distopie che smettano di smascherare i mali dell’utopia collettivista e optino per criticare quelli dell’utopia neoliberale del mercato, nella quale interessi individuali producono ricchezza e progresso per tutti.”

Francisco Martorell Campos, “Contra la distopía”

Il nuovo distopico contemporaneo racconta società totalitarie, in cui lo Stato abolisce privacy e libertà, grazie a una tecnologia che permette un controllo pervasivo, trasformando i cittadini in una massa che non è in grado di reagire; oppure presenta scenari di coesione sociale in pezzi, dove vige un tutti contro tutti perché la dissoluzione dell’economia di mercato ha portato con sé la fine della civiltà.

Questi sono scenari semplicemente grotteschi.  I regimi totalitari si sono dissolti nel sangue il secolo scorso, e nell’ultimo quarto del Novecento si è imposto un ordine mondiale ben diverso, nel quale più che gli Stati, i governi e i parlamenti eletti, a detenere il potere reale è un complesso equilibrio sovranazionale di multinazionali, complessi militari-industriali e organizzazioni economiche che dettano l’agenda a istituzioni più o meno democratiche. Nonostante questa realtà di deregulation, differenze economiche spropositate, sfruttamento di interi continenti, la distopia continua a denunciare i pericoli dello Stato-Leviatano, invece del mostro neoliberale — punta il dito su futuri indesiderabili per dire che il capitalismo è l’unico sistema possibile.

Lo scenario italiano non sfugge a questa regola. Non è un caso che un romanzo interessante come Jennifer Government (2003) dell’australiano Max Barry, distopia in cui le Americhe e l’Oceania sono dominate da corporations che prevaricano gli stati, sia pubblicato in Italia con un titolo neutro, Logo Land, dalla casa editrice PiEmme con l’infelice slogan “Il primo thriller no-global”, e che di conseguenza non sia stato notato da nessuno.

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L’infinita leggerezza dei quanti

Martedì 30 marzo uscirà la seconda pubblicazione della nuova collana solarpunk Atlantis di Delos Digital, dedicata alla narrativa utopica, ottimista, speculativa.

Si tratta del romanzo breve L’infinita leggerezza dei quanti di Stefano Carducci e Alessandro Fambrini, autori di diversi racconti apparsi su riviste e antologie a partire dagli anni Novanta. Insieme hanno anche pubblicato con Delos Digital La breve estate della follia, romanzo atipico di indagine ambientato in un’Italia distopica.

L’infinita leggerezza dei quanti invece si situa idealmente all’estremo opposto della narrativa futuribile, perché pur prendendo le mosse da un’orribile America dominata da un blocco militare-industriale, racconta un viaggio di andata e ritorno verso una magnifica utopia solare.

scaricalo qui: L’infinita leggerezza dei quanti Delos Store

L’INFINITA LEGGEREZZA DEI QUANTI

Alzi la mano chi pensa che il nostro sia il migliore dei mondi possibili. Di certo non lo pensa Joseph Lovato, costretto dalla paranoica Giunta militare al governo a diventare soggetto di un esperimento dall’esito incerto: per provare l’utilità pratica delle ipotesi sulle particelle elementari, verrà “trasferito” istantaneamente come un oggetto quantistico tra due punti distanti. Qualcosa non funziona secondo le previsioni, Lovato si ritrova in una realtà parallela, agli antipodi rispetto al presente distopico da cui proviene. La società cui appartengono Mary, Peter e gli altri scienziati che entrano in contatto con lui, è una specie di anarchia democratica, decentrata in America settentrionale, decisamente orientata alla scienza, con un impatto antropico sostenibile per l’ambiente. Nella migliore tradizione della fantascienza sociologica, Carducci e Fambrini raccontano una società utopica che ha vinto contro il nemico peggiore: la natura umana. Tuttavia, l’utopia è circondata avversari agguerriti che preparano un’invasione, e Lovato sarà chiamato a contribuire, con la sua preparazione scientifica, a debellare la minaccia.

Distribuzione delle risorse, energia a buon mercato, civiltà post-industriale in questo romanzo breve della più famosa coppia d’autori del fantastico italiano.
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La prossima uscita di Atlantis, ad aprile, vedrà un racconto lungo di Romina Braggion.

Le catastrofi non devono finire in distopia

Cory Doctorow, da Wired

traduzione di Franco Ricciardiello

Il mio nuovo romanzo, Walkaway[1], parla di un mondo in cui i super ricchi creano forme di vita immortali così efficaci nell’automazione del lavoro che tutti noi diventiamo risorse in eccesso. La battaglia che ne segue – sulla possibilità che l’umanità possa infine dividersi per sempre tra un’élite trans-umana e un brulicare di profughi in balia del clima – innesca massacri e persecuzioni. È un romanzo utopico.

