La ragazza che cadde sulla Terra

“Il miglior film del 2014” (Cahiers du Cinema)

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ho cercato di ricostruire se la fantascienza abbia mai affrontato in maniera seria l’argomento; soprattutto, ho cercato un autore maschio per dimostrare che la violenza di genere non è soltanto una questione femminile. In questo modo mi sono inaspettatamente imbattuto in un romanzo dell’olandese Michel Faber, Sotto la pelle, che pur essendo palesemente fantascienza non è apparso presso l’editoria di genere (in Italia è tradotto da Einaudi), e soprattutto mi sono imbattuto nel film che ne è stato tratto, Under the skin (2012) di Jonathan Glazer — secondo me una delle più belle pellicole di fantascienza nella storia del cinema: inquietante, visionario, reticente con eleganza, di una violenza formale cui non siamo abituati: in poche parole, terribilmente spiazzante. Non deve stupire che Under the skin abbia incassato metà della somma investita dalla produzione: la sua estetica è troppo lontana dai consolanti blockbuster di effetti speciali hollywoodiani che hanno distorto il gusto del pubblico.

Come nella migliore tradizione della science-fiction speculativa, Under the skin rappresenta il tema della violenza di genere tramite un’inversione narrativa: la protagonista femminile è una di cacciatrice seriale di uomini che vengono abbordati, allettati e poi eliminati brutalmente. A un certo punto si capisce che la ragazza non è di origine terrestre, tanto che qualche recensione[i] richiama esplicitamente L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg. Verso il finale invece va in scena un rovesciamento dei rapporti di forza, una ricomposizione del senso, e la cacciatrice diventata femmina umana si trasforma in preda sessuale.

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I segreti delle sabbie vermiglie

È un peccato che I segreti di Vermilion Sands  sia, insieme a La gentilezza delle donne, l’unica pubblicazione in volume di J.G. Ballard trascurata dalle case editrici che da qualche tempo hanno ripreso la sua opera in collane non di genere. In Italia è apparsa solo una bella edizione nel lontano 1976, cinque anni dopo l’originale inglese, con prefazione di Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco. Vermilion Sands è uno dei cicli di racconti più compatti nella storia della fantascienza — ma forse il problema editoriale è proprio questo: si tratta di storie che se da un lato rispettano i requisiti delle riviste di science-fiction degli anni Cinquanta e Sessanta (e di conseguenza appaiono decisamente spiazzanti per il lettore mainstream), dall’altro lato rispondono all’estetica dell’inner space contrapposto all’avventura nello spazio esterno, per cui possono scontentare il nuovo pubblico di genere, ora che l’estetica della new wave è tramontata.

Un vero peccato, perché i nove racconti di Vermilion Sands sono storie di grande bellezza, il tentativo di creare un mito letterario intorno a questa immaginaria città di un immaginario futuro, tutt’altro che distopico, nel quale le arti, da sempre figlie di un dio minore nella letteratura di fantascienza, hanno un’importanza fondamentale.

Magdalena Radziej (Varsavia) “Neon Lama”

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1Q83 — parte III

Questo intervento conclude una breve serie di tre post dedicati a altrettanti nomi nuovi della fantascienza italiana. Senza alcuna intenzione di fare torto a altri che ancora non conosco, ho semplicemente voluto fare omaggio a tre autrici che mi hanno impressionato quando, tornato a leggere con continuità fantascienza dopo anni di disaffezione, ho scoperto che la consapevolezza della scrittura si è molto elevata rispetto ai tempi in cui frequentavo il fandom. Preciso per l’ultima volta che i tre nomi protagonisti di questi post hanno in comune la pubblicazione prevalentemente su eBook, l’interesse per le scienze e l’anno di nascita (il 1983).

Il terzo e ultimo nome è quello di Giulia Abbate.

Giulia Abbate è nata a Roma il 6 febbraio 1983; ha studiato all’Università Roma 3, quindi si è laureata in Editoria alla Statale di Milano, dove si è trasferita a vivere dal 2004. Tre anni dopo apre insieme all’amica di sempre, Elena Di Fazio, un’agenzia letteraria, Studio83, che offre servizi di coaching di scrittura: valutazioni di opere inedite, impaginazione eBook, ricerca editori. Nel 2007 Abbate e Di Fazio pubblicano un’antologia a quattro mani, Lezioni sul domani, che nel primo anno in cui è scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore Il castello volante totalizza oltre 2000 download. Ancora insieme a Di Fazio, cura la collana Futuro presente di Delos Digital. È sposata e ha due figlie. A proposito della propria scrittura, ha detto:

«Grandi temi filosofici e cambiamenti planetari implicano conseguenze che posso descrivere solo calandole in una vita singola, descrivendole in piccoli dettagli, dedicandomi alle cose pratiche che sono quelle quotidiane, quelle che definiscono la nostra vita. I temi sono quelli tipicamente umani. La vita, la morte. Le relazioni interpersonali, le reazioni individuali. Le domande di senso. Femmine contro maschi. Come si stermina una mansueta tribù aliena con il minimo sforzo e facendo pure bella figura.»[i]

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Storie di Venezia

Il 2 novembre è iniziata la distribuzione in libreria di Storie di Venezia, un libro che ho costruito sulla falsariga del precedente Storie di Parigi: una lunga avventura nei luoghi della città millenaria in cui vissero scrittori e musicisti, dove furono girati film e composte musiche che ancora oggi ascoltiamo, per raccontare tutte le loro storie: oltre 500 pagine di testo con centinaia di illustrazioni. In questo post riporto un frammento del capitolo introduttivo.

Anche se te lo aspetti, quando il treno lascia la terraferma a Mestre per correre sopra l’acqua immobile della laguna, un’emozione antica sospende per qualche momento il battito del cuore. Se poi è una di quelle giornate grigie di metà autunno o di inizio primavera, il medesimo colore slavato si riflette sopra e sotto il ponte, in lontananza fino al confine tra cielo e mare; quel bianco sporco e traslucido lascia intuire l’esistenza di un altro mondo, completamente differente da quello cui sei abituato. La laguna in una giornata di nuvole è una porta affacciata su un singolare atout, parzialmente fuori dall’esperienza comune. La tua vita è alle spalle, da qui in avanti c’è soltanto Venezia.

Dopotutto il ponte è lungo soltanto 3850 metri, e a metà ottocento era anche più corto, 3600 metri, eppure era il più lungo del mondo, orgoglio dell’Impero Austriaco. Inaugurato l’11 gennaio 1846, viene parzialmente distrutto tre anni dopo, durante l’assedio che soffoca la Repubblica di San Marco al tramonto del biennio delle grandi rivoluzioni.

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