Storie di Torino

Il 31 ottobre 2018 è la data d’uscita in libreria del mio Storie di Torino, terzo volume di una serie dedicata a storie di letteratura, cinema e musica in alcune città: prima Parigi (2017), poi Venezia (2017). In tutti e tre i casi ho persorso una serie di itinerari per toccare luoghi in cui sono state girate scene di film, dove sono ambientati espisodi di romanzi e racconti, dove vissero musicisti, registi e scrittori. L’itinerario è un pretesto per raccontare le trame di quei libri, i restroscena di quei film, la genesi di quella musica. Un doppio viaggio, quindi: una camminata nelle strade e nelle piazze, e una passeggiata parallela in una biblioteca virtuale, che delinea il carattere di una città così come si è formato nell’imamginario comune, a partire dalle storie che ha ispirato agli autori.

  Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa.

Umberto Eco

Che Torino sia la meno italiana delle città d’Italia, o almeno la più europea, appare evidente allo straniero appena arrivato. Città tardiva, chiusa per secoli in un quadrilatero di mura che rappresenta una frazione minima della superficie odierna, è cresciuta con una espansione rigidamente programmata, quartiere dopo quartiere, proseguendo in lunghe linee rette la centuriazione romana del I secolo: una griglia virtuale sovrapposta a un angolo di pianura protetto dalla confluenza tra due fiumi, con un asse ruotato di 26° in senso orario rispetto al meridiano. Con il tempo, il prolungamento ad libitum delle vie raggiunge confini naturali — i fiumi, le colline, i laghi.

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Le rivoluzioni dei pianeti /2

di FRANCO RICCIARDIELLO

Continua da  Le rivoluzioni dei pianeti. Il presente post è la seconda parte di una rielaborazione dell’intervento tenuto in pubblico dal sottoscritto a Stranimondi, Milano, 6 ottobre 2018.

Dura amante è la Luna

Magdalena Radziej, Varsavia, Polonia

Molto diverso è La Luna è una severa maestra (The moon is a harsh mistress, 1966) di Robert Heinlein, indiscutibilmente un capolavoro di originalità narrativa e invenzione fantascientifica. Il satellite lunare, popolato in origine da condannati esiliati a forza, diventa nel XXI secolo un crogiolo di culture che formano una civiltà originale. Legalmente, il satellite appartiene all’Ente di Luna City, che lo amministra con ottusità, teso solo a sfruttarne le risorse. Dalle coltivazioni agricole intensive nelle caverne lunari, infatti, si ricava una enorme quantità di grano che trasportata sulla Terra è la base del nutrimento di intere nazioni a partire dalla sovrappopolata India.

Ma sulla colonia lunare serpeggia il malcontento, soprattutto contro il Guardiano, rappresentante e simbolo degli interessi terrestri. Un movimento fortemente minoritario vorrebbe l’indipendenza del satellite; si limitano però a assemblee clandestine finché non avviene la svolta: la saldatura con l’esperienza rivoluzionaria del Professore, l’esule politico peruviano Bernardo de la Paz, in grado di progettare un’organizzazione strutturata a piccole cellule di tre membri, che garantiscono la segretezza in caso di infiltrazione:

Veniamo alla struttura di base: una rivoluzione muove i primi passi all’interno di un gruppo di cospiratori, perciò i cospiratori devono essere pochi, segreti e organizzati in modo tale da minimizzare i danni di un eventuale tradimento, dato che ci sarà sempre un tradimento. Una soluzione è il sistema a cellula, e fino a ora non è stato inventato niente di meglio.
Si è fatta molta teoria a proposito delle dimensioni ottimali di una cellula rivoluzionaria. Credo che la storia dimostri che tre persone siano la migliore soluzione possibile. Più di tre persone difficilmente si trovano d’accordo sull’ora a cui si deve mangiare; figuriamoci sul quando colpire.

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Didattica della fantascienza / 1

di Franco Ricciardiello

Il presente post è la trascrizione della prima parte dell’intervento di Franco Ricciardiello, Giulia Abbate e Mauro Manco tenuto il 6 ottobre 2018 a Milano durante la manifestazione Stranimondi, dedicata alla fantascienza.

