di CLAUDIA GAUDENZI
Il presente post è un estratto dalle conclusioni della tesi di laurea nel 2007 di Claudia Gaudenzi all’Università di Bologna: “Un percorso nella fantascienza italiana: la manipolazione del tempo”
[Ricciardiello] riesce a […] comporre alcuni interessanti esempi di storia “mista” imperniati su esperienze di totale immersione entro le vicende legate ad Hitler e i suoi accoliti durante gli ultimi giorni del nazismo, in un piccolo ciclo composto da due romanzi, Ai margini del Caos e Radio Aliena Hasselblad, che aggiungono un tassello alla già vasta produzione internazionale del “fantanazismo”, elaborando nel contempo una teoria epistemologica non convenzionale sulla ambigua consistenza della realtà, aiutato dalle possibilità speculative del medium fantascientifico.
FANTASTORIA: IL “CICLO DEL BUNKER”
Il primo romanzo, Ai margini del caos,[1] narra il sodalizio fra Leonida Cassino, detto Nico, documentarista e creativo torinese, e Victoria, “Vic”, una giovane donna sua concittadina, fin dal loro primo incontro alla pinacoteca di Basilea, durante il quale Nico soccorre Vic che si è sentita male dopo un’esperienza di immersione psichica entro la coscienza di un membro dell’entourage di Hitler, durante i suoi ultimi giorni di vita, asserragliato nelle profondità del bunker costruito sotto la Cancelleria a Berlino: il fenomeno è stato provocato dalla visione di un quadro di Arnold Böcklin, “L’isola dei morti”, che in seguito si scoprirà essere stato appeso nell’ufficio del dittatore.
Vic continua poi ad avere questa esperienza di fronte ad altre versioni leggermente differenti dello stesso quadro: il romanzo è il racconto di un percorso filologico, quello della ricerca dei Böcklin esistenti, di un percorso esistenziale, quello delle vite passate rivissute in soggettiva da Vic, ed infine di un percorso epistemologico, cioè l’elaborazione di una concezione di un reale ambiguo e relativo contemporaneamente antico e moderno poiché legato a certe dottrine gnostiche non ortodosse mutuate dall’opera di Philip Dick.
L’elemento che contribuisce a definire questa complessa cosmologia è l’assunzione, come modello esplicativo ed anche strutturale per il romanzo, della teoria matematica del Caos, che permette di studiare il passaggio dai sistemi ordinati a quelli caotici, da cui il titolo, che si riferisce allo stato al limite tra ordine e caos. Lo stesso Ricciardiello spiega la natura di questa teoria e l’influenza che ha esercitato sulla stesura della sua opera in un’appendice bio-bibliografica a corredo dell’edizione mondadoriana del testo del 1998:
La teoria del caos è il protagonista indiscusso, il personaggio più affascinante, il deuteragonista rispetto a Nico e Vic. Si tratta di una teoria scientifica rigorosa che sta cambiando la storia non solo della scienza, ma del pensiero umano. […] II romanzo è diviso in cinque parti, ognuna delle quali ha termine con la trascrizione di un’esperienza di trance di Vic. […] Si tratta del tentativo consapevole di applicare una metodologia scientifica a un’opera di narrativa. In questo senso l’ispirazione è stato lo strutturalismo sovietico di Cvetan Todorov: la letteratura come manifestazione di qualcosa di altro, una trasposizione di fatti non-letterari che non ne mortifica comunque il valore estetico. Per questo dico che l’ispirazione basilare del romanzo è un’intera teoria scientifica.[2]
Nel romanzo la teoria del Caos compare come oggetto degli studi del marito di Vic, Werther Bindi, professore universitario, che ne sta valutando le possibili applicazioni all’analisi dell’evoluzione delle forze storiche, nello specifico al passaggio socio-politico tra la Repubblica di Weimar e il Nazionalsocialismo:
A Nico sembra di capire che il professore veda nel fenomeno della presa del potere nazionalsocialista in Germania una struttura coerente con la teoria del caos. Il nazismo fu il trionfo dell’anarchia, della discrezionalità, dell’arbitrarietà. Per giungere a questo stadio, la società tedesca dovette attraversare un periodo di estrema confusione ideologica, politica e sociale, che Bindi paragona al Margine del Caos, […] è nel Margine del Caos che si verificano le situazioni più interessanti per uno studio scientifico della complessità. […] Margine del caos è anche l’instabilità politica che precedette il passaggio dalla Repubblica di Weimar al nazionalsocialismo.[3]
Fin dall’inizio Vic è consapevole che ciò che le accade non è un semplice caso di Sindrome di Stendhal, bensì un più profondo coinvolgimento empatico, nonostante lo scetticismo di Nico: ad ogni trance entra nella coscienza di una persona diversa e ne trae delle narrazioni sempre più particolareggiate che cerca di fermare sulla carta, per non perderne il ricordo e cercarne i riscontri oggettivi.
