Tra maggio 2002 e ottobre 2003, sull’onda del successo di Ai margini del caos, che oltre a essersi rivelato uno degli Urania più venduti del decennio, era stato anche tradotto in Francia e pubblicato da Flammarion, ottenni tramite l’agenzia letteraria PNLA un contratto per la traduzione di cinque miei racconti in lingua greca. Queata è la copertina del primo, che contiene accanto al mio nome il titolo del racconto, Η Μικέλα και η βόμβα Νετρονίου.
Il primo a apparire, in due puntate sui numero 97 e 98 della rivista (maggio 2002) fu Η Μικέλα και η βόμβα Νετρονίου, traduzione di Michela e la bomba al neutrone. Il racconto, il numero dieci nella mia bibliografia, vincitore del Premio Italia 1988 per il miglior racconto su pubblicazione professionale, era uscito l’anno precedente sulla fanzine barese THX1138 (numero 5/6), dopo un’accurata e attenta revisione di Vittorio Catani. Cito da Wikipedia:
Durante un viaggio a Venezia, un uomo affonda il coltello nel cuore della moglie davanti a numerosi testimoni. La donna non muore, anzi si rende conto che lui ha scoperto la terribile verità che per anni gli ha nascosto. I due si erano conosciuti qualche anno prima al Carnevale di Venezia, e da quel momento l’uomo aveva iniziato a fare sogni incomprensibili che sembravano messaggi dell’inconscio. In questo modo si è accorto di essere l’unico sopravvissuto a una guerra catastrofica che ha cancellato dal pianeta la vita biologica; tutti gli altri, a partire da sua moglie, sono androidi.
Il titolo è tratto da un poema di Evgenij Evtušenko, Mamma e la bomba al neutrone, alcuni versi del quale sono citati nel testo.

Il secondo racconto, su “9” n. 109 (31 luglio 2002) fu Μια κλεμμένη πάνινη κουκλα, traduzione di Una bambola di stoffa rubata, che per qualche ragione che mi sfugge (forse in reazione alla sua brevità, forse al fatto che si tratta della pria ucronia di mia conoscenza a occuparsi del problema immigrazione) è tra i miei racconti più ripubblicati in assoluto. È la cronaca del tentativo di raggiungere via mare i paesi industrializzati sulla sponda sud del Mediterraneo, dove ci sono ricchezza, lavoro e democrazia, da parte di un emigrante che abbandona la famiglia in un’Italia povera e arretrata.
La prima pubblicazione risale al 14 agosto 1991 sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, dove ero stato invitato da Vittorio Catani che aveva avuto l’incarico dal giornale di pubblicare una selezione di racconti di fantascienza da proporre come lettura nel periodo estivo.
Il terzo racconto è Το Λευκό Ρόδο του Βοναπάρτη, apparso il 20 novembre 2002 sul n. 125 della rivista. È la traduzione di La rosa bianca di Bonaparte, forse l’unico steampunk che io abbia masi scritto; come ho detto in un precedente post, questo mio racconto è stato tradotto in tre lingue: è un’ucronia in cui il generale Bonaparte invade l’Italia nell’aprile 1796 con l’esercito fornitogli dal Direttorio, portando con sé carri armati a vapore e proiettori luce che funzionano con la pila di Volta.
Gli ultimi due sabati di febbraio 2003 appare in due puntate sui numeri 137 e 138 di “9” il racconto Αιώνιο καλοκαιρι ςτα φιορδ; si tratta della traduzione di una delle mie prime pubblicazioni in assoluto, L’eterna estate sul fiordo, il numero 4 della mia bibliografia personale. Stavolta cito me stesso:
Ricordo bene come nacque il mio primo racconto maturo (ora, rileggendolo, mi viene da ridere a questa definizione): avevo in mente una vaga trama, due o tre accenni tratti dai marginalia di un libro di Yeats, e una certa voglia di scrivere. A quel tempo avevo letto quasi tutti i romanzi di George Orwell, e la notte prima di iniziare la stesura del manoscritto mi ritrovai a pensare “E se inserissi Orwell nel mio racconto?” Non riuscii a prendere sonno che a notte inoltrata.
Franco Ricciardiello, Io e lei, da Intercom n. 105/106, Terni 1989
La serie di cinque racconti si chiude nell’ottobre 2003, sui n. 170 e 171 di “9”, con Ο κηπος, traduzione di Il giardino dei fiori in comune, racconto scritto appena due settimane dopo L’eterna estate sul fiordo. Lo inviai alla fanzine TTM (The Time Machine) di Padova; fu subito accettato dal curatore Franco Stocco, ma mai pubblicato perché la rivista chiuse senza pubblicare l’ultimo numero programmato. Apparve poi nel 1988 sul numero di prova dlella nuova fanzine Follow my Dream, che Roberto Sturm curò per qualche anno a Ancona. Fu tradotto e pubblicato in Grecia malgrado raccontasse di un futuro in cui l’Unione Sovietica era ancora impegnata nella corsa allo spazio, e una missione esplorativa scopriva su un pianeta extraterrestre una città abbandonata da una razza aliena.