Ci sono grandi autrici ovunque, nella storia della letteratura

“Shallan Davar” di Antti Hakosaari, Lahti (Finlandia)

Nel compilare una lista di autori e opere del postmoderno pubblicata l’anno scorso, mi rendevo conto che conteneva pochissime autrici, e affermavo di non essere in grado di offrire una risposta. Non contento di questo, ho cercato di approfondire, imbattendomi in una semplice considerazione di Meaghan Morris, docente di Studi di genere e culturali all’università di Sydney. Eccola: forse l’affermazione “dove sono finite tutte le donne?” riferita al postmoderno è solo la versione attualizzata del classico indovinello “perché non ci sono grandi artisti donne (matematiche, scienziate, musiciste)”. Ebbene, la conclusione è che ci sono grandi scrittrici ovunque, nella storia della letteratura, occorre solo cercarle fuori dagli schemi e dai limiti di un punto di vista maschilista sulle arti. Per esempio, fuori dal perverso “canone occidentale” di Harold Bloom, per il quale le scrittrici sono pressoché inesistenti.

Per esempio, numerosi sono i nomi di donna nella critica letteraria che del postmoderno si è occupata: Donna Haraway, Hélène Cixous, Luce Irigaray — ma di solito non vengono citate perché il postmoderno non è al centro della loro riflessione critica, e quindi un eventuale “canone postmoderno” avrebbe pochi nomi femminili. Nella mia stessa lista riportavo solo Dương Thu Hương, Doris Lessing (ferocemente disprezzata da Harold Bloom), Clarice Lispector, Kamila Shamsie, un totale di quattro nomi su ventotto.

Meaghan Morris

Sono quindi andato a cercare senza pregiudizi, spinto anche dalle considerazioni di Craig Owens  e Andreas Huyssen sul fatto che il femminismo dovrebbe interessarsi al postmoderno, quantomeno per il suo potenziale di sfida all’autorità e di esaltazione delle differenze.

Questa è dunque un’integrazione della lista di autori e opere che avevo chiamato “Guida (non autorizzata) al postmoderno”. Ben quattro titoli sono di Angela Carter. Siccome ho letto solo cinque dei romanzi che catalogo (ma ne possiedo in biblioteca altri cinque), mi affido a Wikipedia e alle case editrici italiane per il materiale di riferimento.

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SF and Sex. The case of Alma Nilsson

bu FRANCO RICCIARDIELLO

Born in a country that was hypocritically puritan in that portion of the century, modern science-fiction has always suffered from an ambivalent relationship with sexual content. On the one hand, it addressed an overwhelmingly male audience, overloading — also for reasons of commercial recognition — the scientific, or at least technological, content of a writing with scarce literary pretensions; and we all remember how a hundred years ago it was considered unnatural that a woman could be interested in science. On the other hand, however, SF blinked blatantly at the trashy aesthetics of the pulp covers, where to attract an audience with a coarse palate it did not skimp on the amount of female skin: as in detective magazines, the woman was often portrayed in situations that had no relationship with the text they illustrated, in direct danger of life, or at least of sexual violation; it’s the aesthetics of the damsel in distress, the damsel to be saved, with the advantage that compared to the detective story the artists could indulge in multiplying the threat against the WASP woman: crazy scientists, robots out of control, alien monsters that drooled for human females (never the opposite occurred), and other amenities. All this to say that there was more than one prerequisite for female readers to keep their distance from a decidedly nerdy genre, and literature is known to speak of sex in a mature way only when it is aimed at readers of both sexes.

The stages of the slow change in this situation have been authoritatively indicated several times, starting with Philip Farmer who broke the taboo in 1952 with The Lovers, the love story of a man and an insectoid alien female. But the wall began to crack, and science fiction became adult, only when female readers increased, and the writers began talking about sex not only as part of the setting or spicy detail of the plot, but as a central speculation.