Di fronte al Böcklin di Basilea entra nella coscienza di Albert Speer e vive l’ultima visita al bunker dell’architetto più importante della Germania nazista:
Sono un architetto. Sono arrivato nella capitale devastata dall’offensiva russa per via aerea, perché 1a città è quasi completamente assediata. Il Fieseler Storch da ricognizione ha compiuto un atterraggio di fortuna direttamente ai piedi della Porta di Brandeburgo, a poca distanza dall’edificio della Cancelleria. Sono stato proprio io a costruire la Cancelleria sei anni fa: il più prestigioso palazzo della vecchia Europa, dove gli ambasciatori di tutte le potenze capitaliste erano obbligati a chinarsi come sotto le forche caudine. Oggi invece 1a Cancelleria del Reich è quasi rasa al suolo dai bombardamenti. Lo Chef si è trasferito con il suo stato maggiore nel sotterraneo, nella buca di cemento male aerata fatta costruire di recente sotto il suolo del palazzo.[4]
Nonostante l’evidente prostrazione fisica e l’avanzata psicosi del dittatore, durante una breve riunione di aggiornamento sulla situazione bellica «all’improvviso è come se si trasformasse. Malgrado sia fisicamente distrutto, quasi in preda a tremori incontrollabili […] raddrizza la schiena e mostra l’energia che ha soggiogato la Germania e fatto tremare il mondo»,[5]e «ci espone un piano operativo per liberare la capitale assolutamente irrealistico irrealistico».[6] Speer si rende «conto che la guerra continuerà fino al momento in cui lo Chef non sarà morto; è come se la Germania proseguisse la sua impossibile resistenza contro i sovietici solamente per non contraddirlo».[7]
Nico e Vic non tardano a rendersi conto della particolarità del mezzo catalizzatore, “L’isola dei morti”, cioè la sua presenza in molti luoghi e circostanze storiche ed a fianco di importanti personalità del Novecento, che sembra aver avuto «un’influenza incredibile sulla cultura europea».[8]
Il Böcklin esposto al Metropolitan Museum di New York, dove Vic si trova al seguito del marito impegnato in un ciclo di conferenze, la catapulta dentro la psiche del «Gruppenführer SS Hermann Fegelein…Führer»[9] sottufficiale delle SS di basso profilo fino al matrimonio con Greta, sorella di Eva Braun. I suoi pensieri vanno all’imminente arrivo dei sovietici a Berlino e alle caratteristiche della loro guerra di resistenza durante la campagna tedesca in Russia da lui stesso vissuta:
Hanno smontato pezzo a pezzo le loro fabbriche in Ucraina e in Lituania prima che cadessero nelle nostre mani. Le hanno spedite a est su convogli ferroviari lunghi chilometri, rimontandole nelle città oltre gli Urali. Hanno smantellato l’intera industria pesante facendo terreno bruciato di fronte al dilagare inarrestabile della Wehrmacht, e l’hanno ricostruita macchina su macchina a migliaia di chilometri all’interno del Paese. Poi hanno cominciato a vomitare fuori carri armati a un ritmo vertiginoso. Per ogni carro che distruggevamo loro ne producevano cinque, sei, dieci. […] Era impossibile contenerli; radevi al suolo le città e si nascondevano fra le macerie; spianavi le macerie e si nascondevano nelle cantine. Seppellivi le cantine, loro fuggivano nelle campagne. Bruciavi le cascine, cacciavi i contadini dalle fattorie collettivizzate, prendevi gli animali, distruggevi i campi di grano, e loro mangiavano frutti selvatici e ti sparavano addosso da dietro gli alberi. Occupavi tutto il territorio, percorrevi le foreste con autoblinda e colonne corazzate, e loro spuntavano fuori dall’interno del territorio occupato organizzati in bande.[10]
Nonostante Fegelein sia pronto alla fuga, viene intercettato e prelevato da una pattuglia di SS dall’alberghetto in cui si trova nascosto. Il suo tentativo di fuga dalla città semidistrutta, del resto, coinvolge tutta la popolazione. Contro di lui viene istituito un sommario processo per diserzione all’esterno del bunker, ma la sua presunzione psicotica lo porta ad ignorare i segni evidenti della sorte che lo aspetta, fino alla fine.
