Apophis: si sveglia il dio del caos

Tra le (molte) idee fuorvianti intorno al genere fantascienza, la più ingenua e dannosa è l’opinione che il valore di un’opera sia direttamente collegato alla sua capacità predittiva: al fatto, cioè, che l’autore o l’autrice siano stati in grado di prevedere, magari con anni o decenni di anticipo, cambiamenti sociali o innovazioni tecniche che si stanno verificando nei giorni in cui viviamo. Senza parlare di quelle convinzioni superficiali, e purtroppo piuttosto diffuse, per cui romanzi dolorosi e profondi come 1984 di George Orwell abbiano descritto tre quarti di secoli fa una situazione di controllo sociale che sarebbe in atto nei giorni nostri.

La verità è che la validità di un romanzo di science fiction, e l’abilità di chi l’ha scritto, non si giudica “a posteriori”, se cioè la sua inventiva tecnologica ha retto o meno al passare del tempo, ma nel momento in cui viene pubblicato. Pensare che la letteratura abbia una funzione predittiva è mortificante: il suo valore sta nelle qualità letterarie, nella capacità di descrivere cosa accadrebbe se si verificasse lo scenario immaginato.

In questo senso, è utile giudicare la capacità di proiettare sul futuro scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche che sono oggi in nuce, appena agli albori, e speculare su come cambieranno il nostro futuro, il futuro della civiltà.

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