La lettura della quarta di copertina spinge a pensare che questo romanzo sia una delle molte, troppe “distopie” (io preferisco dire “nuovo distopico italiano”) che si pubblicano oggi in Italia; sembra che ogni aspirante lettore, al suo primo approccio con il genere, scelga di cimentarsi con uno scenario più o meno catastrofico e il risultato è abbastanza omologante — per non dire deprimente. È questo tutto ciò che riusciamo a fare con gli strumenti della fantascienza?
Non è però il caso di questo romanzo di Maurizio Cometto.
Innanzitutto, la sua scrittura è molto curata, sintomo di una volontà di controllo sul mezzo — e probabilmente di una progettazione a priori, oltre che di un processo di revisione al quale non molti si sottopongono. C’è in giro un’idea romantica per cui la revisione spetterebbe all’editor, o alla casa editrice, mentre l’autore (o l’autrice) avrebbe libertà di espressione, anche a costo di errori di ortografia, consecutio temporis, infodump e altre perle narrative.
Secondo aspetto positivo sono i dialoghi: non vi sono sbavature né infodump (o meglio, ce n’è uno solo, ma attutito, e comunque non è all’interno di un dialogo), i personaggi non parlano soltanto perché si incontrano. L’alternanza tra discorso diretto e pensieri del protagonista è giustamente misurata per suscitare la curiosità del lettore, e favorisce l’immedesimazione.
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