La differenza tra utopia e distopia non è nella misura di quanto le cose vadano bene. È in cosa succede quando tutto va a rotoli. Qui, nel mondo disastroso e reale, stiamo per scoprire in quale delle due viviamo.

Dai tempi di Thomas More, i progetti utopici si sono concentrati sulla descrizione dello stato perfetto e sulla mappatura del percorso per raggiungerlo. Ma questa non è ideologia, è un sogno ad occhi aperti. La società più perfetta esisterà in un universo imperfetto, in cui la seconda legge della termodinamica implica che tutto ha bisogno di costante riparazione, accomodamento e aggiustamento. Anche se la tua utopia ha abitudini rigide, è a rischio di venire distrutta da pericoli meno cogenti: asteroidi di passaggio, stati confinanti meno virtuosi, agenti patogeni mutanti. Se la tua utopia funziona bene in teoria, ma degenera in un’orgia di violenza cannibalistica la prima volta che si spengono le luci, non è in realtà un’utopia.

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E se la fantascienza ci salvasse dal fascismo?

Autori, traduttori ed editori riflettono sulla necessità di sostituire le distopie con utopie, poiché il loro messaggio può essere conservatore e reazionario

di Laura L. Ruiz, da El Salto

“Stelle cadenti” di Jurij Švedov, Mosca (Russia)

Gli inquilini di un vecchio edificio affrontano l’avidità di speculatori che vogliono cacciarli per costruire appartamenti di lusso. Dibattono se rinunciare o restare fino a quando non ricevono un aiuto alieno, e insieme intraprendono la battaglia per le loro case. Questo, che potrebbe sembrare l’ennesimo caso per PAH[1], è un film di fantascienza del 1987. In Miracolo sull’8a strada si parla di solidarietà, sostegno reciproco, giustizia sociale e resistenza grazie all’alleanza che si genera tra i residenti dell’edificio e alcuni piccoli esseri extraterrestri che finiscono per sbaglio tra loro.

Può davvero un film per bambini trasmettere un messaggio più progressista di IL racconto dell’ancella di Margaret Atwood o di 1984 di George Orwell? “Entrambe sono denunce del potere e fanno analisi piuttosto brillanti, come i concetti di bispluspensiero o neolingua, ma allo stesso tempo rappresentano un mondo da cui non c’è via d’uscita”, afferma Layla Martínez, collaboratrice di El Salto, scrittrice ed editrice di Antipersona.

“Penso che Orwell e Atwood volessero scrivere — e così fecero — importanti denunce del potere, ma i loro libri finiscono per provocare scoramento piuttosto che una lotta per cambiare le cose. Inoltre, il problema nasce quando questa è l’unica fiction che viene prodotta, quando vengono generati migliaia di serie, libri, fumetti, videogiochi su mondi distopici, e praticamente nessuno ambientato in un mondo migliore”, insiste.

Questa è precisamente una delle premesse che sia Martínez che Irati Jimenez difesero all’Ansible Fest, il primo festival di fantascienza femminista della Spagna, che includeva un tavolo sulla fantascienza e l’antifascismo sulla cui porta era affisso “posti esauriti” a causa dell’enorme interesse generato. “Quando pensiamo al fascismo pensiamo a aspetti come l’economia o l’immigrazione, ma a volte dimentichiamo la misoginia. Il fascismo è anti-donna, antifemminista e anti-femminile. È la morte”, ha detto Jiménez, co-curatrice di Sci-Fem. Variaciones feministas sobre teleseries de ciencia ficción, pubblicato da Txalaparta. “Dobbiamo distinguere a proposito di fascismo tra fiction che parlavano di nazismo (come Hunger Games o V) e altre che si occupano di democrazie in deterioramento con tagli ai diritti civili (come Battle Royale, Years and years o I figli degli uomini)”, ha specificato Martínez. Tutte distopie e pochissime utopie, mondi alternativi di speranza come Star Trek, il fumetto Mirror di Emma Ríos o il romanzo I reietti dell’altro pianeta di Ursula K. Le Guin.

“Questo la dice lunga — ha proseguito Martínez — su come stiamo vivendo oggi questa cosa: non siamo in grado di immaginare un orizzonte diverso, migliore, e così si genera un discorso molto reazionario e conservatore”.

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