Una ricerca bibliografica porta alla scoperta di cinque versioni originali e leggermente differenti del quadro: di fronte a quella di Lipsia Vic rivive il matrimonio di Hitler ed Eva Braun, celebrato poco prima del suicidio.
Il racconto riprende il filo interrotto di quello di Fegelein. La donna è di umore triste e nostalgico rispetto all’evento che sente come il coronamento ed insieme la fine della propria vita:
Sono molto stanca, è notte inoltrata ma non mi sento di dormire perché potrebbero essere le nostre ultime ore. Bormann e il dottor Goebbels, i nostri testimoni di nozze, ostentano un’allegria che nessuno prova realmente. II sotterraneo di cemento è buio e maleodorante come al solito, meno male che Adolf ha proibito il fumo altrimenti non si potrebbe neppure respirare. Ha anche proibito le fotografie, e questo al contrario mi spiace. Anche se mi rincrescerebbe essere ricordata con l’aspetto malato che mi ritrovo nel momento del coronamento della mia vita.[11]
Questo pensiero la porta a ripercorrere la sua storia di amante clandestina del potente dominatore della Germania, limitata e sacrificata dalla ragion di stato stabilita dal suo stesso compagno ed accettata passivamente.
Nonostante l’apocalisse che la circonda, che coinvolge tutto il mondo compresa l’Italia, nella quale «Benito Mussolini è stato assassinato dai banditi italiani»[12], la donna non riesce a pensare che ai dettagli della sua piccola cerimonia privata:
Il povero Adolf è veramente provato, ha un tremito a una mano che non vuole curare, è pallido e spettinato ma leggo ancora una volontà di ferro nei suoi occhi. Io avrei voluto almeno un filo di rossetto, ma un giorno di alcuni anni fa lui mi disse di non metterlo perché lo fabbricano a Parigi con sangue di animali macellati e acqua di fogna. Non avrei neanche voluto sposarmi qui, nella capitale prussiana. Oggi a Monaco ci sarebbe il sole, ne sono certa. Avremmo dovuto sposarci laggiù in Baviera dove tutto questo è cominciato. Invece dobbiamo unirci per sempre, e subito dopo morire come Tristano e Isotta nella Babele del peccato, la giungla d’asfalto del Brandeburgo.[13]
Ad ogni nuova esperienza, Vic diventa sempre più ossessionata dalle sue visioni e le sue condizioni psico-fisiche, complicate da una gravidanza, peggiorano, mentre Nico si affanna nel cercare di razionalizzare il fenomeno, attraverso ricerche sul significato del quadro, sulle caratteristiche della sindrome di Stendhal e sul possibile collegamento di entrambi gli elementi con la teoria del Caos. Ai margini del caos era la Germania al momento dello sgretolamento della Repubblica di Weimar, e venne condotta alla completa identificazione psichica col proprio leader grazie alle sue capacità ipnotiche, quasi medianiche, di fascinazione sulle masse: ai margini del caos è anche la mente di Vic, «nel momento in cui passa da un pensiero cosciente a un altro ordine, un altro stato ancora da definire»[14] e che probabilmente è ancora più fluido dell’inconscio poiché oltre allo spazio è in grado di valicare anche il tempo.
