L’implosione della Storia / 2: «Radio Hasselblad»

di CLAUDIA GAUDENZI

La conclusione del piccolo ciclo di Ricciardiello sulla storia del nazismo è costituita dal romanzo Radio Aliena Hasselblad.[1]

Attraverso un evento particolare, cioè la caduta di un fulmine su un traliccio dell’alta tensione durante un concerto rock, un misterioso “raggio verde“ colpisce la cantante sul palco, Kimberley Miranda. Il raggio le insinua nel cervello la personalità di un militare dell’esercito sovietico, il Generale Alpers, morto da più di trent’anni, la cui personalità è stata “ricreata” all’interno di un’unità senziente aliena in orbita attorno alla Terra.

– La cosa che mi è entrata in testa al concerto dice di essere un soldato russo di nome Alpers – continua Kim come se non avesse sentito. – Dice di essere morto quasi quarant’anni fa, però adesso si trova in orbita intorno alla Terra perché degli extraterrestri lo hanno resuscitato.
– Un ufficiale dei servizi segreti dell’Armata Rossa – conferma Roberta rassegnandosi, con la schiena ap­poggiata ai cuscini della poltrona. – Ha detto di chiamarsi Pavel Alpers, e di trasmettere via laser da un disco volante.
– Un disco volante! – ripete Kimberley guardando la TV, ancora accesa ma con il sonoro disattivato, e allora Roberta ricorda la notizia al telegiornale della sera, l’avvistamento di un Ufo nel cielo di Torino.
– Non è possibile, non è possibile… – ripete. – Non può essere vero…[2]

In realtà la “trasmissione” di Alpers era diretta alla fotografa che sta riprendendo il concerto, Roberta, ex-moglie di un documentarista, Folco Cardini, che sta girando un servizio sugli ultimi giorni di Hitler nel bunker della Cancelleria.

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L’unico autentico «romanzo maledetto» italiano

Luo Qisheng, “Letà della sofferenza”

Le venti giornate di Torino” è l’unico, autentico romanzo maledetto italiano” scrive Giovanni Arduino in Il diavolo è nei dettagli, nel quale cerca di ricostruire la storia della pubblicazione di questo breve romanzo divenuto quasi testo di culto per un ristretto numero di appassionati, fino alla riscoperta da parte del gruppo editoriale statunitense Norton. L’autore di Le venti giornate di Torino è Giorgio De Maria, scrittore e musicista torinese nato nel 1924 e morto nel 2009, ormai devastato da una degenerazione mentale che da tempo l’ha portato alla follia. Le venti giornate di Torino è uno dei quattro libri che ha pubblicato, senz’altro il più interessante, e l’unico che abbia suscitato una tale sensazione nei lettori. Delle dieci copie regalate dall’autore alla Biblioteca nazionale universitaria, nove non sono più ritornate dal prestito. Edito nel 1977 da una casa editrice non più esistente, le Edizioni il Formichiere di Milano, sembrava completamente dimenticato; anche la storia della sua scoperta è una avventura.

Giorgio De Maria scrive il suo romanzo maledetto in anni di sconvolgimenti sociali e crisi, sia personale che politica. La sua evoluzione inizia nel ’56, quando forma un trio inseparabile con Emilio Jona e il filosofo Elémire Zolla. Quando quest’ultimo si trasferisce a Roma, De Maria diventa l’anima anticlericale del gruppo Cantacronache, composto da musicisti, letterati e poeti fondato nel 1957 dagli studiosi di musica popolare Sergio Liberovici e Michele L. Straniero: una serie di nomi della cultura torinese aggregati intorno a un progetto di valorizzazione della canzone di impegno sociale. Di Cantacronache fanno parte Emilio Jona e la cantautrice Margherita Galante Garrone (Margot); tra i collaboratori Umberto Eco, Italo Calvino, Franco Fortini, Gianni Rodari. Negli stessi anni, dal ’58 al ’65, De Maria è critico teatrale per la redazione torinese de L’Unità, il quotidiano del PCI. Nel ’58 la Democrazia Cristiana lo denuncia per il testo di una canzone su una giovinetta che seduce un uomo:

Tu credevi di scherzare
con quegli occhi un po’ furbetti
era meglio non tentare,
ben ti sta Maria Goretti

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La prima volta su Robot

Sul n. 82 di Robot, la storica rivista della fantascienza italiana che rinasce dalle proprie ceneri, è uscito per la prima volta un mio racconto

Eddie Mendoza (USA), “Atlas Plaza”

Nella seconda metà degli anni Settanta, quando io frequentavo le scuole superiori, mia madre tornò a gestire personalmente per un alcuni mesi un’edicola di giornali nella piazza centrale della mia città. Era una situazione transitoria: aveva ceduto in affitto l’attività per alcuni anni, ma i locatari rinunciarono per ragioni di salute; nell’attesa di trovare un acquirente definitivo, per alcuni mesi fu concesso di nuovo, dopo l’infanzia, di poter attingere all’intera distribuzione nazionale di fumetti e alle edizioni da edicola. A quel tempo già leggevo Urania in maniera irregolare, a seconda della disponibilità di argent de poche, e scambiavo i numeri con un amico altrettanto appassionato. Gli hard cover dell’editrice Nord erano al di fuori delle mie possibilità economiche, li prendevo in prestito alla sezione Circolante della biblioteca.

In quel periodo di grazia approfittai ampiamente della collana Galassia Celt (mi presi ad esempio uno degli ultimi numeri, Amazon di Gianluigi Zuddas, datato novembre 1978; la collana avrebbe cessato le pubblicazioni quattro numeri dopo).

