14 luglio

Oggi, anniversario della presa della Bastiglia, evento dal quale si fa per convenzione iniziare la Grand Révolution che è l’atto iniziale del mondo moderno, pubblico il doppio incipit del mio romanzo “Termidoro” del 2016, apparso in ebook per Delos Digital.

Siccome l’editore lascia liberi i diritti di pubblicazione delle sue opere nella versione cartacea, salvo utilizzo di una copertina differente per non ingenerare confusione, ho reso disponibile il romanzo in volume, per chi preferisse tenere in mano l’oggetto-libro.

La versione ebook si può acquistare qui oppure su tutti gli store online a € 3,99
La versione libro si può acquistare qui a € 12,50

Copertina dell’edizione ebook Delos digital

Termidoro: la trama

Fine 2088, le aspettative di vita sono enormemente allungate, in Europa le classi più anziane detengono saldamente le leve del potere. Parigi si prepara per celebrare il trecentesimo anniversario della presa della Bastiglia. La multinazionale Dàxuéshì Xīhăi, principale partner commerciale della Sorbona, vuole produrre per l’anniversario della Rivoluzione un lungo reality show nel quale i vincitori di un concorso si troveranno a interagire virtualmente nei luoghi e nel tempo della rivoluzione: la presa della Bastiglia, l’Assemblea costituente, eccetera. Questo è possibile grazie alle possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnologia di viaggiare attraverso il tessuto spaziotemporale per inviare nel passato minuscole telecamere in grado di restituire un flusso quantistico di informazioni: immagini tridimensionali, suoni, odori. Il filosofo Renoir, docente universitario, è l’ispiratore della Gioventù Dorata, un gruppo di dissidenti che organizza nelle catacombe di Parigi concerti musicali e cerimonie segrete. Renoir pretende una maggiore responsabilità di governo per i più giovani; per mettere i bastoni tra le ruote al potere, progetta un film-verità alternativo al reality ufficiale su uno dei momenti cruciali della rivoluzione: la caduta di Robespierre e la fine della dittatura montagnarda. Incaricato delle riprese è il protagonista del romanzo “Termidoro”, Massenzio Manns, uno studente italiano che frequenta il corso di Cinematografia alla Sorbona. Renoir riesce a assicurarsi la sua collaborazione come operatore grazie all’influenza di Aïcha, studentessa della sua stessa età e attivista animalista. Ma Renoir ha anche un ambizioso progetto parallelo: riportare alla luce, dalle catacombe dove sono stati gettati, i resti mortali di Maximilien Robespierre per dare loro sepoltura, in modo da fare pubblicità al progetto di film-verità.

La trama parallela a capitoli alterni presenta gli avvenimenti filmati da Massenzio con la telecamera quantistica, su incarico di Renoir.

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Io e Lei (9)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Questa parte del racconto sul mio rapporto con la scrittura parla della collaborazione con la casa editrice Odoya e delle mie prime partecipazioni a Stranimondi

continua dall’ottava parte


Continuava intanto l’infaticabile lavoro d’antologista di Gian Filippo Pizzo, sempre alla ricerca di nuovi argomenti e di altre case editrici. Per ogni nuova iniziativa mi contattava, e mi sono sempre fatto punto d’onore di corrispondere alle sue richieste. Partecipai così a un’antologia di gialli di fantascienza, a un’altra su science fiction e arte, e a una terza di fantascienza e guerra, con racconti scritti appositamente.

Nel frattempo Pizzo fece da catalizzatore per un’altra impresa letteraria che mi avrebbe occupato per la seconda metà del decennio. Durante una chiacchierata con me, lui e Walter Catalano avevano saputo che qualche anno prima avevo scritto un lungo testo non di fiction, intitolato Storie di Parigi, una inusuale guida letteraria alla capitale francese, ancora inedito. Pizzo lo raccontò a Marco Desimoni, proprietario di Odoya Edizioni, per il quale avevano pubblicato sia lui che Catalano, così ricevetti un sollecito a inviargli il manoscritto. Con mia sorpresa, Desimoni accettò subito e mi sottopose un contratto d’edizione; non solo, mi propose anche di pubblicare il successivo Storie di Venezia che stavo scrivendo con lo stesso concetto.

