Una stupenda creatura idiota

Ho letto questo romanzo di Flavio Torba, uscito da pochi giorni per Delos Digital, per tre diversi motivi.

  • Il primo è il titolo, perché sono convinto che ci sia una stretta relazione tra la qualità del contenuto e la capacità di trovare un’etichetta attraente a appiccicarci sopra;
  • il secondo è il fatto che avevo letto un precedente racconto lungo di Torba, “Ora i maestri muoiono”, che pur non avendomi soddisfatto, mi sembrava promettere sviluppi futuri — anche quel titolo è allettante;
  • il terzo motivo è il fatto che Stupenda creatura idiota è stato finalista al Premio Urania dell’anno scorso, e volevo confrontarlo con il vincitore, Per le ceneri dei padri di Davide Del Popolo Riolo.

A lettura terminata, eccomi con due buone notizie:

  1. Anche io avrei fatto vincere il romanzo di Del Popolo, che è superiore;
  2. Tuttavia, è vero che Stupenda creatura idiota è inferiore, ma non di molto.
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Trombamici da cuccetta d’astronave

Sesso e amore nella science fiction

Finché la fantascienza venne considerata come una semplice estensione del mercato fumettistico per bambini, ovviamente essa si mantenne scrupolosamente lontana deal sesso, sia che si trattasse di riferimento espliciti, impliciti o in qualsiasi altro modo. […]
Gli scrittori di fantascienza […] hanno sempre dimostrato una specie di blocco psicologico verso le donne. Essi tendono a sublimarle, trasformandole in mostri o angeli. La cosa si nota chiaramente in un classico di Ray Bradbury, Cronache marziane (1951). Come si possono scordare le sue fragili ragazze marziane, fatte di seta, gioielli e luce di luna?

Keith Roberts, La fantascienza e la “Barriera del Sesso”, Enciclopedia della Fantascienza vol. V

1 — Niente sesso, siamo nerd

La science fiction è nata come letteratura per nerd. Hugo Gernsback, il fondatore delle prime riviste pulp, era un appassionato di elettrotecnica; è con questo spirito che pubblicò il suo romanzo Ralph 124C 41+ (1911), che oggi consideriamo giustamente illeggibile. Dello stesso spirito informò le pubblicazioni che dirigeva, e incoraggiò gli autori che attirava a sé: un “movimento non solo rozzo, ma investito dalla disapprovazione di quanti non ne facessero parte”.[1]

Questa letteratura si rivolgeva a un pubblico di fanatici della meccanica, e dunque della tecnologia più che della scienza: adolescenti di sesso maschile che la puritana morale americana teneva lontani dalle donne. Nella prima fantascienza, l’argomento standard in tema di sesso era quel “racconto di fate (ad esempio la space opera con il triangolo eroe-principessa-mostro in costume da astronauti” che Darko Suvin considera “un suicidio creativo”[2]: un finto romanticismo che manteneva rigorosamente separati i due sessi, e relegava le donne a una sfera di occupazioni tradizionali, all’irrazionale, ai sentimenti più che all’azione.

Per contrasto, questa letteratura da elettrotecnici non escludeva che le copertine di Amazing Stories (un po’ meno quelle dell’altra rivista gernsbackiana, Science Wonder Stories) riproponessero un’immagine stereotipata e fortemente sessualizzata della donna, di esplicito erotismo — formula che contaminerà anche le riviste concorrenti nate sull’onda di quel successo. Dunque, richiami sessuali in copertina, con damsels in distress o in mise imbarazzanti inadatte all’esplorazione spaziale, mentre i testi all’interno mantengono il riserbo più assoluto sul sesso: una forma di frustrazione bastone+carota che probabilmente attizza i lettori del tempo.

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Io e Lei (6)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

La sesta puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura è presa dalla prefazione al romanzo “Radio Hasselblad”, che ho reso disponibile in autopubblicazione dopo che è uscito dal catalogo Mondadori: racconta l’inizio del nuovo millennio, la pubblicazione di “Aux frontières du Chaos” in Francia presso Gallimard, e poi altre traduzioni in Francia e Grecia; termina con la vittoria al premio Gran Giallo Città di Cattolica.

continua dalla quinta parte


Io e lei, parte III

(da Franco Ricciardiello, “Radio Hasselblad”, 2015)

