Antifrasi di Mishima

Lunedì 6 novembre organizzerò con gli amici di As/Colto un Racconto di Musica che prevede l’ascolto pubblico di Async, ultimo lavoro di Sakamoto Ryuichi, e la lettura di passi scelti da «Il mare della fertilità», quadrilogia di romanzi terminati da Mishima Yukio poco prima del suicidio nel 1970. Si tratta dell’opera più ambiziosa di uno dei più discussi autori del secolo scorso, autentico personaggio mediatico che modellò la propria vita come aveva imparato dai suoi maestri europei, Wilde e Nietzsche, ma soprattutto D’Annunzio (del quale Mishima tradusse in giapponese il “Martirio di San Sebastiano”).

Aberto Moravia, che intervistò Mishima quando in Europa era etichettato come “fascista”, lo definì piuttosto “un conservatore decadente”. Mishima in realtà non avallò mai alcuna appartenenza ideologica, e non ebbe problemi a rispondere all’invito dello Zenkyōtō, il Comitato di Lotta interfacoltà degli studenti di sinistra, per una serie di conferenze nelle università sconvolte dal 1968, altrettanto vivace in Giappone che in Europa. Non bisogna dimenticare che da giovane lo scrittore mosse i primi passi intorno a Bungei bunka, rivista pubblicata tra il 1938 e il 1944 dal circolo neoromantico del primo periodo Shōwa, composto da artisti provenienti dal marxismo; né bisogna dimenticare che non furono considerazioni meramente ideologiche a spingerlo a denunciare pubblicamente nel 1967 la Rivoluzione culturale cinese, insieme al futuro premio Nobel Kawabata Yasunari, bensì una concezione che precisò l’anno successivo nel saggio Sulla cultura: affinché un sistema culturale possa trasferirsi di generazione in generazione, è necessario che il sistema politico garantisca libertà di pensiero e pluralità di espressione democratica. È evidente che quest’idea è inconciliabile con la politica maoista del tempo.

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Science-fiction Creative writing: è possibile insegnare a scrivere fantascienza?

TESTO DELL’INTERVENTO TENUTO DURANTE «STRANIMONDI 2017»

Nate nelle università USA, le scuole di scrittura si sono diffuse in tutto il mondo; ma sarebbe possibile ipotizzare una scuola dedicata solo alla scrittura di fantascienza? Qual è l’aspetto narratologico che differenzia la SF dagli altri generi? È possibile studiarlo e insegnarlo? E soprattutto, una «scuola» di fantascienza sarebbe utile per migliorare la qualità della scrittura in Italia?

Fino dai primi passi della fantascienza nel nostro paese, siamo stati troppo tolleranti con gli autori italiani. Cresciuti in un vero e proprio ghetto, ci siamo costruiti al suo interno una seconda cerchia di mura protettive per tenere fuori la Letteratura. Questo cerchio interno si chiamava fandom. Per anni all’interno del fandom ci siamo confrontati non con gli scrittori pubblicati dalle case editrici, ma con altri fanzinari. Questo ha abbassato il livello qualitativo della scrittura, perché ci siamo sempre accontentati di essere meglio degli altri scrittori del fandom. È questa la ragione per cui la fantascienza italiana è rimasta indietro rispetto non solo a quella americana, inglese o russa, ma persino dietro quella francese.

Oggi finalmente due cose sono cambiate:
1) le barriere sono cadute, sono venuti meno i pregiudizi del grande pubblico nei confronti del genere, un tempo considerato letteratura d’evasione; oggi esiste un potenziale lettore che non è lo scrittore amatoriale;
2) l’offerta di fantascienza aumenta, grazie a numerose case editrici minori e  all’editoria digitale.

In questo nuovo brodo di coltura stanno emergendo autori e tendenze molto interessanti, che non possono rimanere isolati. Se vogliamo sostenere questo momento favorevole, forse i tempi sono maturi per una scuola in cui si insegni a scrivere fantascienza, che ci aiuti a uscire dal provincialismo di tópoi stantii e da una lingua che oramai è diventata una palude.

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1Q83 — parte I

Tutto sembra essere cambiato nella fantascienza italiana durante anni in cui ho cessato di occuparmene attivamente, salvo pubblicare racconti su antologie presso editori non specializzati. Innanzitutto, come chiunque può verificare, per esempio durante una manifestazione come Stranimondi, il panorama delle case editrici di genere si è molto arricchito, e con un ventaglio di pubblicazioni di assoluto rispetto; in secondo luogo, l’editoria elettronica ha reso più semplice l’approdo dei nuovi autori a una pubblicazione professionale; terzo, non meno importante, l’interesse per il genere fantasy non è più così pervasivo da condizionare pesantemente i canali editoriali. Quando la mia disaffezione ebbe inizio, per esempio, il pubblico femminile (e di conseguenza le potenziali autrici) non era interessato alla fantascienza se non in una parte minimale. Persino il genere hard, tecnologico, da sempre snobbato dagli autori italiani, è finalmente arrivato al centro della riflessione letteraria dopo anni di ubriacatura fantastica.

Queste le ragioni per cui ho ripreso a leggere fantascienza italiana.

Quasi subito mi sono imbattuto in un trio di voci nuove — nel senso che ancora non erano arrivate alla pubblicazione quando iniziò la mia disaffezione. Hanno in comune la pubblicazione prevalentemente su eBook (molto gradita dai nuovi appassionati di fantascienza, favorevoli “per definizione” alle nuove tecnologie), l’interesse per le scienze in generale e l’anno di nascita, il 1983: per cui ho voluto intitolare 1Q83 questa serie di post, ciascuno dedicato a uno dei tre nomi, citando il titolo di un romanzo di Murakami Haruki, 1Q84, dove la lettera Q stava per question mark (punto di domanda): ’84 di quale spaziotempo?

La prima delle tre voci è quella di Serena M. Barbacetto.

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