Scritto sul cielo blu

Il 26 novembre è uscito per la collana Passport delle edizioni delos Books un mio romanzo breve intitolato “Scritto sul cielo blu”, ambientato durante la guerra del Vietnam. La prima stesura del testo è antecedente al mio viaggio nel paese; ho potuto constatare in quell’occasione di non avere commesso grossi errori di ambientazione. Questo post contiene una parte del testo che ho scritto in occasione del viaggio, le pagine riferite alla città di Huế , dove si svolge la parte principale della storia.

Mentre camminiamo fianco a fianco durante la breve escursione tra le minoranze etniche al confine con la Cina, il ragazzo che aiuta la guida mi chiede perché ho scelto di venire in vacanza proprio in Việtnam. Io gli rispondo, forse con leggerezza, che il suo paese è parte integrante della mia adolescenza: ogni giorno al telegiornale seguivo le notizie della guerra, l’inarrestabile avanzata verso Sàigòn e l’impotenza dell’esercito americano. Così, a distanza di anni, mi è rimasta la curiosità di aggiornare la dimensione in bianco e nero da televisione anni Sessanta di questa terra in un certo senso mitologica — l’unico paese del mondo a avere vinto una guerra contro gli Stati Uniti.

La reazione del ragazzo alla mia risposta non è entusiasta, e mi pento delle mie parole. Ho già scoperto che i vietnamiti non amano parlare della “guerra americana”, forse avrei fatto meglio a dare una spiegazione più diplomatica. Eppure, con ogni probabilità è davvero questo il motivo che mi ha portato quaggiù dopo un volo di quasi dodici ore da Milano Malpensa a Hồchíminh via Parigi.

Il viaggio da Hộian a Huế è relativamente breve, anche considerando la condizione delle strade vietnamite: se non fosse che tra le due città si estende la metropoli di Đànẵng con oltre un milione di abitanti, sarebbe un tragitto ancora più rapido. Decidiamo di prendere il minibus, indistinguibile del resto rispetto al servizio a biglietto aperto, e raggiungiamo Huế nel primo pomeriggio.

Pagoda Thiên Mụ

Ho notato a volte, in certi viaggi e in certi paesi, che una particolare città conquista rapidamente nel mio immaginario un posto speciale. Ancora non sono riuscito a definire le caratteristiche di questi territori dell’intelletto: cosa hanno in comune Córdoba in Spagna, Cambridge in Inghilterra, Trinidad a Cuba, Bhakhtapur in Nepal, Jaisalmer in India e Fés in Marocco? Le uniche caratteristiche che mi vengono in mente sono una stratificazione storica percettibile e un relativo isolamento dal cuore economico del paese. Tuttavia, se fosse così semplice, a Hộian avrei provato la medesima sensazione di straniamento e familiarità insieme. Forse; e forse Hộian sarebbe una di queste città dell’anima, se non avessi visto successivamente Huế.

Non c’è dubbio che Huế sia una città molto, molto differente da Hộian con i suoi 280 mila abitanti e la vasta zona moderna a sud del Fiume dei Profumi, ricostruita dopo le immani devastazioni della guerra; eppure spettri di incenso e fumo infestano la riva settentrionale, tra la Città Purpurea Proibita e la pagoda di Thiên Mụ, si aggirano tra le tombe monumentali degli antichi imperatori disseminate lungo i meandri del Fiume dei Profumi, sotto il sole a picco e sopra le esalazioni torride della pietra.

