Bolaño, La pista di giaccio

Quando Roberto Bolaño Ávalos muore all’età di cinquant’anni, nel luglio 2003, lascia tutti i diritti sulla propria opera alla moglie e ai figli minorenni; raccomanda che il monumentale 2666, forse la sua opera più interessante e conosciuta, venga pubblicato in cinque parti distinte e successive in modo da garantire un gettito economico alla famiglia. Tuttavia gli eredi e l’editore, ragionando sull’alto valore letterario del lungo romanzo, decisero di soprassedere alla volontà dell’autore e pubblicarlo in volume unico. L’edizione postuma di 2066 fu soltanto la prima puntata di una discreta serie di opere inedite trovate nei cassetti di Bolaño e mandate alle stampe, quasi tutte di valore letterario nettamente superiore alla media e già pronte in una stesura definitiva.

Da qualche anno l’editore Adelphi ha intrapreso la ripubblicazione di tutta l’opera di Roberto Bolaño, apparsa originariamente in Italia da Sellerio, con una nuova traduzione. Il ritmo è più o meno un titolo l’anno: nel 2018 è toccato a Lo spirito della fantascienza (titolo mai passato dalla casa editrice palermitana, perché si tratta di una delle ultime “riscoperte” di inediti), quest’anno è invece uscito il giovanile La pista di ghiaccio, a quindici anni dalla prima edizione, e nella nuova traduzione di Ilide Carmignani (la precedente era di Angelo Morino).

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Mare della Tranquillità

di FRANCO RICCIARDIELLO

Quell’estate, eravamo probabilmente già tornati dalle ferie che trascorrevamo al paese di mio padre. Ogni anno percorrevamo in auto la dorsale della penisola, l’autostrada del Sole, e tornavamo in tempo per l’anno scolastico. Nel ’69 però le scuole avrebbero riaperto il 1° ottobre, dunque oltre due mesi dopo il nostro rientro; per cui siamo probabilmente tornati a causa dell’attività di mia madre, una rivendita di giornali, un commercio che negli anni Sessanta prevedeva pochissimi giorni di chiusura festiva — in un anno si potevano contare sulle dita di una mano. Quando eravamo in vacanza, doveva rimanere in edicola mia nonna, aiutata da mia cugina prima Patrizia, che viveva con noi perché i suoi genitori erano in Nigeria, nella vasta comunità italiana che lavorava nei grandi cantieri edili. Avevano tentato di portare con sé le due figlie, ma l’infuriare della guerra del Biafra li aveva convinti a rispedirle in Italia.

Questa è probabilmente la ragione per cui ci trovavamo a casa e non in ferie il 20 di luglio, la notte dello sbarco sulla Luna. Mio padre era un entusiasta autodidatta, interessato alle questioni scientifiche; aveva indotto me e mio fratello minore a seguire fino dall’inizio la missione Apollo 11. Conoscevamo i nomi dei membri dell’equipaggio, Armstrong, Aldrin e Collins, riconoscevamo il profilo del razzo Saturn e ci era famigliare anche la forma del Lem, il modulo di atterraggio Eagle che portò due uomini dall’orbita lunare alla superficie del satellite. Sapevamo invece poco o nulla del contemporaneo programma spaziale sovietico, molto più avanzato e superato solo negli ultimi mesi dalla Nasa, e pertanto abbandonato; per ragioni politiche, a mio padre non interessavano i russi.

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Gainsbourg: cattive notizie dalle stelle

di FRANCO RICCIARDIELLO

A volte mi trovo a riflettere quanto manchi nella musica italiana una figura equivalente a Serge Gainsbourg. Con un paragone forse troppo tranchant, è come se Fabrizio De André avesse scritto i testi delle canzoni di Lucio Battisti.

Quando Serge Gainsbourg nasce nel 1928 i genitori, ebrei russi fuggiti dopo la rivoluzione bolscevica, abitano in rue de la Chine, nel quartiere Belleville di Parigi, dove Lucien Ginsburg (questo il nome all’anagrafe) passa l’infanzia. Il padre Joseph Ginsburg, nativo di Kharkov in Ucraina, ha frequentato il conservatorio di Pietrogrado e poi di Mosca; a Parigi deve adattarsi a suonare nei piano-bar mentre la madre, la mezzo-soprano Olga Besman, canta al conservatorio russo. Nel 1948 Lucien impara a suonare la chitarra durante il servizio militare, ma il suo esordio artistico è nell’arte figurativa (è anche allievo di Fernand Léger). Sostiene di avere compreso le potenzialità della canzone popolare durante un concerto di Boris Vian: i suoi pezzi impegnati, i testi a metà tra ironia e cinismo, l’atteggiamento anarchico provocatore incidono in profondo nel giovane, che francesizza il cognome in Gainsbourg e comincia a suonare il piano in un cabaret, dove si fa notare finché lo spingono direttamente sul palcoscenico come cantante.

Percorrendo rue de la Chine si ha l’impressione di trovarsi nella periferia di una città di provincia. Ha scritto il filosofo tedesco Walter Benjamin, il secondo grande autore che si è occupato del flâneur dopo Charles Baudelaire:

“C’è una piccola parola d’ordine massonica da cui si riconoscono l’un l’altro gli amanti più fanatici di Parigi, sia francesi che stranieri: è la parola provincia. Con un’alzata di spalle il vero parigino, quand’anche non dovesse andare in viaggio un anno sì e un anno no, nega di essere un abitante di Parigi. Egli abita nel treizième, nel deuxième o nel dixuitième, non a Parigi, ma nel suo arrondissement – nel terzo, nel settimo o nel ventesimo – e questa è provincia. Forse è qui il segreto della mite egemonia che la città esercita sul resto della Francia: essa ha accolto l’altro nel cuore dei suoi quartieri, che sono le sue province, e ha dunque più province dell’intera Francia. Sarebbe stolto seguire qui l’ordine burocratico del catasto: Parigi ha più di venti Arrondissements, ed è piena di città e di villaggi.”

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Un passaporto per l’Eternità

di ROMINA BRAGGION

“Permetteteci, signori, di augurarvi dolcissimi sogni!”

James Ballard, Passport to Eternity.

Manuale di scrittura di fantascienza, Passaporto per l’eternità, è un saggio realizzato da Giulia Abbate e Franco Ricciardiello edito da Odoya Edizioni.
Partiamo dal vestito e appuntiamo la prima stellina.
Apprezzo moltissimo la copertina di Mauro Cremonini : trovo davvero originale la grafica, il tratto quasi infantile e giocoso. Il piccolo asteroide tondeggiante e l’Astronautino, vagamente Tele-tubbies, sono in primo piano.
Il titolo è scandito a colori e font diversi sebbene molto leggibili.
Lo sfondo giallo crea un bell’accordo con il fiordaliso del dorso e della sovracoperta.
Ritroviamo Astronautino nel frontespizio: ci accoglie poggiato su un pianeta alieno a forma di libro.
Un altro astronauta scende in picchiata sull’indice dei box.
Siamo quasi confortati da questa freschezza e spontaneità. Senonché le virgolette bianche che delimitano l’asteroide e il pianeta minaccioso che sovrasta Astronautino, dovrebbero insospettirci.
Inconsapevoli proseguiamo, scoprendo un sommario ben strutturato, molto utile per la lettura veloce, un indice dei box e un indice delle schede libro.

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