In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ho cercato di ricostruire se la fantascienza abbia mai affrontato in maniera seria l’argomento; soprattutto, ho cercato un autore maschio per dimostrare che la violenza di genere non è soltanto una questione femminile. In questo modo mi sono inaspettatamente imbattuto in un romanzo dell’olandese Michel Faber, Sotto la pelle, che pur essendo palesemente fantascienza non è apparso presso l’editoria di genere (in Italia è tradotto da Einaudi), e soprattutto mi sono imbattuto nel film che ne è stato tratto, Under the skin (2012) di Jonathan Glazer — secondo me una delle più belle pellicole di fantascienza nella storia del cinema: inquietante, visionario, reticente con eleganza, di una violenza formale cui non siamo abituati: in poche parole, terribilmente spiazzante. Non deve stupire che Under the skin abbia incassato metà della somma investita dalla produzione: la sua estetica è troppo lontana dai consolanti blockbuster di effetti speciali hollywoodiani che hanno distorto il gusto del pubblico.
Come nella migliore tradizione della science-fiction speculativa, Under the skin rappresenta il tema della violenza di genere tramite un’inversione narrativa: la protagonista femminile è una di cacciatrice seriale di uomini che vengono abbordati, allettati e poi eliminati brutalmente. A un certo punto si capisce che la ragazza non è di origine terrestre, tanto che qualche recensione[i] richiama esplicitamente L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg. Verso il finale invece va in scena un rovesciamento dei rapporti di forza, una ricomposizione del senso, e la cacciatrice diventata femmina umana si trasforma in preda sessuale.