In edicola era già distribuita da qualche anche Robot, diretta da Vittorio Curtoni; probabilmente ne sfogliai qualche fascicolo sugli espositori, ma per un motivo che oggi non so più spiegarmi non ero interessato alla forma “rivista”, non mi sfioravano preoccupazioni critiche ed ero enormemente più interessato alle opere lunghe rispetto ai racconti. Può darsi che fossi solo troppo giovane, o troppo isolato da altri fans perché il mio amico nutriva scarso interesse per la fantascienza italiana. Solo pochi mesi più tardi, a partire dall’Eurocon di Stresa (1980), avrei cominciato a frequentare il fandom, ma in quel periodo non approfittai di quella succulenta occasione.

Quando a metà anni Ottanta conobbi Giampiero Prassi, che gestiva la fanzine ciclostilata The Dark Side, avrei sì desiderato una rivista come Robot, che invece aveva cessato le pubblicazioni nel ’79. Ebbi occasione di leggerne e apprezzare tramite Prassi alcuni numeri, anche se non ne ho assolutamente una conoscenza organica della sua storia.

Dopo 24 anni, Robot rinacque con lo stesso curatore (Vittorio Curtoni) e lo stesso disegnatore (Giuseppe Festino); ma nel 2003 io mi ero allontanato dalla fantascienza. Siccome non avevo interiorizzato la tradizione di Robot negli anni in cui aveva rappresentato in Italia il meglio della science-fiction internazionale, e probabilmente di quella italiana, non sentivo il richiamo affettivo. È quindi con molto ritardo che mi sono finalmente abbonato alla rivista, ora edita da Delos Books. Quasi in contemporanea un mio racconto è stato accettato e pubblicato sul n. 82.

Viaggiatori dell’equinozio è una storia che, a differenza della maggior parte dei miei racconti, sfiora appena i temi della hard sf, lasciati sullo sfondo. Ho cercato di mantenermi nel campo del non detto, nell’understatement tra l’autore e il lettore. Se qualcuno non condivide questo approccio, chiedo indulgenza; di solito cerco di mantenere l’idea nel nucleo della narrazione, ma qui —una volta di più —parlo di Arte, e ho dunque tentato di non sviare l’attenzione dalla Tragedia, dal momento che il racconto è ambientato in Grecia.

Scritti dalla città mondo: traiettorie celesti – La fantascienza cinese in Italia – Report

Invece del consueto post settimanale, questa volta voglio ospitare un lucido intervento di Giulia Abbate sulll’incontro milanese dedicato alla fantascienza in Cina

Lezioni Sul Domani

Il 18 novembre 2017 sono stata una bella presentazione nell’ambito della manifestazione Milanese Bookcity: la conferenza dal titolo “Scritti dalla città mondo: traiettorie celesti – La fantascienza cinese in Italia”.

by YUE MINJUN

Conducevano il dibattito Francesco Verso, scrittore ed editore Future Fiction; Alessandra  Lavagnino, docente di Lingua e di Cultura Cinese dell’Università di Milano e Direttora dell’Istituto Confucio; il noto critico e saggista Carlo Pagetti. Era attesa anche la partecipazione di Darko Suvin, critico assurto ormai a guru, ma per problemi di salute non è potuto essere presente.

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Franco Ricciardiello: l’implosione della Storia

di CLAUDIA GAUDENZI

Il presente post è un estratto dalle conclusioni della tesi di laurea nel 2007 di Claudia Gaudenzi all’Università di Bologna: “Un percorso nella fantascienza italiana: la manipolazione del tempo”

[Ricciardiello] riesce a […] comporre alcuni interessanti esempi di storia “mista” imperniati su esperienze di totale immersione entro le vicende legate ad Hitler e i suoi accoliti durante gli ultimi giorni del nazismo, in un piccolo ciclo composto da due romanzi, Ai margini del Caos e Radio Aliena Hasselblad, che aggiungono un tassello alla già vasta produzione internazionale del “fantanazismo”, elaborando nel contempo una teoria epistemologica non convenzionale sulla ambigua consistenza della realtà, aiutato dalle possibilità speculative del medium fantascientifico.

FANTASTORIA: IL “CICLO DEL BUNKER”

Il primo romanzo, Ai margini del caos,[1] narra il sodalizio fra Leonida Cassino, detto Nico, documentarista e creativo torinese, e Victoria, “Vic”, una giovane donna sua concittadina, fin dal loro primo incontro alla pinacoteca di Basilea, durante il quale Nico soccorre Vic che si è sentita male dopo un’esperienza di immersione psichica entro la coscienza di un membro dell’entourage di Hitler, durante i suoi ultimi giorni di vita, asserragliato nelle profondità del bunker costruito sotto la Cancelleria a Berlino: il fenomeno è stato provocato dalla visione di un quadro di Arnold Böcklin, “L’isola dei morti”, che in seguito si scoprirà essere stato appeso nell’ufficio del dittatore.

Vic continua poi ad avere questa esperienza di fronte ad altre versioni leggermente differenti dello stesso quadro: il romanzo è il racconto di un percorso filologico, quello della ricerca dei Böcklin esistenti, di un percorso esistenziale, quello delle vite passate rivissute in soggettiva da Vic, ed infine di un percorso epistemologico, cioè l’elaborazione di una concezione di un reale ambiguo e relativo contemporaneamente antico e moderno poiché legato a certe dottrine gnostiche non ortodosse mutuate dall’opera di Philip Dick.

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