Anche questa volta abbiamo prenotato in anticipo, via telefono perché per un intero giorno Hộian è rimasta scollegata dalla rete Internet: in questo modo evitiamo di nuovo il rito degli hotel convenzionati e raggiungiamo il Mimosa Guesthouse, che i tassisti vietnamiti pronunciano Mi-Mù-Sà. Lo standard è piuttosto spartano, come il prezzo: poco più di 5 euro la camera doppia. Scopriamo con qualche ora di ritardo che la proprietà è cambiata, e che il signor Trần Văn Hoàng consigliato da Lonely Planet ha acquistato un altro hotel. Il nuovo proprietario è un giovane alto e impassibile, con un paio di occhiali e un blocchetto di ricevute sulle quali annota tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Can you book a taxi to the airport for tomorrow, please? — Yes, Sir. 6 dollari americani, paghiamo in contante e lui ci rilascia una ricevuta. We would like to buy a boat trip on the Perfume River, leaving tomorrow, please. — Yes, Sir. 3 dollari, ecco la ricevuta. Immaginiamo di chiedergli Can you find an atomic bomb for us, please? Tirerebbe fuori imperturbabile il suo blocchetto di ricevute, pronto a accontentarci. Yes, Sir.

Tử Cấm Thành, la Città Purpurea Proibita

La costruzione della cittadella di Huế fu iniziata nel 1804 su un progetto di ispirazione geomantica, in un’area circondata da un fossato della lunghezza di dieci chilometri. Decine di migliaia di operai lavorarono agli enormi bastioni ispirati all’architettura militare di Vauban: le mura della cittadella hanno resistito ai secoli, ma la maggior parte delle costruzioni all’interno è stata rasa al suolo durante la feroce battaglia di Huế nel 1968. Poco oltre la porta Ngọmôn (“di mezzogiorno”), c’è un laghetto di fiori di loto. I passaggi laterali erano accessibili ai membri della corte, il ponte centrale riservato all’imperatore. La Tử Cấm Thành, la Città Purpurea Proibita che sorge oltre le sale dove i mandarini si cambiavano d’abito per comparire alla presenza dell’imperatore, era chiusa a chi non fosse membro della famiglia regnante o un eunuco di corte.  Oggi la Città Proibita è ridotta a una serie di orti che circondano la sala di lettura dell’imperatore: tutto il resto è stato demolito dall’artiglieria americana e dall’aviazione di Sàigòn. Qui nella Città Proibita, tutti i luoghi hanno nomi dal sapore antico: il Palazzo dell’Armonia Suprema, con il suo tetto di travi di legno sorrette da 80 colonne laccate; le Nove Urne Dinastiche dedicate agli imperatori Nguyễn; la residenza della regina madre, i templi e i laghetti. La giornata è calda, caldissima, il sole implacabile. Si fatica a trovare un fazzoletto d’ombra tra gli orti e le magnifiche vestigia bombardate. Nel 1968 due abitanti di Huế su tre vivevano all’interno delle mura della cittadella, a ridosso della zona imperiale. Durante la sanguinosissima offensiva del Tết che investì quasi tutte le città del Sud e rese palese al mondo intero che una vittoria americana era impossibile, una divisione nordvietnamita e formazioni vietcong aggirarono la roccaforte USA di Khesanh e occuparono l’ex capitale imperiale. La tennero per oltre tre settimane: ci vollero dieci giorni perché americani e sudvietnamiti riuscissero a riprendere la zona moderna di Huế a sud del Fiume dei Profumi, ridotta a un cumulo di macerie dai combattimenti strada per strada. I bombardamenti senza tregua e la resistenza casa per casa continuarono all’interno della cittadella. Si calcola che nella battaglia persero la vita diecimila persone, per la maggior parte civili.

Davanti alla cittadella il Fiume dei Profumi è largo e piatto, e separa Huế in due metà molto distanti. Chi risale con un’imbarcazione i larghi meandri d’acqua penetra in un favoloso scenario di colline verdi e montagne coperte di neve, nuvole bianche e acque grigie. La pagoda di Thiên Mụ, la cui favolosa torre ottagonale a sette piani si rispecchia direttamente nelle acque del Fiume dei Profumi, si erge sulla riva settentrionale a meno di quattro chilometri dalle porte della cittadella; al nostro arrivo è in corso una funzione religiosa, con i monaci inginocchiati davanti all’altare dei tre Buddha — del passato, del futuro e della storia. Una stele di pietra è posata sulla schiena di una tartaruga di marmo, simbolo di longevità. Candelotti di incenso rosso si consumano nei bracieri, nastri di fumo azzurro strisciano nell’aria immobile. Un gong batte il tempo. Un anziano monaco sorride a Mariella quando deposita l’offerta di una banconota nell’urna.

