Torino Nouvelle Vague

Il 22 febbraio è la data di pubblicazione del mio nono romanzo, il giallo d’indagine Torino Nouvelle Vague, per Todaro Editore, la storica casa editrice milanese il cui nome è legato alla Libreria del Giallo di Tecla Dozio, e che oggi è diretta da Veronica Todaro.

Franco Ricciardiello, “Torino Nouvelle Vague“, collana Impronte,Todaro Editore, febbraio 2022, 248 pagg. € 16,00 (stampa), anche in ebook, ISBN 978-8832159394

Mentre al Museo del Cinema di Torino è in corso la Nuit blanche del Cinema francese, l’attrice musa della Nouvelle Vague, Sophie Alma, viene assassinata in un albergo del centro città. Il pm incaricato delle indagini, il trentaseienne Erasmo Mancini, è coadiuvato dal commissario Mauro Ferrando, suo ex compagno di università.

Mancini ha casualmente incrociato la vittima la sera precedente nella Mole Antonelliana, durante la serata di gala dedicata agli ottanta anni del regista Leclercq, ex marito di Sophie e grande vecchio del cinema francese.

I testimoni degli ultimi momenti dell’attrice sono l’attuale marito di Alma; il suo amante, cantante di grido negli anni Sessanta; un famoso critico cinematografico; infine l’attuale moglie di Leclercq. Tutti potrebbero in teoria possedere un movente per l’omicidio. L’unico dettaglio inspiegabile è il fatto che mentre il gruppo rientrava in albergo in auto, la vittima abbia improvvisamente preteso di scendere e continuare a piedi.

Questo romanzo è un omaggio a Jean-Luc Godard, facilmente identificabile dietro il personaggio del regista Leclercq, che parla e si comporta come farebbe al suo posto il grande vecchio del cinema postmoderno. Il personaggio femminile, Sophie Alma, è ispirato a Anna Karina, prima moglie di Godard e musa del grande momento del cinema francese, la Nouvelle Vague.

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Ricordi di cent’anni fa

Di mio nonno paterno Francesco Ricciardiello non ho molti ricordi. Morì nel 1970, quando io avevo nove anni. Ci furono poche occasioni di stare insieme, dal momento che vivevamo a mezza Italia di distanza: lui a Mugnano di Napoli, dove mio padre è nato, io a Vercelli, dove mio padre fu trasferito quando era in polizia: a Vercelli papà si sposò, qui nascemmo mio fratello, mia sorella e io.

Nonno Francesco con le mie cugine Liana e Santina, primi anni Sessanta

Fino a metà anni Settanta, ogni estate scendevamo tutti per le vacanze a Mugnano. Nonno Francesco, che tutti chiamavano con il diminutivo napoletano, Ciccio, aveva già 74 anni quando nacqui io. Ormai non lavorava più; viveva circondato dai figli (ne generò dodici, sei maschi e sei femmine) e dai figli dei figli. Per le vacanze, eravamo ospitati in una stanza della vecchia casa famigliare, ormai circondata da quelle costruite per ciascuno dei figli, tra i quali nonno Francesco aveva diviso la terra in parti uguali, maschi e femmine indifferentemente. Lui viveva nell’unica altra stanza della medesima casa, e dormiva in quella che un tempo era la cucina. Negli anni Trenta e Quaranta, in quelle due stanze vivevano in quattordici.

A parte memorie generiche di lui molto anziano che girava in cortile a piccoli passi, appoggiandosi al bastone, svanito, con i suoi baffetti alla Charlie Chaplin, ho pocchissimi ricordi diretti.

Un’estate arrivammo in auto dopo il lungo, stremante viaggio sull’Autostrada del sole. Incontrammo nonno al cancello del cortile di casa sua, che era sempre aperto. Mio padre tirò giù il finestrino per salutarlo, ma nonno Francesco non lo riconobbe e gli chiese chi fosse. Doveva essere l’estate del 1970, quindi poco prima che morisse, o l’anno prima.

Mio fratello ricorda che un giorno giocavamo insieme ai cugini vicino alla porta di casa sua: avevamo piazzato i soldatini di plastica sotto una fontanella e aperto l’acqua per vedere quale sarebbe annegato per ultimo; lui uscì a sgridarci perche stavamo sprecando l’acqua.

Forse la stessa estate, mentre giocavo in cortile con i cuginetti, lui si aggirava con il bastone, perso nel suo mondo mentale. Si fermò proprio davanti a me e mi chiese con poche parole tremanti di allacciargli i sandali, che si erano aperti sul piede. Questa è l’unica volta, che mi ricordi, in cui si rivolse a me direttamente. Per il resto, viveva in un’incoscienza un po’ rancorosa, in preda all’arteriosclerosi, e noi nipoti non capivamo cosa dicesse.

Il poco che sapevo di lui veniva da mio padre Benito, ottavo di dodici figli, nato quando i genitori avevano rispettivamente 41 e 38 anni: lui, Francesco Ricciardiello, nato il 19 ottobre 1887 a Calvizzano, paese che confina con Mugnano, e Santa Giaccio, nata il 1 novembre 1890, credo a Marano di Napoli. Mio padre fu battezzato Benito perché i nomi famigliari disponibili erano terminati. Il nonno chiese all’ufficiale di stato civile di mettergli il nome il presidente del consiglio, che non ricordava; il funzionario chiese la licenza di aggiungere un secondo e un terzo nome; per questo, mio padre si chiamava all’anagrafe Benito Giulio Cesare Ricciardiello.

Ciò che so del nonno proviene dunque da mio padre, che se ne era andato da Napoli nel 1951, al termine del servizio militare e poco dopo la morte di sua madre. Ci raccontava che suo padre aveva fatto la Grande Guerra, era stato in Carso e poi in Francia.

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Blu è il colore di Nino Martino

Nino Martino, Blu è il colore del tempo, Delos Digital 2021, € 15,00 (carta) € 3,99 (ebook)

È il terzo romanzo di Nino Martino ambientato nello stesso universo del fortunato “Errore di prospettiva” (2017), benché a stretto rigore di termini questa non si possa considerare una vera e propria trilogia.

“Blu è il colore del tempo” vede infatti all’opera la medesima squadra di personaggi del primo romanzo, mentr e“Irene” (2020), il secondo, ha protagonisti affatto diversi. Diciamo che gli ultimi due si svolgono in contemporanea, in luoghi distanti e con argomenti differenti.

Ritroviamo dunque l’équipe d’esplorazione esoplanetaria composta dalle due coppie Roberto (voce narrante) e Yang, e Carlo e Ambrah, più Joseph, lo scienziato “autistico” che parla per enigmi. Il punto di partenza narrativo è simile a “Errore di prospettiva”, vale a dire il primo contatto con una specie aliena; in questo romanzo però l’avventura si estende nello spazio profondo, grazie a un meccanismo di trama simile a quello di “2001 odissea nello spazio”. La fantascienza hard nella quale Nino Martino è così versato si movimenta, l’azione è più articolata, il lettore difficilmente riesce a trattenersi dal precipitare nel suo sense of wonder.

Inoltre, questo romanzo ha ereditato da “Irene” un importante ingrediente: l’irruzione sulla scena di un’IA (intelligenza artificiale) come co-protagonista, Sitran, che evolve e matura nel corso della narrazione.

Non so se l’autore deciderà di continuare la serie, lungo la strada tracciata dai primi romanzi; se decidesse di farlo, la prossima volta mi aspetterei un sequel di “Irene”…

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