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Valerio

Non avrei voglia di scrivere questo. Ancora troppo forte è l’amarezza. Sento però di dovertelo.

È strano che nel pensare a te, sia prima che dopo quel 18 aprile, mi tornino alla mente soprattutto ricordi di noi due in Francia: noi autori italiani di Urania, Masali e il sottoscritto, ci arrivammo grazie allo straordinario successo oltralpe del tuo Eymerich. Ci siamo conosciuti però in Italia, a Torino, in occasione di un ritrovo di appassionati. È soprattutto a te, oltre che a Lippi, che devo la mia vittoria al premio Urania: fosti tu a importi su quanti nella giuria, come Curtoni, ritenevano che Ai margini del caos fosse fuori standard rispetto alla collana da edicola, e che meritasse altro tipo di collocazione editoriale. Ma riuscisti a convincerli che rimandarlo a altra destinazione equivaleva a non pubblicarlo. Mi restituisti, e l’ho ancora, la copia dattiloscritta che leggesti tu, con la tua calligrafia che dice Intelligente, ben scritto, avvincente, e il voto: 9.

Perché tutti questi ricordi francesi? Il tuo seguitissimo incontro con i fan a Nancy, la sala piena di giovani, e tu che spiegavi in un francese dall’accento spigoloso, ma dal vocabolario estremamente preciso, il fascino del tuo inquisitore, che definisti un véritable fasciste. Le camminate notturne per le vie di Nantes, la città di Jules Verne, insieme a Masali, Lippi, Nicolazzini. Il congresso al parco multimediale Futuroscope a Poitiers, quando durante una pausa dei lavori uscimmo per andare a vedere sullo schermo IMAX del parco l’edizione in francese di eXistenZ di Cronenberg. Quella volta che sulla Rive Gauche a Parigi mi presentasti Cesare Battisti, che al tempo era conosciuto come scrittore di polar perché nessuno ricordava la sua condanna all’ergastolo, e poi a ora di cena tu e Masali ci seminaste perché il vostro editore Doug Headline non voleva offrirla anche a Nicolazzini; allora noi due andammo a cena insieme a Giuseppe Lippi, che nei vicoli del Quartier Latin si fece catturare dal canto di sirena di una donna bellissima all’ingresso di un ristorantino egiziano, solo che all’interno a servirci c’erano solo camerieri baffuti e sudati che correvano tra i tavoli con enormi vassoi di cous cous.

Ricordavi ogni cosa, eri attento a ogni particolare. Aiutavi chiunque, anche l’ultimo, sconosciuto esordiente. Alla premiazione di un concorso a Torino dove non ti presentasti, mi consegnarono una targa da farti avere, ma non l’hai mai voluta: eri per il materialismo storico, però ti interessavano più le persone e le idee che i riconoscimenti formali.

Ecco. Non avrei avuto voglia di scrivere questo. Oggi ho visto una foto scattata al tuo funerale: la cassa di legno posata in terra, il cuscino di fiori freschi, le bandiere rosse sotto la pioggia. Non avrei mai voluto scrivere questo.

14 luglio, inizia la Rivoluzione Francese: un consiglio di lettura

di GIULIA ABBATE

Il presente post è apparso su “L’arte di scrivere felici“, il blog di Giulia Abbate, il 14 luglio 2020, nell’anniversario della Rivoluzione francese.

Oggi esce un libro con un mio racconto.
Ma te ne parlo un altro giorno!

Il 14 luglio infatti cade una ricorrenza molto importante, che si potrebbe considerare tra quelle fondanti della Storia contemporanea.

Il 14 luglio 1789, il popolo di Parigi insorge e conquista la Bastiglia.
La Bastiglia non era un carcere comune: per i criminali c’era lo Châtelet, dove stavano anche gli uffici della polizia.

La Bastiglia era una prigione-fortezza nel centro di Parigi, dove erano reclusi i prigionieri “politici”. Per finire lì non era necessario un processo, bastava un ordine del re: la lettre de cachet, al di là della legge, spesso avvolta dal segreto, indiscutibile e senza obbligo di motivazioni. Era uno dei simboli più detestati dell’assolutismo, che con la caduta della Bastiglia ha un colpo durissimo e simbolico.

