Ferruccio Busoni su Solaris

Natal’ja Bondarčuk con il regista Andreij Tarkovskij

Questo post è un frammento tratto da “Storie di Berlino“, il quarto libro che ho pubblicato con Odoya Edizioni, dedicato a musica, cinema e letteratura in una città italiana o europea. Ferruccio Busoni (1866-1924) è un compositore italiano che ha vissuto una parte importante della sua maturità artistica e personale a Berlino. La sua trascrizione per pianoforte del corale  Ich ruf’ zu dir, Herr Jesu Christ (BWV 639, Io chiamo te, signore Gesù Cristo), dall’Orgelbüchlein di Johann Sebastian Bach è stata usata dal regista russo Andrej Tarkovskij nella colonna sonora del suo film Solaris (1972) in una struggente versione per organo, che amplifica le emozioni dei personaggi.

Un uomo vestito con un abito scuro, giacca e cravatta, entra in una stanza che sembra una sala di forma ovale, con boiserie alle pareti, dove una giovane donna fuma, girata di spalle.

I due si trovano all’interno della stazione spaziale terrestre messa in orbita per scopi scientifici intorno al lontano pianeta Solaris. Lui è Kris Kelvin, inviato dalla Terra per verificare cosa accade nella stazione, primo passo verso lo smantellamento. Lei è sua moglie Hari, che non potrebbe essere qui, non potrebbe neppure essere in vita dal momento che è deceduta anni fa. Però Solaris è ricoperto da un mare che in realtà è un unico, immenso organismo senziente, in grado di estrarre ricordi dalla mente degli esseri umani, e materializzarli all’interno della stazione.

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Splendore e decadenza del Portogallo

“Archibald”, di Camilo Veliovich, Montevideo (Uruguay)

Il fatto che una nazione delle dimensioni del Portogallo abbia dato alla letteratura contemporanea due scrittori del calibro di José Saramago e António Lobo Antunes, divisi da solo vent’anni di età, dovrebbe forse stimolare qualche riflessione più approfondita. Saramago ha vinto il Nobel per la letteratura, premio per il quale anche Lóbo Antunes è stato proposto — e che personalmente mi auguro vinca prima possibile; ma non è questo a rendere necessario una comparazione, bensì la novità dirompente dietro l’originalità del loro stile. Ognuno dei due a modo suo, è chiaro, ma ciascuno con una Voce inconfondibile.

Sono conosciute le caratteristiche dello stile di Saramago: la lunghezza inusuale dei periodi, l’uso della punteggiatura fuori dalla norma, senza esclamativi e interrogativi, con pochi punto-a-capo, la mancanza di segni per indicare il discorso diretto, le battute di diversi personaggi poste di seguito, anche nel medesimo periodo.

Anche Lobo Antunes costruisce periodi complessi, frantumati, cede alla tentazione della divagazione, opera un montaggio di immagini e sensazioni destinato a riprodurre il ritmo del pensiero, rifugge i dialoghi diretti come se fossero malattie contagiose. In più, in Lo splendore del Portogallo, il ritmo è dettato da un continuo ritorno a una frase di discorso diretto pronunciata a voce alta; a partire da questa si sviluppa nella mente del personaggio punto-di-vista, una successione di immagini che provocano l’alternanza di ricordi e eventi nel presente della narrazione, spesso all’interno dello stesso periodo, con un meccanismo narrativo di grande efficacia.

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Storie della famiglia Akakuchiba

il presente post è già apparso come recensione su Pulp Libri

“Negozi” di Guweiz, Singapore

Con il romanzo Red Girls, l’autrice Sakuraba Kazuki, nata nel 1971 e autrice di una dozzina di romanzi maistream oltre a una lunga serie di light novels, debutta nella narrativa giapponese quel particolare sottogenere del romanzo contemporaneo che è la saga famigliare estesa su più generazioni; e questa assenza è peculiare, dal momento che si tratta di un topos narrativo presente in quasi tutte le letterature nazionali. Non è quindi un caso che quando il rappresentante del suo editore le propone di scrivere “un grande romanzo che contenga individualità, famiglia, storia del Giappone, amore, lavoro… tutto”, all’autrice vengano in mente solo esempi stranieri: Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, La casa degli spiriti di Isabel Allende e Orlando di Virginia Woolf.

A parte questa nota singolare, Sakuraba ha colpito nel segno: il romanzo, il cui titolo originale è traducibile in La leggenda della famiglia Akakuchiba (nome di famiglia che in italiano significa “foglia rossa morta”) segue tre generazioni femminili dagli anni Cinquanta del secolo scorso fino al presente, e dentro c’è di tutto: storia, cronaca, costume, sentimento, persino mystery.

Sakuraba Kazuki, tradotta per la prima volta in italiano con questo Red Girls, è famosa in Giappone e all’estero soprattutto per i suoi ranobe, cioè romanzi young adult (per il mercato adolescenziale) tradotti in inglese con “light novels”; definizione che si limita a utilizzare l’etichetta giapponese, dal momento che ranobe altro non è che la contrazione di raito noberu (ライトノベル),  traslitterazione in caratteri fonetici kana di “light novel”. Il più famoso ranobe dell’autrice è la serie Goshikku, anglicizzata in Gosick, e traslitterazione della parola Gothic: tredici volumi con testo di Sakuraba Kazuki e illustrazioni di Takeda Hinata, pubblicati a partire dal 2003. Sono ambientati negli anni Venti del secolo scorso in un immaginario paese montano dell’Europa, Saubure (Sauville nella traduzione inglese) esteso dalla Svizzera al Mediterraneo attraverso Francia e Italia. I protagonisti sono il figlio di un alto ufficiale dell’esercito imperiale giapponese, che frequenta l’accademia in Europa, e una misteriosa giovane che passa tutto il tempo a leggere i libri di una biblioteca, da dove risolve enigmi polizieschi individuando a distanza i responsabili di delitti. Continua a leggere