Una città per i poeti

Secondo post del racconto di viaggio in Iran, maggio 2017

Dopo Tehran, raggiungiamo in volo la città meridionale di Shiraz, una delle principali mete del turismo nel paese, e con essa l’epicentro della storia persiana: ci troviamo infatti a pochi chilometri dalle capitali dell’antico Impero achemenide. Shiraz è una città di famosi giardini, uno dei quali è patrimonio dell’umanità, e ospita i mausolei di due grandi poeti del medioevo persiano, Hafez e Sa’di, ancora oggi enormemente amati in patria.

Come in ogni città dell’Iran, non ci sono mezzi pubblici per l’aeroporto. Noleggiamo due taxi, che sembrano fare a gara sulle strade lungo il fiume Khoshk. Dal nostro apartment hotel basta una breve passeggiata lungo una via trafficata e fiancheggiata di negozi per raggiungere il centro città, con il bazar e la fortezza di Karim Khan Zand.

Ci troviamo molto più a sud di Tehran, il clima è decisamente più caldo. Karim Khan Zand, l’uomo che sposta a Shiraz la capitale del regno nella seconda metà del Settecento, è uno dei pochi governanti del tempo disinteressati alla guerra. Non assume neppure il titolo di Shah, accontentandosi di essere chiamato reggente. La bella masjed-e Vakil accanto al bazar è costruita su suo impulso. Accanto alla fortezza che porta il suo nome mangiamo per la prima volta il faludeh, il dolce di amido di riso che si può gustare con una palla di gelato allo zafferano.

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Scritto sul cielo blu

Il 26 novembre è uscito per la collana Passport delle edizioni delos Books un mio romanzo breve intitolato “Scritto sul cielo blu”, ambientato durante la guerra del Vietnam. La prima stesura del testo è antecedente al mio viaggio nel paese; ho potuto constatare in quell’occasione di non avere commesso grossi errori di ambientazione. Questo post contiene una parte del testo che ho scritto in occasione del viaggio, le pagine riferite alla città di Huế , dove si svolge la parte principale della storia.

Mentre camminiamo fianco a fianco durante la breve escursione tra le minoranze etniche al confine con la Cina, il ragazzo che aiuta la guida mi chiede perché ho scelto di venire in vacanza proprio in Việtnam. Io gli rispondo, forse con leggerezza, che il suo paese è parte integrante della mia adolescenza: ogni giorno al telegiornale seguivo le notizie della guerra, l’inarrestabile avanzata verso Sàigòn e l’impotenza dell’esercito americano. Così, a distanza di anni, mi è rimasta la curiosità di aggiornare la dimensione in bianco e nero da televisione anni Sessanta di questa terra in un certo senso mitologica — l’unico paese del mondo a avere vinto una guerra contro gli Stati Uniti.

La reazione del ragazzo alla mia risposta non è entusiasta, e mi pento delle mie parole. Ho già scoperto che i vietnamiti non amano parlare della “guerra americana”, forse avrei fatto meglio a dare una spiegazione più diplomatica. Eppure, con ogni probabilità è davvero questo il motivo che mi ha portato quaggiù dopo un volo di quasi dodici ore da Milano Malpensa a Hồchíminh via Parigi.

Il viaggio da Hộian a Huế è relativamente breve, anche considerando la condizione delle strade vietnamite: se non fosse che tra le due città si estende la metropoli di Đànẵng con oltre un milione di abitanti, sarebbe un tragitto ancora più rapido. Decidiamo di prendere il minibus, indistinguibile del resto rispetto al servizio a biglietto aperto, e raggiungiamo Huế nel primo pomeriggio.

Pagoda Thiên Mụ

Ho notato a volte, in certi viaggi e in certi paesi, che una particolare città conquista rapidamente nel mio immaginario un posto speciale. Ancora non sono riuscito a definire le caratteristiche di questi territori dell’intelletto: cosa hanno in comune Córdoba in Spagna, Cambridge in Inghilterra, Trinidad a Cuba, Bhakhtapur in Nepal, Jaisalmer in India e Fés in Marocco? Le uniche caratteristiche che mi vengono in mente sono una stratificazione storica percettibile e un relativo isolamento dal cuore economico del paese. Tuttavia, se fosse così semplice, a Hộian avrei provato la medesima sensazione di straniamento e familiarità insieme. Forse; e forse Hộian sarebbe una di queste città dell’anima, se non avessi visto successivamente Huế.

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Il millenario Rinascimento dell’anti-Roma

Venezia occupa un posto unico nella storia d’Italia. Per mille anni è stata splendida capitale di uno Stato d’importanza mondiale, la Venetiarum Respublica o Repubblica di San Marco, nota anche solo con l’aggettivo sostantivato Serenissima: mille anni, un periodo lunghissimo, superiore a qualsiasi Stato moderno. La stessa durata del dominio di Roma sul mondo classico, dal 509 a.e.v. (rovesciamento della monarchia) al 476 e.v. (caduta dell’Impero Romano d’occidente, che si fregiò sino alla fine del titolo di res publica). Soltanto un’altra entità statale in Italia ha avuto una consistenza e un’importanza paragonabili: lo Stato della Chiesa, il potere temporale del Pontefice.

L’origine di entrambi gli Stati è da ricercarsi nel disfacimento del dominio bizantino in Italia. La caduta dell’Esarcato di Ravenna avviene nel 751 e.v.; la nascita della Serenissima si può datare a partire da un momento imprecisato, qualche decennio prima dell’810 (trasferimento del governo veneto sull’isola di Rialto), quella del Patrimonio di Pietro dal governo diretto del Papa sul Lazio nel 752. Entrambi hanno termine a distanza di qualche decina di anni, Venezia con il trattato di Campoformio (1797), Roma con l’occupazione dell’esercito italiano (breccia di Porta Pia, 1870).

Venezia e Roma, due Stati gemelli, spesso alleati, ancora più spesso in competizione quando non in guerra diretta. Roma estende i suoi tentacoli su tutta la Cristianità, quella che oggi chiamiamo Europa, concetto che in realtà è nato in contrapposizione aperta con la Chiesa. Venezia è proiettata verso il mare e il Vicino Oriente; contende a Roma con le armi e la diplomazia città e terre di confine in Romagna, le alleanze si rompono e ricompongono, i due sono dalla stessa parte contro l’espansionismo turco, tramano l’uno contro l’altro dieci anni dopo. Se la presenza a Roma del vicario di Dio in terra significa a partire dall’alto Medioevo una pesantissima ipoteca sulla politica italiana, una solida Signoria mercantile a Venezia assicura alla Penisola una proiezione internazionale che la frammentata realtà italiana non avrà mai più.

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