Quando decisi di scrivere un romanzo giallo, dopo avere vinto il primo premio per un racconto al concorso Gran giallo città di Cattolica, feci alcune scelte preliminari sulla figura del protagonista ‘detective’, colui che avrebbe indagato:
- doveva essere una figura istituzionale, non investigatore privato, avvocato, giornalista etc
- doveva essere adatto a una eventuale serie di gialli successivi
- doveva essere caratterizzato in modo differente dal detective tipico del romanzo italiano (buona forchetta, duro dal cuore tenero etc)
Soprattutto per rispettare il punto 1, mi domandai per quale ragione il protagonista abituale dei gialli italiani, quando è una figura istituzionalmente preposta all’indagine, è un poliziotto o un carabiniere e, in rari casi, una guardia di finanza — quando non addirittura un investigatore privato, che nel nostro paese ha davvero poco “spazio di manovra” in indagini su omicidi.
Mi venne perciò naturale scegliere come protagonista la figura prevista dal sistema giudiziario italiano, cioè il pubblico ministero, che è da noi titolare dell’azione penale. Nella fiction italiana invece (sia quella tv che quella letteraria) il pubblico ministero, che è un magistrato, è spesso descritto come un intralcio all’astuzia del commissario, un incompetente o sfaccendato, una figura che appesantisce l’indagine (e la fiction) con noiosi risvolti burocratici.
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