Venezia occupa un posto unico nella storia d’Italia. Per mille anni è stata splendida capitale di uno Stato d’importanza mondiale, la Venetiarum Respublica o Repubblica di San Marco, nota anche solo con l’aggettivo sostantivato Serenissima: mille anni, un periodo lunghissimo, superiore a qualsiasi Stato moderno. La stessa durata del dominio di Roma sul mondo classico, dal 509 a.e.v. (rovesciamento della monarchia) al 476 e.v. (caduta dell’Impero Romano d’occidente, che si fregiò sino alla fine del titolo di res publica). Soltanto un’altra entità statale in Italia ha avuto una consistenza e un’importanza paragonabili: lo Stato della Chiesa, il potere temporale del Pontefice.
L’origine di entrambi gli Stati è da ricercarsi nel disfacimento del dominio bizantino in Italia. La caduta dell’Esarcato di Ravenna avviene nel 751 e.v.; la nascita della Serenissima si può datare a partire da un momento imprecisato, qualche decennio prima dell’810 (trasferimento del governo veneto sull’isola di Rialto), quella del Patrimonio di Pietro dal governo diretto del Papa sul Lazio nel 752. Entrambi hanno termine a distanza di qualche decina di anni, Venezia con il trattato di Campoformio (1797), Roma con l’occupazione dell’esercito italiano (breccia di Porta Pia, 1870).
Venezia e Roma, due Stati gemelli, spesso alleati, ancora più spesso in competizione quando non in guerra diretta. Roma estende i suoi tentacoli su tutta la Cristianità, quella che oggi chiamiamo Europa, concetto che in realtà è nato in contrapposizione aperta con la Chiesa. Venezia è proiettata verso il mare e il Vicino Oriente; contende a Roma con le armi e la diplomazia città e terre di confine in Romagna, le alleanze si rompono e ricompongono, i due sono dalla stessa parte contro l’espansionismo turco, tramano l’uno contro l’altro dieci anni dopo. Se la presenza a Roma del vicario di Dio in terra significa a partire dall’alto Medioevo una pesantissima ipoteca sulla politica italiana, una solida Signoria mercantile a Venezia assicura alla Penisola una proiezione internazionale che la frammentata realtà italiana non avrà mai più.
È per questo che Venezia rappresenta per l’Italia una sorta di anti-Roma, un antidoto alla soffocante politica papale, un centro culturale e artistico di importanza europea spesso antagonista, fino a meditare l’introduzione della Riforma nel territorio della Repubblica nel momento di massima contrapposizione, quando nel 1605 papa Paolo V scomunica tutte le autorità civili della Serenissima. John Ruskin scrive della «lotta magnifica e vittoriosa che la Repubblica ha sostenuto contro l’autorità temporale della Chiesa di Roma.»
L’importanza storica di Venezia non è dunque unicamente culturale e artistica, ma anche e soprattutto politica; gli straordinari risultati della sua civiltà, testimoniati dall’arte delle sue chiese, dalla musica che lascia l’impronta su un intero secolo, dall’ineguagliabile fioritura europea dei suoi teatri, sono il frutto della millenaria antitesi rispetto al potere temporale della Chiesa.
Venezia è una macchina del tempo, uno di quei messaggi chiusi in una capsula ermetica e sepolti da qualche parte per i posteri: sotto un manto stradale, in una navicella spaziale, in una tomba. Venezia è un messaggio temporale grande come una città di centomila abitanti.
Scrive il pittore inglese William Hazlitt nel suo Notes on a journey through France and Italy (1826):
A city built in the air would be something still more wonderful; but any other must yeld the palm to this for singularity and imposing effect.
Una città costruita in aria sarebbe una meraviglia ancora maggiore; ma qualsiasi altra dovrà cederle la palma dell’eccentricità e della maestosità. Aliena, lontana, antica, Venezia ha sempre sollecitato nella mente del viaggiatore l’idea di un momento memorabile nella vita, come Johann Wolfgang Goethe ha saputo raccontare:
Sul libro del destino era dunque scritto alla mia pagina che il 28 settembre 1786, alle cinque di sera secondo la nostra ora, entrando dal Brenta nella laguna, avrei visto per la prima volta Venezia, e subito dopo avrei toccato e visitato questa meravigliosa città insulare, questa repubblica di castori.
Durante le ricerche per la scrittura di queste Storie di Venezia mi sono imbattuto nella figura del pittore Francesco Hayez, tra i migliori interpreti delle aspirazioni culturali e politiche della borghesia durante il Risorgimento. Nato a Venezia nel 1791, pochi anni prima che la Rivoluzione arrivasse in città sulla punta delle baionette francesi, è un artista di toccante realismo, molto apprezzato da Mazzini per esempio. Uno dei suoi dipinti, La meditazione seconda versione, quella portata a termine nel 1851, è una metafora dell’Italia umiliata dopo la repressione delle insurrezioni di metà secolo.
Una giovane donna malinconica (Malinconia è un titolo alternativo) tiene in grembo un grosso libro sulla cui costola è stampato in rosso Storia d’Italia; stringe in mano una semplice croce di ferro su cui è punzonata la data delle Cinque Giornate di Milano. La ragazza ha capelli neri sciolti dietro le spalle, tiene il volto leggermente abbassato benché guardi negli occhi lo spettatore, e non si cura dell’orlo della scollatura che è sceso a scoprire il suo piccolo seno destro, molto differente dalla mitografia delle prosperose donne repubblicane nella pittura patriottica. In questo, somiglia di più a una giovane donna dei nostri giorni.
Ogni volta che vedo questo dipinto mi viene in mente, e non sono il solo a giudicare da una breve ricerca sul web, quella straordinaria poesia di Elena Bono dedicata alla Resistenza, intitolata All’Italia che ha combattuto sui monti:
Piccola Italia, non avevi corone turrite
né matronali gramaglie.
Eri una ragazza scalza,
coi capelli sul viso
e piangevi
e sparavi.
Ecco. Se non si considera il retroscena storico e culturale della Meditazione, trovo che la ragazza di Francesco Hayez, di Elena Bono, sia una toccante raffigurazione della Venezia di oggi: non una donna di forme classiche che porta su di sé i segni del millennio della Dominante, ma una giovane toccata dalla nostalgia, forse infelice, forse in preda alla melancholia, che non si cura del seno libero offerto all’occhio di chi guarda.
Per le foto di Venezia © Franco Ricciardiello