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Sesso e fantascienza. Il caso di Alma Nilsson

di FRANCO RICCIARDIELLO

La versione inglese di questo post può essere letta qui

Nata in un paese che in quella porzione di secolo era ipocritamente puritano, la moderna science-fiction ha sempre sofferto di un rapporto ambivalente verso contenuti a carattere sessuale. Da una parte si rivolgeva a un pubblico a schiacciante prevalenza maschile, sovraccaricando — anche per ragioni di riconoscibilità commerciale — il contenuto scientifico, o almeno tecnologico, di una scrittura con scarse pretese letterarie; e tutti ricordiamo come cent’anni fa fosse considerato innaturale che una donna potesse interessarsi di scienza. Dall’altra parte però ammiccava scopertamente all’estetica trash delle copertine pulp, dove per attirare un pubblico dal palato grossolano non si lesinava sulla quantità di pelle femminile: come nei detective magazines, la donna era spesso ritratta in situazioni che non avevano alcuna relazione con il testo che illustravano, in pericolo diretto di vita, o quantomeno di violazione sessuale; è l’estetica della damsel in distress, la damigella da salvare, con il vantaggio che rispetto alla detective story gli artisti potevano sbizzarrirsi nel moltiplicare la minaccia contro la donna Wasp: scienziati pazzi, robot fuori controllo, mostri alieni che sbavavano per femmine umane (mai che si verificasse il contrario), e altre amenità. Tutto questo per dire che c’era più di un presupposto perché le lettrici si tenessero a distanza da un genere decisamente nerd, e si sa che la letteratura parla di sesso in maniera matura solo quando si rivolge a lettori di ambo i sessi.

Più volte sono state autorevolmente indicate le tappe del lento cambiamento di questa situazione, a partire da Philip Farmer che rompe il tabù nel 1952 con The Lovers, storia dell’amore di un uomo e una femmina aliena insettoide. Ma il muro ha cominciato a incrinarsi, e la fantascienza è diventata adulta, solo quando le lettrici sono aumentate, e le scrittrici hanno cominciato a parlare di sesso non solo come parte dell’ambientazione o dettaglio piccante del plot, ma come speculazione centrale.

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«Non c’è un monumento a Babij Jar»

Aykut Aydoğlu, Istanbul

Un giorno del 1961 Evgenij Evtušenko, già affermato poeta, accompagna a Kiev il coetaneo Anatolij Kuznecov, suo compagno di studi all’Istituto di Letteratura. Evtušenko è uno degli autori nuovi usciti allo scoperto grazie al disgelo degli anni di Chruščëv: su di lui come su altri scrittori si focalizzano le speranze di un allentamento della censura, la fine dello ždanovismo. Kuznecov porta l’amico nella località di Babij Jar, alla periferia nordovest della capitale ucraina, e gli racconta ciò che ha visto con i suoi occhi di bambino venti anni prima: il massacro di decine di migliaia di ebrei poco dopo la conquista della città da parte della Wehrmacht, a fine settembre 1941. Vecchi, donne e bambini, più di metà della popolazione israelita di Kiev, furono condotti al grande fossato naturale, fucilati in massa dall’SD e dai collaborazionisti ucraini, e i corpi bruciati. Evtušenko scrisse su Babij Jar una delle sue poesie più famose:

Non c’è un monumento
A Babij Jar
Il burrone ripido
È come una lapide
Ho paura
Oggi mi sento vecchio come
Il popolo ebreo
Ora mi sento ebreo

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Rizomi del Sole Nascente

“Scordato di pranzare” di Skyfire, Taiwan

Grafica di copertina molto elegante per quello che è probabilmente il progetto più compatto tra le numerose antologie di fantascienza, e non, che Gian Filippo Pizzo organizza da dieci anni a questa parte, e che permettono a molti autori, dai più conosciuti ai perfetti esordienti, di raggiungere un pubblico tramite la vetrina di pubblicazioni anche non specializzate. Questa è la prima volta che Pizzo collabora con Kipple Officina Libraria.

Come ognuna di questa raccolte, anche la presente ha un argomento di fondo: “La fantascienza dall’Italia all’oriente”, un trait d’union che si ispira all’interesse tutto nuovo dei mercati occidentali per romanzi e racconti che arrivano dall’Asia, sulla scia dello straordinario successo della trilogia del “Passato della Terra” di Liú Cíxīn — un interesse che in Italia si è già sostanziato nelle iniziative della casa editrice Future Fiction di Francesco Verso.

La parola rizomi nel titolo si riferisce a Capitalismo e schizofrenia di Gilles Deleuze e Félix Guattari, un modello semantico che prende come metafora il rizoma del mondo vegetale, struttura arborescente presentata come alternativa alla linearità. Il linguaggio è un fenomeno vivente, che possiede una serie di significati diversi, di collegamenti e interpretazioni; all’opposto della struttura gerarchica, lineare o ad albero, la scrittura rizomatica stabilisce connessioni in ogni direzione.

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