Il nuovo millennio si apriva per me sotto i migliori auspici. La notte di San Silvestro inaugurai l’anno 2001 iniziando la lettura di Mason & Dixon di Thomas Pynchon, acquistato un mese prima e messo da parte per l’occasione. Oramai la fantascienza aveva uno spazio sempre minore nelle mie letture. A Pynchon ero arrivato grazie alla “guida schematica” scritta da Richard Kadrey e Larry McCaffery in appendice al volume rilegato Cyberpunk curato da Piergiorgio Nicolazzini per l’Editrice Nord. Già qualche anno prima avevo letto V. e L’incanto del lotto 49, anche se fu L’arcobaleno della gravità  a cambiare la mia idea di letteratura. Da Pynchon in poi il mondo aveva un sapore nuovo, e lo sterminato continente postmoderno sul quale mi affacciai (DeLillo, Wallace, Gaddis, Vollmann, Rushdie, Eco, Chandra, Murakami, Mo Yan e molti altri ancora) è ancora in buona parte da esplorare.

Il 18 gennaio 2001 apparve nella collana Imagine della casa editrice Flammarion il romanzo Aux frontières du chaos, edizione francese di Ai margini del caos. Avevo ottenuto dal traduttore Jacques Barbéri di supervisionare in anteprima il testo. In primavera fui invitato ufficialmente alle Utopiales a Nantes, grande appuntamento della fantascienza transalpina, insieme a autori di tutta Europa. In Francia era davvero il momento degli italiani, grazie al fantastico exploit di Valerio Evangelisti che ci aveva trascinati con sé, a partire da Luca Masali che ebbe un buon successo con la traduzione di I biplani di D’annunzio.

Aux frontières du chaos Gallimard, 2001

Non era la prima volta che partecipavo a un congresso francese: ero già stato a quello di Nancy e anche a Poitiers, in entrambi i casi insieme a Nicolazzini, che era divenuto il mio agente letterario, e ogni volta avevamo fatto tappa a Parigi. In una di queste occasioni ci recammo in visita alla sede di Flammarion, che allora era in rue Racine, pieno Quartiere latino; incontrammo l’editor Jacques Chambon, che purtroppo sarebbe morto prematuramente pochi anni dopo. In occasione della presentazione al pubblico dell’antologia Fragments d’un miroir brisé, raccolta di autori italiani selezionati da Evangelisti, conobbi un altro editor, Doug Headline, e anche Cesare Battisti, che in quegli anni non era ancora famoso perché la sua latitanza non sembrava indignare che i pochi che in Italia si ricordavo di lui. Battisti era ben inserito nel milieu letterario parigino, e pubblicava romanzi neri per Payot.

Il 2001 fu un anno anomalo nella mia carriera: l’unico in cui fui pubblicato solo all’estero e non in Italia. Sulla raccolta Utopiae 2001- Fin de l’Odyssée? apparve Torino nella traduzione di Éric Vial. Intanto Aux frontières du chaos raccoglieva in Francia molte recensioni, quasi tutte positive; quella su Litteraire.com, a firma di Isabelle Roche, arrivò a commuovermi:

Au fond, c’est la sensation confuse que ce roman n’obéit à aucun des codes romanesques habituellement en vigueur qui dérange tant. […] L’expérience qui constitue la lecture de ce livre se situe, elle aussi, “aux frontières du chaos”. In fondo, è la confusa sensazione che questo romanzo non obbedisca a nessuno dei codici romanzeschi in vigore che disturba tanto. L’esperienza che costituisce la lettura di questo libro si situa, essa stessa, “ai margini del caos”.

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Io e Lei (4)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Quarta puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura. Il presente post riproduce la seconda parte della mia prefazione a una antologia di miei racconti: contiene il periodo centrale degli anni Novanta, quello che precedette la mia partecipazione al Premio Urania con “Ai margini del caos”.

continua dalla terza parte


Io e lei, parte II

(da Compagno di viaggio. Dieci racconti di fantascienza di Franco Ricciardiello, Marco Cordero editore, Genova, Giugno 2015)

In quegli anni dovetti constatare un fenomeno non proprio piacevole, almeno per me: ricevevo molte richieste di materiale da fanzine di ogni tipo, segno che il mio nome era ormai conosciuto nell’ambiente; qualsiasi cosa inviassi ai curatori veniva accettata senza richiesta di modifica, fossero raccontini già editi dieci anni prima, fondi di cassetto oppure pezzi scritti apposta. Decisi di mettere alla prova questo atteggiamento acritico, e partecipai sotto pseudonimo a un concorso letterario bandito addirittura dalla redazione di Intercom! Il racconto, intitolato Adriana, superò le selezioni per arrivare nella rosa dei finalisti.Siccome facevo parte di questa giuria finale, detti al mio racconto un voto medio-basso; arrivò comunque terzo classificato e uscì sul numero 136/137 di Intercom, nel 1994. Roberto Sturm però mi smascherò perché conosceva bene il mio stile di scrittura. Santoni fece comunque uscire il racconto con lo pseudonimo che avevo scelto io, Valeria Colombo.

