Desiderate città del cuore

Ho notato a volte, in certi viaggi e in certi paesi, che una determinata città conquista rapidamente nel mio immaginario un posto speciale. Ancora non sono riuscito a definire le caratteristiche di questi luoghi: cosa hanno in comune Córdoba, Cambridge, Trinidad, Bhakhtapur, Jaisalmer, Fés? Le uniche caratteristiche che mi vengono in mente sono una stratificazione di ricordi storici, che ancora contribuiscono all’urbanistica, e un relativo isolamento dal cuore economico del paese.
Quelle che seguono sono città incontrate nei viaggi in Asia.
(tutte le foto sono scattate da me)


Anurādhapura

Patrimonio dell’umanità UNESCO, capitale dell’odierno Sri Lanka dal V sec. aeV fino al 1017  e.V, centro di diffusione induista e poi buddista, e a quel tempo tra le principali città del mondo, comparabile con Babilonia e Ninive per dimensione delle mura (104 km di perimetro).

Continua a leggere

Delta del Mekong

Il presente post è la continuazione del racconto di un viaggio in Vietnam; il precedente post raccontava la prima tappa, Città Hồchíminh.

Dopo due notti a Tp.Hồchíminh, acquistiamo per 16 euro a testa un’escursione di due giorni nel delta del Mekong. Il fiume Mekong, in vietnamita sông Cửu Long, nasce dall’Himalaya 4500 km più a monte; bagna Cina, Myanmar, Laos e Thailandia prima di arrivare in Cambogia, dove si frammenta in un vastissimo delta ramificato fino all’Oceano. La portata delle acque è tale che ogni anno 79 metri di sedimenti allungano il corso del Mekong nelle acque del mare. Le fertili terre chiuse tra i rami del Mekong sono il serbatoio di riso del paese: con i suoi due-tre raccolti l’anno, il Delta assicura una produzione superiore all’intero fabbisogno alimentare del paese, tanto che il Việtnam è diventato il secondo esportatore mondiale di riso dopo la Thailandia.

Nel Delta davvero ci si rende conto di quanto acqua e terra in Việtnam siano inseparabili; anche senza considerare la lunghissima linea costiera orientale — 3451 km di litorale affacciato sul Pacifico — dappertutto in Việtnam c’è acqua, come se non esistesse un confine definito tra il solido e il liquido: fiumi immensi, con una portata colossale, lo attraversano in diagonale dai rilievi occidentali fino alla costa orientale; le province meridionali e la regione di Hànội a nord sono tagliate da due ragnatele d’acqua, i delta del Mekong e del Fiume Rosso. Come se non bastasse, l’interna superficie coltivata è ricoperta più volte l’anno da un velo d’acqua, quando le risaie sono inondate nella prima fase di crescita della piantina di riso; e poi ancora, acqua dei laghi di montagna e delle lagune costiere, laghetti nell’area urbana di Hànội, piogge quasi quotidiane in alcuni mesi, e le nebbie sulla baia di Hạlong e nelle valli di montagna, l’acqua calcarea che stilla nelle innumerevoli grotte, le lacrime per i morti di oltre trenta anni di guerre.

Continua a leggere

Scritto sul cielo blu

Il 26 novembre è uscito per la collana Passport delle edizioni delos Books un mio romanzo breve intitolato “Scritto sul cielo blu”, ambientato durante la guerra del Vietnam. La prima stesura del testo è antecedente al mio viaggio nel paese; ho potuto constatare in quell’occasione di non avere commesso grossi errori di ambientazione. Questo post contiene una parte del testo che ho scritto in occasione del viaggio, le pagine riferite alla città di Huế , dove si svolge la parte principale della storia.

Mentre camminiamo fianco a fianco durante la breve escursione tra le minoranze etniche al confine con la Cina, il ragazzo che aiuta la guida mi chiede perché ho scelto di venire in vacanza proprio in Việtnam. Io gli rispondo, forse con leggerezza, che il suo paese è parte integrante della mia adolescenza: ogni giorno al telegiornale seguivo le notizie della guerra, l’inarrestabile avanzata verso Sàigòn e l’impotenza dell’esercito americano. Così, a distanza di anni, mi è rimasta la curiosità di aggiornare la dimensione in bianco e nero da televisione anni Sessanta di questa terra in un certo senso mitologica — l’unico paese del mondo a avere vinto una guerra contro gli Stati Uniti.