Nico pensa che così come “L’isola dei morti” sollecitava l’ipersensibilità di Hitler, che forse vi ravvisava una raffigurazione metaforica del mito dell’“ultima Thule”, «un’isola che compare frequentemente nella mitologia nordica o germanica […], il lembo più lontano dell’oceano settentrionale, terra sacra per eccellenza […]»,[15] ispiratore di buona parte della simbologia del nazismo, eserciti lo stesso influsso anche su Vic e ne induca le trances, creando una sorta di ponte temporale tra la ragazza e gli occupanti del Bunker sotto al Reichstag al momento dell’arrivo dell’esercito sovietico a Berlino.
È a Berlino che Nico sente parlare per la prima volta, da una studentessa americana, della “Scimmia di Dio”, “The Ape of God”, un’elaborazione di Philip Dick della dottrina gnostica medievale. La dottrina ritiene la realtà fenomenica percepita come una imitazione creata da Satana, la “Scimmia di Dio”, e sovrapposta a quella reale, che potrebbe essersi fermata poco dopo la resurrezione di Cristo, «come credeva Dick»,[16] oppure dopo la vittoria dell’Asse e non degli Alleati «come crede Vic».[17] L’universo gnostico è il campo di battaglia tra il Bene ed il Male e la realtà fenomenica che noi conosciamo è stata creata dal Male, perché «il Bene è stato sconfitto nel 70 d.C. con la distruzione del Tempio di Gerusalemme».[18] L’umoristica stravaganza di questa teoria sta nelle conclusioni di Dick, in quanto «la scoperta dei manoscritti del Mar Morto nel 1945 rappresenta l’inizio della riscossa del Bene, le dimissioni di Richard Nixon nel 1974 sono la sua prima vittoria».[19]
Il rapporto tra una realtà apparente dominata dal Bene, ed una “Altra” dominata dal suo principio antagonista, potrebbe autorizzarne l’accostamento alle realtà differenziate della teoria degli universi paralleli: Vic è in grado di varcare il confine tra la realtà fenomenica e quella effettiva grazie alle sua sensibilità accentuata ma passiva, con l’intervento di un catalizzatore come il quadro di Böcklin.
Quella percepita da Vic sarebbe una verità simile a quella di Dick: una soprarealtà illusoria che nasconde la vera natura del mondo in cui il Terzo Reich ha vinto la guerra.
Indipendentemente dal contenuto di queste idee, ciò che continua a mantenere salda la realtà illusoria è la crisi definitiva, la fine della percezione lineare, visiva del mondo, sostituita da una percezione multimediale plurisensoriale non più limitata alle categorie spazio-temporali euclidee.
L’inizio di questa rivoluzione paradigmatica lo si rintraccia in Goebbels, «l’anima mediale di Adolf Hitler, l’essenza propagandistica, radiofonica, elettrica del nazismo»,[20] che ha aperto la prima breccia tra il corso lineare e sequenziale degli avvenimenti storici e le nuove forme di approccio conoscitivo alla realtà, provocando l’inizio della ontologica schizofrenia dell’uomo contemporaneo, diviso tra gli stimoli sensoriali dell’universo relativistico e i dati fenomenici di quello euclideo:
– Sì , il logos. Vedi che tutto si riconduce all’informazione, […]? L’Asse sta proseguendo la lotta con altri mezzi. L’informazione simultanea, acustica ha iniziato mediante la propaganda radiofonica di Goebbels la propria guerra contro l’informazione visiva, lineare. L’informazione nuova, prospettica, innesca un processo di remapping sensoriale che sconvolge la percezione visiva della realtà. Gli altri sensi percepiscono una realtà che confuta quella dell’occhio; questo conflitto sensoriale può innescare una reazione come gli incubi di Vic. Vie potrebbe essere una anticipazione del Mondo Nuovo, il primo individuo in cui la capacità di percepire l’informazione non lineare diventa immanente anziché latente.[21]
Alla fine di questo lungo e travagliato percorso «Nico è confuso»,[22] poiché si rende conto «di essere partito da una spiegazione psicanalitica delle esperienze di Vic […] e approdare infine con le stravaganti teorie di Dick ad una giustificazione quasi metafisica».[23] Ciò comunque non lo porta a credere nella possibilità di una vittoria del nazismo, bensì a prendere in considerazione il quadro gnoseologico generale: che Goebbels stia ancora combattendo la sua “guerra” e Vic sia l’unica a rendersene conto.