Intercom n. 136/137 contiene il mio racconto “Adriana” pubblicato sotto pseudonimo

Quasi in contemporanea, Sturm e io giocammo lo stesso tiro a Cristiano Cascioli, inviandogli un racconto scritto a quattro mani che apparve su Baliset con lo pseudonimo Roberta Ricci: Cascioli però non sospettò nulla finché non glielo rivelammo. Il racconto si intitolava Quando c’era il mare, frase che trassi da un verso di Sergio Endrigo.

Le bibliografie di Valeria Colombo e Roberta Ricci continuarono per qualche tempo: insieme a Sturm e Santoni partecipai a un romanzo collettivo Cronache dei giorni sintetici, ma non avevamo un’idea complessiva del progetto e pubblicammo solo una prima parte. La carriera letteraria di Valeria Colombo invece continuò fino al 1996 con due racconti su Diesel Extra (Henriet sapeva dello pseudonimo) e sulla fanzine palermitana Terminus curata da Emiliano Farinella.

Entro la metà degli anni Novanta pubblicai su numerose fanzine, praticamente tutte quelle che non avevano la medesima posizione ideologica di Enrico Rulli: la romana Algenib di Fabrizio Frattari, la barese Future Shock di Antonio Scacco, L’Eterno Adamo di Mario Leoncini, e poi ancora Gli occhi di Medusa, Nettezze Arcane, Cybola, Oltre, Fanzine, Itaca.

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Io e Lei (3)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Diversi anni dopo la pubblicazione di quel “Io e lei” sulla fanzine Intercom, decisi di continuare il racconto sul mio rapporto con la scrittura. L’occasione fu la pubblicazione, da parte della casa editrice genovese Marco Cordero, di un’antologia personale di miei racconti.

Il presente post riproduce la prima parte di quel lungo intervento, e racconta il periodo fino al 1993.

continua dalla seconda parte


Io e lei, parte II

(da Compagno di viaggio. Dieci racconti di fantascienza di Franco Ricciardiello, Marco Cordero editore, Genova, Giugno 2015)

Nel 1989 Danilo Santoni propose a alcuni collaboratori fissi della sua fanzine Intercom di scrivere un testo intitolato Io e lei dedicato al rapporto personale con la fantascienza; se non ricordo male ne apparvero tre edizioni su numeri consecutivi, a firma del sottoscritto, di Roberto Sturm e di Santoni stesso; la presentazione di questa antologia è l’ideale continuazione di quell’intervento.

Rileggendo Io e lei mi rendo conto di quanto in quel momento fossi coinvolto nel fandom, il mondo degli appassionati che costituiva un circuito amatoriale separato. L’editoria infatti negli anni Settanta e fino a metà del decennio successivo aveva precluso agli autori italiani l’accesso alla grande distribuzione, sulla base di un pregiudizio in parte condivisibile: è vero che la cultura umanistica dello scrittore amatoriale produceva materiale acriticamente simile alla science-fiction di serie B d’oltre oceano, che costituiva il 90% dei titoli pubblicati, ma è altrettanto vero che in quella palude erano comunque cresciuti spontaneamente, senza aiuto né incoraggiamento, fiori d’autore che avrebbero meritato la stessa attenzione dei colleghi che pubblicavano letteratura poliziesca.

Nelle ultime righe di Io e lei dicevo di avere letto in totale 424 romanzi di fantascienza; a oggi [2015, NdA] non sono aumentati in misura proporzionale (sono 580), perché a partire dalla metà degli anni Novanta, con l’affievolirsi del cyberpunk, ho progressivamente ridotto il mio interesse nel genere science fiction. La causa non è soltanto il variare del mio gusto personale, e il fatto che cominciassi a leggere molta narrativa non di genere; anzi questo era un effetto dell’esplosione editoriale del deprecato fantasy, che non è un sottogenere del fantastico bensì quanto di più distante dall’immaginario tecnologico si possa concepire.

Ciò non significa che io abbia smesso di scrivere e pubblicare fantascienza, soprattutto perché la forma della narrativa d’anticipazione è impressa indelebilmente nella mia capacità di scrittura, e inoltre ricevo regolarmente richieste di partecipazione a iniziative editoriali mirate.