La reazione del ragazzo alla mia risposta non è entusiasta, e mi pento delle mie parole. Ho già scoperto che i vietnamiti non amano parlare della “guerra americana”, forse avrei fatto meglio a dare una spiegazione più diplomatica. Eppure, con ogni probabilità è davvero questo il motivo che mi ha portato quaggiù dopo un volo di quasi dodici ore da Milano Malpensa a Hồchíminh via Parigi.

Il viaggio da Hộian a Huế è relativamente breve, anche considerando la condizione delle strade vietnamite: se non fosse che tra le due città si estende la metropoli di Đànẵng con oltre un milione di abitanti, sarebbe un tragitto ancora più rapido. Decidiamo di prendere il minibus, indistinguibile del resto rispetto al servizio a biglietto aperto, e raggiungiamo Huế nel primo pomeriggio.

Pagoda Thiên Mụ

Ho notato a volte, in certi viaggi e in certi paesi, che una particolare città conquista rapidamente nel mio immaginario un posto speciale. Ancora non sono riuscito a definire le caratteristiche di questi territori dell’intelletto: cosa hanno in comune Córdoba in Spagna, Cambridge in Inghilterra, Trinidad a Cuba, Bhakhtapur in Nepal, Jaisalmer in India e Fés in Marocco? Le uniche caratteristiche che mi vengono in mente sono una stratificazione storica percettibile e un relativo isolamento dal cuore economico del paese. Tuttavia, se fosse così semplice, a Hộian avrei provato la medesima sensazione di straniamento e familiarità insieme. Forse; e forse Hộian sarebbe una di queste città dell’anima, se non avessi visto successivamente Huế.

Continua a leggere

“Com’è strano coltivare il mare”, un racconto di Franco Ricciardiello

di LAURA GARONZI, Corso di Letterature comparate dell’Università di Verona

 

Terra Promessa – 10 Racconti di Fanta-decrescita 

La raccolta di racconti Terra Promessa, a cura di Gian Filippo Pizzo, si sviluppa da una domanda ben precisa rivolta dal curatore a dieci autori di fantascienza: è vero che rinunciando a qualcosa della nostra modernità si vivrebbe meglio? Su questo interrogativo si strutturano i dieci racconti che innestano nel tema della fantascienza quello economico. I racconti si basano infatti sulla teoria della decrescita, sviluppata da Serge Latouche (1940), filosofo ed economista francese, che ha criticato l’ideologia del produttivismo e del consumismo. Latouche definisce il significato della decrescita attraverso otto obiettivi (o comportamenti virtuosi) per un circolo virtuoso di decrescita serena, conviviale e sostenibile:

Il cambiamento reale di prospettiva può essere realizzato attraverso il programma radicale, sistematico, ambizioso delle “otto R”: rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare.[1]

La decrescita è stata definita da Latouche un’utopia concreta, dal momento che non è semplicemente un’elaborazione mentale ed intellettualistica, ma al contrario è attuabile concretamente. Questa ideologia economica e politica trova in Italia un suo esponente in Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice nel 2007, ed è stata appoggiata dal Movimento 5 stelle.

“Com’è strano coltivare il mare” di Franco Ricciardello è il terzo racconto della raccolta e si sviluppa in quaranta pagine. Esso si basa sull’ipotesi che in alcune province a cavallo tra le attuali regioni di Piemonte e Lombardia si compia un esperimento di decrescita controllata, creando in una zona ben delimitata un sistema economico alternativo.

Continua a leggere

Città Hochiminh

Mentre camminiamo fianco a fianco durante la breve escursione tra le minoranze etniche al confine con la Cina, il ragazzo vietnamita che ci accompagna domanda perché ho scelto di venire in vacanza proprio in Việtnam. Io gli rispondo che il suo paese è parte integrante della mia adolescenza: ogni giorno al telegiornale seguivo le notizie della guerra, l’inarrestabile avanzata verso Sàigòn e l’impotenza dell’esercito americano. Così, a distanza di anni, mi è rimasta la curiosità di aggiornare la dimensione in bianco e nero da televisione anni Sessanta di questa terra in un certo senso mitologica — l’unico paese del mondo a avere vinto una guerra contro gli Stati Uniti.

La reazione del ragazzo alla mia risposta non è entusiasta, e mi pento delle mie parole. Ho già scoperto che i vietnamiti non amano parlare della “guerra americana”, forse avrei fatto meglio a dare una spiegazione più diplomatica. Eppure, con ogni probabilità è davvero questo il motivo che mi ha portato quaggiù dopo un volo di quasi dodici ore da Milano Malpensa a Hồchíminh via Parigi.

Continua a leggere