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Franco Ricciardiello, turista non per caso

di Guido Michelone

Negli ultimi tre anni ha pubblicato per Odoya quattro volumi riferiti ad altrettante splendide metropoli: Torino, Venezia, Berlino, Parigi. I testi si intitolano ‘Storie di’

Il presente è il repost di un articolo apparso su InfoVercelli24.

Il Covid-19 o Coronavirus sta massacrando il turismo in tutto il mondo, in particolare in Italia dove si trova il 50% del patrimonio artistico internazionale. Al di là dei limiti dei viaggi internazionali, ci sono via via la paura di nuovi contagi, la mancanza di aperture totali per luoghi come i musei, la difficoltà per le famiglie di disporre dei mezzi per lunghe o medie vacanze a frenare il gusto della scoperta, dell’avventura o di un semplice relax ai mari, ai monti o in città d’arte. E proprio quest’ultime, che patiscono di una crisi senza precedenti, diventano l’inedito soggetto per nuovi libri di un noto autore vercellese che da sempre si dedica al romanzo noir e science-fiction: Franco Ricciardiello.

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Guido Michelone intervista Franco Ricciardiello

Testo dell’intervista apparsa sul quotidiano online Infovercelli 24 nel mese di settembre 2017

Dopo tanta fiction, ecco Storie di Parigi. Come mai?

Guido Michelone

I miei romanzi e racconti sono pieni di puntuali riferimenti geografici; mi piace che chi legge abbia la possibilità di immaginare dove si muovono i personaggi, e la precisione del dettaglio topografico è l’altra faccia dell’accuratezza storica. La mia scrittura è sempre stata caratterizzato da luoghi e tempi lontani. Se poi la domanda è “come mai Parigi?” allora la risposta non può che essere: perché qui è nato il mondo moderno. Il nostro immaginario è oggi colonizzato dall’America, ma solo perché l’industria dei sogni si è trasferita dall’altra parte dell’oceano subito prima dell’ultima guerra mondiale: ma tendiamo a dimenticare che l’Italia è nata da una costola della Francia.

Ci parli brevemente di questo nuovo libro?

Invece di scrivere una storia ambientata a Parigi, ho scelto di fare una raccolta di storie di altri autori: certo, quando racconto la vita di un musicista, l’ambientazione di un romanzo o la trama di un film, intervengo nella narrazione con il mio stile e le mie parole, tentando di mettere in luce la vasta rete di collegamenti tra cinema, musica e letteratura che fa parte delle mitologie di una grande città.

In definitiva cos’è per te alla fine Parigi?

Parigi è una città immensa e bellissima, in grado di regalare emozioni profonde, un organismo vivente che cerca di modificare il mondo a propria immagine e somiglianza, ma soprattutto è l’immagine mentale che me ne sono fatto vedendola nei film, leggendola nei libri, ascoltandola nelle canzoni.

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Parigi, una sera

Per celebrare l’anniversario del 14 luglio, pubblico per gentile concessione dell’Editore un breve passaggio da un capitolo centrale del mio romanzo di fantascienza «Termidoro», ambientato in parte nel futuro e in parte nel momento più cruciale della Grand Révolution.

Dall’abitazione dei Duplay agli Champs-Élysées è una breve passeggiata, purtroppo la medesima che porta al patibolo, ma a quest’ora della sera rue Saint-Honoré non conserva traccia della ferocia del mattino. Finalmente, l’ora dei giovani. Il lavoro è appena terminato o sta per terminare — gli operai delle industrie nazionalizzate continuano fino al tramonto. In place de la Révolution la ghigliottina è solo un palco di legno con una guardia armata, fiumi di cittadini passeggiano tutto intorno, lungo la cancellata dei giardini delle Tuileries e più oltre nella grande oasi verde degli Champs-Élysées.