[Prima parte: intervento di Franco Ricciardiello]

Foto di Paolo S. Cavazza

A partire da trent’anni fa c’è stata una certa evoluzione nella fantascienza italiana, per cui finalmente si è cominciato a lavorare molto sulle idee, a tirare fuori delle idee effettivamente originali che meriterebbero uno spazio che non hanno — come abbiamo visto prima negli interventi che parlavano della possibilità di essere tradotti in paesi anglofoni. La fantascienza italiana, quindi, come qualità di elaborazione delle idee, probabilmente è all’altezza di qualsiasi altra letteratura di fantascienza nazionale, o internazionale.

Qual è la profonda differenza? La profonda differenza è che invece la qualità pratica della scrittura, a mio avviso, non è assolutamente all’altezza; e vi spiego.

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Un’ucronia romana

di Franco Ricciardiello

In occasione della vittoria di Ucronia (Delos Books ed., 2017), romanzo primo classificato al Premio Italia 2018, ripubblico uno stralcio da un precedente post dedicato all’autrice, Elena Di Fazio

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Elena Di Fazio compie il grande balzo in avanti, dal racconto al romanzo, con Ucronia. Vincitore del Premio Odissea bandito da Delos Books, questo romanzo recupera il felice nucleo narrativo alla base del precedente racconto Lezioni sul domani: un cataclisma della struttura spaziotemporale ha provocato la Convergenza, cioè una sovrapposizione tra il mondo dell’anno 1968 e quello dell’anno 2051, che si trovano a coesistere forzatamente nello stesso spazio fisico, in una geografia tormentata e dai confini tuttora instabili. Il plot è quasi tutto ambientato in una Roma tagliata in due dalla faglia che serpeggia tra quartiere e quartiere, tra isolato e isolato, talvolta dividendo a metà la medesima abitazione. Il romanzo ha inizio in media res, alcuni mesi dopo la Convergenza. Di Fazio sceglie di non seguire il classico punto di vista “macro”, con personaggi che abbiano la consapevolezza della natura del cataclisma. La trama non insegue cioè una restaurazione dell’originaria integrità del reale, ma sfrutta le possibilità narrative pressoché infinite del paradosso. I suoi personaggi hanno accettato la situazione e si muovono all’interno dei limiti, sia spaziotemporali che narrativi. Di Fazio non cede (perlomeno, fino agli ultimi capitoli) a tentazioni millenaristiche sempre in agguato, soprattutto nelle opere prime, né a un generico pan-umanesimo che dica la parola definitiva sulla Vita o sull’Universo. I suoi personaggi si trovano a nuotare in un mare diverso dal nostro, e vi si adattano senza nostalgia per il Prima.

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Le rivoluzioni dei pianeti

di FRANCO RICCIARDIELLO

Il presente post è una rielaborazione dell’intervento presentato  a Stramimondi 2018, Milano, 6 ottobre 2018

Ricordo che è stato per me uno choc la scoperta, da ragazzo, che non tutti gli appassionati di fantascienza erano di idee progressiste. Non riuscivo a farmene una ragione: non capivo come si potesse credere nel futuro senza un approccio ottimista, scientista. Frequentando le convention di appassionati, mi resi conto in seguito che le posizioni ideologiche si polarizzavano in due campi: quelli che prediligevano il fantasy, chiaramente “di destra” perché anti-moderni, e quelli per la science-fiction, che al contrario già vivevano in un futuro che mi sembrava dietro l’angolo: fu un sollievo, perché quelli di destra erano “di là” e non “di qua”.

Scoprii che la fantascienza negli USA aveva già vissuto il problema, testimoniato dal celebre avviso a pagamento di due pagine apparso sul numero di Galaxy del giugno 1968. Nella pagina di sinistra si può leggere: «Noi sottoscritti crediamo che gli Stati Uniti debbano rimanere in Vietnam per adempiere alla responsabilità verso il popolo di quel paese.» Seguono 72 firme tra cui Poul Anderson, Leigh Brackett, Marion Zimmer Bradley, Edmond Hamilton, Robert Heinlein, R.A. Lafferty, Larry Niven, Jack Vance. Nella pagina a fronte invece: «Noi ci opponiamo alla partecipazione degli Stati Uniti alla guerra in Vietnam.» Le firme sono 82, si possono leggere i nomi di Isaac Asimov, Ray Bradbury, Samuel Delany, Philip Dick, Harlan Ellison, Ursula LeGuin, Joanna Russ, Robert Silverberg, Norman Spinrad. Fu uno choc, ma mi consolava il fatto che almeno la maggior parte dei miei autori favoriti fosse lì, nella pagina di destra.

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