La quarta immersione della ragazza, sempre più prostrata dal carico di violenza e dolore dei ricordi altrui che la assalgono, avviene quando si trova con Nico sulla spianata di cemento di fronte all’ospedale di Buch, sopra al punto in cui probabilmente erano stati sepolti dai sovietici i cadaveri di Hitler, della moglie e della famiglia Goebbels, ritrovati semicarbonizzati e già esaminati dalla perizia autoptica.
Questa testimonianza è la più dolorosa e commovente: il suicidio della famiglia Goebbels. Chi la vive è Rochus Misch, il telefonista di turno al bunker il primo maggio, il giorno dopo la morte di Hitler. Egli è testimone del sacrificio dei bimbi Goebbels da parte dei genitori per non doverli consegnare ai comunisti. Il ricordo della presenza dei piccoli in quel luogo angusto è particolarmente dolente, per Misch, che soffre per la loro morte inflessibilmente preparata e portata a compimento. Viene anche il turno dei genitori, che seguono lo stesso percorso di Hitler e della moglie, con la parata del commiato dagli amici e colleghi ed il ritiro nelle stanze private per l’avvelenamento, ma il pensiero più tormentoso di Misch resta quello per i bambini:
Vorrei che non morissero. Ho visto la maggiore poco fa, Helga, che ha dodici anni ma è già formata come una ragazzina: aveva un’espressione negli occhi come se capisse che sta per succedere qualcosa di definitivo. La madre ha raccontato loro che fuggiranno in aereo, e che per questo è necessaria una piccola iniezione contro la nausea. […] Lo cerco nelle sue stanze, nel prebunker. Mi si stringe il cuore, i bambini hanno tutti le loro camicie da notte bianche. Sono appena le quattro del pomeriggio, non andranno di certo a dormire a quest’ora: ma se non è così significa che stanno per… […] Il dottor Stumpfegger è uscito diversi minuti fa dalle stanze dei bambini. Adesso sono le l8, è un’ora che si sono ritirati di là. Frau Goebbels esce senza il marito, chiudendo subito la porta alle spalle. È pallida, spettinata, sembra una maschera giapponese. Rimane per almeno 20 minuti a fare un solitario di carte al tavolo, nel silenzio più assoluto tranne per il suo pianto. È come se anche le granate rispettassero questo momento. Perché è accaduto. I bambini sono andati. […]Vorrei piangere. Sei camicine bianche, i piedi scalzi. […] Helga doveva essersi accorta di qualcosa, non ha bevuto il veronal del dottor Stumpfegger. Ha una smorfia sulle labbra e lividi sul collo e ai polsi. La signora deve averle fatto ingoiare il cianuro a forza, povera bambina, a schiaffi e pugni.[24]
L’ultima immersione coincide con la catarsi dei personaggi, il momento in cui tutti i lembi di vita passata convergono, e la fine del romanzo: il suicidio di Hitler ed Eva Braun. Vic rivive questi avvenimenti di fronte alla tomba di Böcklin a Firenze, situata all’interno del cimitero degli Inglesi: quando Nico la raggiunge si trova di fronte all’“Isola dei Morti”, il lembo di rocce e cipressi modello del quadro, al centro di Piazzale Michelangelo, di fronte all’entrata del luogo scelto dall’artista come sua ultima dimora e che è divenuto la trasfigurazione pittorica del passaggio alla vita ultraterrena:
L’Isola dei Morti non ha perforato il muro della percezione per manifestarsi ai nostri sensi: anzi, è sempre stata lì al centro di piazzale Michelangelo da prima che Böcklin la dipingesse. L’Isola dei Morti non è un lontano scoglio della Dalmazia, né un angolo di Ischia o di Ponza; non è l’isola dei Feaci né un paesaggio dell’inconscio. L’Isola dei Morti è il porto nelle nebbie che Böcklin sapeva avrebbe accolto le sue spoglie dal primo momento che l’aveva visto, nella Firenze dei primi anni dell’Unità d’Italia. Per questa ragione era venuto a morire a Fiesole, per questa ragione l’aveva dipinto nella sua trasfigurazione mitologica.[25]
Nico vi giunge al culmine della trance di Vic e si spinge al gesto estremo di tentare di distruggere il sepolcro per porre fine all’ossessione che ormai li sta consumando entrambi.