Fa impressione vedere come tutti portino la coccarda tricolore sul cappello o all’altezza del cuore, uomini e donne indistintamente. C’è un movimento, un flusso continuo di gente per i viali e giù fino al lungo Senna, da dove si può vedere la mole degli Invalides sull’altra riva. Questa è finalmente anche l’ora della moda, una splendida sera d’estate per la splendida Parigi liberata dai colori scuri e pesanti. Le sorelle Duplay che passeggiano sottobraccio a Maximilien Robespierre sono tra le più eleganti, ma senza ostentazione, anche se questo già suscita sguardi sospettosi di famiglie sanculotte sdraiate sui prati in cerca di fresco.

Babette ha un vestito colore canarino stretto in vita, Éleonoire un abito malva e calze di quel colore inconsueto che le sartine chiamano “tortora”; i vestiti di entrambe lasciano le caviglie scoperte, come imposto dalla moda sanculotta delle gonne corte. Siccome la temperatura può calare repentinamente dopo il tramonto, le ragazze hanno la profonda scollatura protetta da un fisciù quasi trasparente, ma non portano l’ombrellino parasole, fuori moda perché troppo aristocratico.

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I cinque livelli di realtà di «Marat/Sade»

Questo post recupera il testo dedicato al film “Marat/Sade” (1966) di Peter Brook, stralciato dalla versione definitiva del mio Storie di Parigi, ed. Odoya, uscito in libreria il 31 marzo scorso.

Ho sempre trovato stimolante il fatto che Marat/Sade sia costruito su cinque livelli gerarchici di realtà, come una scatola cinese: il livello 0 è il film The persecution and assassination of Jean-Paul Marat as performed by the inmates of the asylum of Charenton under the direction of the Marquis De Sade (1967), musicato da Richard Peaslee e con la regia di Peter Brook: “La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade”, opportunamente abbreviato e universalmente conosciuto come “Marat/Sade.”

Patrick Magee

Ma questo film riprende una performance della Royal Shakespeare Company (livello -1) diretta da Brook stesso, che mette in scena un testo adattato in inglese da Adrian Mitchell: la pièce messa in scena è (livello -2) Die Verfolgung und Ermordung Jean Paul Marats dargestellt durch die Schauspielgruppe des Hospizes zu Charenton unter Anleitung des Herrn de Sade, scritto nel 1963 dal drammaturgo Peter Weiss, tedesco ma naturalizzato svedese. Weiss era un habituè sia del teatro politicamente impegnato che dei titoli chilometrici, dato che qualche anno più tardi si cimentò con un testo conosciuto come Vietnam Diskurs, il cui titolo integrale è “Discorso sulla preistoria e il decorso della lunga guerra di liberazione nel Vietnam quale esempio della necessità della lotta armata degli oppressi contro i loro oppressori come sui tentativi degli Stati Uniti di distruggere le basi della rivoluzione(Diskurs über die Vorgeschichte und den Verlauf des lang andauernden Befreiungskrieges in Viet Nam als Beispiel für die Notwendigkeit des bewaffneten Kampfes der Unterdrückten gegen ihre Unterdrücker sowie über die Versuche der Vereinigten Staaten von Amerika die Grundlagen der Revolution zu vernichten, 1968).

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Georges Perec, istruzioni per l’uso

LA PROGRAMMAZIONE DEL TESTO LETTERARIO.

Il testo di questo post recupera la parte di approfondimento della genesi letteraria di “La vita. Istruzioni per l’uso” di Georges Perec, stralciata dalla versione definitiva di Storie di Parigi, attualmente in stampa presso l’editore Odoya

Georges Perec, foto di Anne de Brunhoff

Ancora più affascinante, anche dal punto di vista letterario, della complessità dell’opera è la “macchina per ispirare racconti” (definizione dell’autore stesso) che Perec mette in piedi per decidere cosa deve contenere ogni singolo frammento del puzzle narrativo: un sistema complesso e razionale maturato nelle riflessioni teoriche dell’OuLiPo. Quando Italo Calvino (lui stesso oulipista) nelle sue “Lezioni americane” parla della genesi dell’iper-romanzo (non a caso oggi si definisce iper-testo un testo interattivo) non aveva ancora a disposizione il cahier de charges manoscritto da Perec come premessa strutturale all’opera: significa “capitolato d’oneri”, ma charges si può anche tradurre come “spese condominiali.” È sulla base di questi appunti dettagliati pubblicato solo nel 1993 dal Centre National de la recherche scientifique che oggi si può ricostruire la genesi e la struttura di “La vita istruzioni per l’uso”.