Nel 1990 era impensabile prevedere gli sviluppi futuri, che insieme all’editoria elettronica avrebbero sconvolto il fandom; anzi il cyberpunk, esploso negli USA nel decennio precedente, ingrossava in Italia un’onda di piena che avrebbe travolto completamente gli argini di genere, il “ghetto” della fantascienza: a differenza dei predecessori, i molti nuovi lettori non operavano una scelta consapevole, dal momento che non percepivano il cyberpunk come un genere letterario minore bensì come una categoria estetica d’avanguardia.

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Sognavamo metropoli d’acciaio

Il presente post è il testo dell’intervento che ho tenuto in pubblico al MuFant, Museo dalla fantascienza e del fantastico di Torino, il 13 novembre 2022, in occasione della Biennale Tecnologia Torino, il cui programma era dedicato alla Città.


La Città Futura nella letteratura di fantascienza: non solo macchine volanti

Nel suo secolo abbondante di vita, la fantascienza non ha raccontato solo extraterrestri, astronavi, robot e viaggi nel tempo; fino dai suoi albori come genere letterario, al centro del suo immaginario c’è stata anche la Città.

La città è il centro propulsore della seconda rivoluzione industriale, il luogo dove la tecnica si dispiega con tutta la forza, dove la scienza trova laboratori, cervelli, centri di ricerca, dove sorgono fabbriche e si concentra la manodopera, dove il denaro si forma e si moltiplica. La città sembrava, alle generazioni di inizio Novecento, una porta su un magnifico futuro di progresso.

Ancora più che nel passato, oggi la città diventa una vetrina dell’intelligenza umana, il volto della civiltà, ed è facile intuire che la sua importanza crescerà ancora nei prossimi anni.

La città del futuro ha affascinato non solo scrittori e scrittrici, ovviamente; anche l’illustrazione di fantascienza si è nutrita dei medesimi sogni, anzi parola e immagine si sono alimentate l’una con l’altra:

“Le città del futuro hanno affascinato gli illustratori di fantascienza almeno quanto hanno affascinato gli scrittori e molte illustrazioni hanno dipinto vaste e complesse strutture che gli artisti si sono raffigurate con gli occhi della mente. Strade scorrevoli, marciapiedi sopraelevati, marciapiedi mobili, taxi aerei, apparecchiature per lo spostamento aereo individuale, corsie per il traffico automatizzato per macchine controllate da computer, enormi edifici di vetro e grandiose cupole che racchiudono intere metropoli… La lista è infinita e la varietà senza fine.”

(Frederik Pohl, “Introduzione a una sociologia aliena”, in Enciclopedia della fantascienza, vol,. 5, editoriale Del Drago 1980)

Questo intervento vuole presentare, per sommi i capi ma spero anche, in maniera approfondita, la varietà dei modi in cui la Città è stata protagonista della letteratura di fantascienza, tenendo anche presente l’immaginario degli artisti visuali, in omaggio a quel “circolo virtuoso” di ispirazione che attinge a un sense of wonder rintracciabile nell’illustrazione di fantascienza, come nella narrativa.

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Le «Ragazze Morte» di Richard Calder

La vicenda editoriale di Richard Calder in Italia è il tipico esempio di come la fantascienza nostrana, ancora più di quella anglosassone e di altre fantascienze autoctone, non riesca a valorizzare le voci che potrebbero portare a un radicale cambiamento della percezione del genere, agli occhi del pubblico e della critica.

Richard Calder, nato nel 1956 a Londra e vissuto per oltre un decennio in Thailandia e Filippine per sfuggire ai «vincoli fisici e psicologici della nauseante periferia della sua infanzia», ha iniziato a pubblicare a trentasei anni. Non sono molte le opere nella sua bibliografia; in Italia sono apparsi negli anni Novanta tre racconti in antologie cyberpunk (benché sia decisamente opinabile la sua appartenenza al sottogenere), più due romanzi: per l’Editrice Nord Virus ginoide (Dead Girls, 1992), titolo orribile ma splendida traduzione di Fabio Zucchella, e su Urania L’ultima invasione (The Twist, 1999), grazie a una precisa scelta del compianto Giuseppe Lippi. In totale, in 18 anni di carriera (dal 2010 non pubblica più) Calder ha pubblicato in inglese solo dieci romanzi.

Eppure apparentemente Richard Calder ha tutti i requisiti per piacere: un’immaginazione pirotecnica, una capacità rara di creare mondi, società, situazioni narrative squisitamente fantascientifiche (anche se egli si definisce piuttosto surrealista), una fantasia visionaria e un’invidiabile padronanza del “futuribile”. Perché allora ha avuto un successo limitato, conservando solo uno zoccolo duro di estimatori; e soprattutto, perché in Italia non ha proprio sfondato?

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