Il racconto finale spetta a Linge l’«attendente, […] SS e cameriere del Führer»:[26] a lui è stato affidato dallo Chef l’incarico di sistemare il Böcklin e quello di occuparsi delle salme a morte avvenuta, predisponendo le coperte per la cremazione, e nascondendo il quadro in quella di Hitler. La conclusione è rapida, e Linge svolge le sue ultime mansioni per il padrone:
Lo Chef mi ha ordinato di aspettare per dieci minuti osservando un silenzio perfetto, considerando la mia fuga su in cortile il tempo è scaduto. Apro con precauzione la porta e dopo il primo passo nell’anticamera sento l’odore di mandorle amare. È finita. Tengo le coperte sotto il braccio, sento Günsche che annuncia a quelli che si stanno radunando in corridoio: – II Führer è morto.[27]
Anche la cremazione, come tutti gli altri eventi penosi e feroci accaduti in quelle ultime ore e rivissuti da Vic, si rivela complicata: il fuoco di benzina non alimenta sufficientemente le fiamme, e, del resto, il venir meno della presenza fisica di Hitler sembra aver spezzato l’incantesimo ipnotico che aveva tenuto avvinti il suo entourage e l’intera Germania:
L’artiglieria martella, suonando la marcia funebre per il Führer e per la Germania. Le fiamme si spengono ancora e poi ancora, le SS continuano a uscire per appiccare il fuoco e consumare completamente i resti come ordinato dal Fuhrer. […] Dopo il primo momento di commozione, mi sembrano tutti stranamente indifferenti. Sembra che progettino come uscire dalla situazione perché i comunisti sono a due passi.[28]
L’atto finale della vicenda terrena di Hitler ha legato indissolubilmente la sua persona all’“Isola dei morti” e al suo pittore:
Finis Germaniae. La cerimonia mi ricorda un’altra inumazione, sette anni fa, quando seguii lo Chef nella sua visita a Firenze. […] Baur aveva in custodia l’altra copia dell’Isola dei Morti, quella che si crede scomparsa e che Baur stesso aveva rintracciato e acquistato in Svezia per ordine del Führer. Per suo espresso volere, la stessa notte in cui lui aveva osservato la città dal piazzale dei cipressi Baur e io scavalcammo il cancello di ferro portando con noi il dipinto senza cornice, arrotolato in un telone, e alla luce della luna e di una torcia elettrica rintracciammo la lapide del pittore. Così che adesso d’Isola dei Morti custodisce il viaggio nelle tenebre del Fuhrer e dell’artista nella stessa, identica maniera.[29]
© Claudia Gaudenzi
[1] F. Ricciardiello, Ai margini del caos, Milano, Mondadori, 1998.
[2] G. Lippi, Ritratto dell’autore, in F. Ricciardiello, Ai margini del caos, cit., pp. 232-237:234-235.
[3] F. Ricciardiello, Ai margini del caos, cit., p. 36.
[4] Ivi, p. 48.
[5] Ivi, p. 51.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Ivi, p. 71.
[10] Ivi, pp. 72-73
[11] Ibidem.
[12] Ivi, p. 115.
[13] Ivi, pp. 115-116.
[14] Ivi, p. 102.
[15] Ivi, p. 103.
[16] Ivi, p. 159.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ivi, p. 205.
[21] Ivi, p. 207.
[22] Ivi, p. 208.
[23] Ibidem.
[24] Ivi, pp. 174-177.
[25] Ivi, p. 219.
[26] Ivi, p. 222.
[27] Ivi, p, 225.
[28] Ivi, p. 227.
[29] Ivi, pp. 228-229.