È dal 1972 che Perec vorrebbe scrivere un romanzo che fornisca una propria visione del mondo; gli viene l’idea di ambientare la vicenda in un immobile la cui struttura corrisponda a quella del biquadrato latino (elaborato nel 1960 da Bose, Parker e Shrikhande per confutare Eulero, il quale sostiene che non esiste un biquadrato d’ordine 10). Nelle sue intenzioni, la narrazione dovrà procedere secondo un metodo razionale, e qui interviene la seconda grande idea (che non è percepibile al lettore senza un’adeguata guida): ogni frammento narrativo sarà ambientato in un locale dell’edificio, ma la progressione lineare tra una stanza e l’altra sarà affidata a un problema logico-matematico ben conosciuto ai giocatori di scacchi: l’algoritmo del cavallo. Un quadrato di 10 caselle di lato coincide con una scacchiera: la narrazione si sposta tra un capitolo e il successivo seguendo la mossa a L del pezzo cavallo, un avanzamento di 3 caselle in linea retta e 1 casella a 90°, in modo da terminare dopo 98 mosse nella stanza in cui Barlebooth è appena morto; il vantaggio di usare la regola di mobilità del cavallo è evidente: permette di toccare tutte le caselle senza mai passare due volte da una stessa casella/stanza (e saltando una casella, la n. 66 per la precisione, perché altrimenti le mosse sarebbero 99 e i capitoli 100: ma questa per Perec è l’eccezione che serve a confermare la regola). Il capitolo I inizia quindi “per le scale” e i capitolo XCIX e ultimo è il quinto ambientato nell’appartamento di Bartlebooth.

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La spirale di Parigi

«STORIE DI PARIGI» IN PUBBLICAZIONE AD APRILE.

È in corso di impaginazione presso la redazione dell’editore Odoya «Storie di Parigi», ilracconto della mia camminata nelle vie della capitale francese. Il percorso che ho seguito per toccare tutti i luoghi di interesse letterario, musicale e cinematografico, è progettato per seguire come in una collane la suddivisione in Arrondissement della città, che disegna un tragitto a chiocciola dal più esterno, il XX, al più centrale, il I.

Musée d'Orsay

Musée d’Orsay

La divisione della città in unità amministrative chiamate Arrondissement risale alla Rivoluzione (legge del 19 Vendemmiaio anno IV, 11 ottobre 1795); in origine gli Arrondissements erano dodici, ognuno diviso in quattro quartiers che ricalcavano le  sezioni rivoluzionarie del 1790, abolite dopo il colpo di stato del Termidoro che portò alla caduta di Robespierre. Nel 1859, con l’ampliarsi dell’area urbana ai faubourgs limitrofi e fino alla cinta muraria, gli Arrondissements diventano 20 e raggiungono i confini odierni. L’idea del prefetto barone Haussmann, avallata dall’imperatore Napoleone III, è quella di estendere i confini della città fino alle mura di cinta: il problema è che queste includono all’interno o tagliano a metà almeno 23 comuni alla periferia della capitale. Il progetto iniziale prevede la numerazione progressiva dei nuovi Arrondissements con il primo in alto a sinistra sulla carta e l’ultimo in basso a destra; ma questo provoca un’alzata di scudi tra gli influenti notabili di Passy, che si vedrebbero attribuire il numero XIII: non per ragioni scaramantiche, ma perché nella precedente situazione di dodici unità, il modo di dire “se marier à la Mairie du XIII Arrondissement” (sposarsi al municipio del XIII) era un eufemismo per “vivere insieme senza essere sposati”. Come mediazione il sindaco dell’abolito comune di Passy propone una numerazione che segua una spirale a partire dal Louvre e fino alla periferia orientale: in questo modo il numero 13 tocca agli abitanti di un quartiere popolare, immuni da prudérie perbenista.

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