Mausoleo dell’imperatore Minh Mạng, lungo il Fiume dei Profumi

Risalire il Fiume dei Profumi da questo punto è un viaggio nella storia, nel tempo, nell’immaginario dell’Asia. Il modo più semplice e efficace per visitare le tombe degli imperatori Nguyễn è navigare il Fiume dei Profumi. Gli alberghi di Huế vendono gite di una giornata a prezzi irrilevanti, poco più di un euro a testa, su imbarcazioni a conduzione familiare. La sistemazione a bordo è piuttosto spartana e le bibite sono a parte, ma se ci si accontenta del pranzo standard non si spende nulla di più.

La tomba monumentale dell’imperatore Tự Đức, morto nel 1883, è circondata da mura massicce nascoste sotto l’ombra di alberi altissimi. Oltre l’ingresso del mausoleo funebre, un sentiero lastricato di pietra passa accanto a un laghetto immobile, nelle acque verdi in mezzo alle foglie di loto si riflette il padiglione dove l’imperatore recitava poesie alle sue concubine. Una scala calcinata dal sole conduce a un tempio di ombra, il tetto sorretto da colonne di lacca nera. Nel cortile sul retro i raggi solari non lasciano tregua. Più oltre sorge l’irreale cortile d’onore dell’imperatore, con la sua guardia di mandarini di pietra, elefanti e cavalli. La stele di Tự Đức è in cima a una scalinata, ci vollero quattro anni per trascinare qui le sue venti tonnellate. Il sole batte insopportabile sulle geometrie sovrumane del cortile, sulle effigi degli antici dignitari corrose da chiazze verde scuro a causa del terrificante livello di umidità, sulle lastre della pavimentazione separate da strisce di muschio. Sembra di trovarsi in un giardino pietrificato da qualche antico incantesimo. La tomba vera e propria sorge poco oltre, ma Tự Đức non è veramente sepolto qui: duecento servitori incaricati di tumulare l’imperatore furono decapitati per timore di furti a danno del ricchissimo corredo funerario, il risultato è che a tutt’oggi non si sa dove sia effettivamente il sepolcro.

Qualche chilometro più a monte, a poche decine di metri dalla riva del Fiume dei Profumi sorge il complesso funerario più maestoso, quello dell’imperatore Minh Mạng, morto nel 1841. A sedici chilometri da Huế i visitatori sono rari; il mausoleo è una incredibile successione di cortili, padiglioni, templi di legno laccato, altari sacrificali, scalinate di granito, ponticelli di pietra, laghetti immersi nel ritmo della vita e della morte. Il ciclo annuale della natura disfa il tempo della tomba imperiale in una sequenza di equinozi di muschio e solstizi di pietra, un tappeto di foglie morte spazzate da mulinelli di vento in riva a specchi d’acqua immobili. Se lo spettro di Minh Mạng si aggirasse ancora tra queste geometrie di legno laccato e bandiere di rame, piangerebbe di solitudine e struggimento sotto i raggi della luna e del sole. Il lago della Chiarezza Perfetta — che non è detto l’imperatore abbia raggiunto prima della morte — è il centro tranquillo di questa composizione funebre. Più oltre, passati il Padiglione Ad Angolo e il Padiglione Dell’Aria, si incontra il lago della Luna Nuova, dal quale una scalinata conduce al tumulo tombale. Un silenzio fiabesco, favorito da un caldo quasi assoluto, circonda come una bolla il mausoleo di Minh Mạng. L’impressione è che nemmeno i nostri passi abbiano il diritto di risuonare tra il granito e gli alberi.

Pagoda Thiên Mụ

Tutte le foto © 2005 Franco Ricciardiello

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