La città degli dèi

LUOGHI SANTI IN RAJASTHAN E GUJARAT: HINDU, ISLAMICI, JAINISTI.

Ajmer, santuario di Muin-ud-Din Chishti

Ajmer, santuario di Muin-ud-Din Chishti

Nel suo celebre reportage di viaggio del 1961, L’odore dell’India, Pasolini definì «degenerata» la religione dell’India. L’induismo è in effetti un culto atipico, così antico da non vantare fondatori; non possiede gerarchie teologiche né autorità riconosciuta, e come se non bastasse non si cura di fare proselitismo. L’infinito pantheon di divinità hindu (a Mandore in Rajasthan si trova un Tempio dei 330 milioni di dèi) e l’apparenza preistorica del culto non contribuiscono a incentivare le conversioni, ma gli indiani sono un popolo mite e devoto. Le divinità più popolari sono Shiva, dio della distruzione, Ganesh dalla testa di elefante, dipinto per buon auspicio sui muri delle attività commerciali, e Hanuman, il dio-scimmia eroe dell’epopea del Ramayana.

Proprio a Hanuman è dedicato il tempio in riva al lago di Jamnagar, nella provincia del Gujarat, nel quale giorno e notte i fedeli si alternano per mantenere un dolce canto che non si è mai interrotto dal 1 agosto 1968:
Sri Ram, Jai Ram
Jai Jai Ram

Il tempio, dedicato a Bala Hanuman, è una pagoda sorretta da colonne all’interno di un recinto; i devoti cantano con un etereo accompagnamento musicale, gli uomini seduti a sinistra degli altari e le donne a destra, sotto le effigi di dèi e santi. Continua a leggere

bob-dylan-nobelIngrato. Presuntuoso. Maleducato. Chi si crede di essere per non ritirare il Nobel di persona? Cos’ha da fare di meglio, la sera del più importante premio del mondo? Non merita il Nobel. Dovevano darlo a Philip Roth. Dovevano darlo a Murakami Haruki. Dovevano darlo a Don DeLillo. Se volevano darlo a un cantautore, meglio Leonard Cohen.
Mi domando: ma quanti fra quelli che scrivono queste parole sul web hanno mai ascoltato una canzone di Dylan? Quanti hanno aperto un libro per leggere i suoi testi? Quanti si sono lasciati invadere dalla bellezza terrificante delle sue canzoni? Quanti si sono sentiti invadere dalla bruciante verità delle parole, come lui stesso canta in Tangled up in blue?

Quindi lei aprì e mi porse un libro di poesie
scritte da un poeta italiano del tredicesimo secolo,
e ciascuna di quelle parole suonava vera,
colava come carbone fuso tracimando da ogni pagina,
come se fosse scritta nella mia anima,
scritta da me per te

Foto © John Shearer, 2013

Anomalie aliene: l’Area X e le Zone della Visita

LA «TRILOGIA DELL’AREA X» A CONFRONTO CON  «PICNIC SUL CIGLIO DELLA STRADA».

«Stalker» (1979) di Andreij Tarkovskij

«Stalker» (1979) di Andreij Tarkovskij

Per caso ho da poco letto (o riletto) due opere di fantascienza che hanno molti punti in comune, al punto da pensare che il più recente possa essere stato influenzato dal precedente. Una delle due opere in realtà è articolata su tre volumi: la Trilogia dell’Area X (2014) dello statunitense Jeff VanderMeer, pubblicata da Einaudi senza la minima indicazione editoriale del genere fantascienza, racconta della comparsa in un tratto della costa meridionale degli Stati Uniti di una non meglio precisata anomalia territoriale, l’Area X, in cui avvengono cose inspiegabili e letali; l’agenzia federale Southern Reach è stata creata per esplorarla. Picnic sul ciglio della strada (1972) dei russi Arkadij e Boris  Strugackij (Ed. Marcos y Marcos, tradotto anche da Mondadori con il titolo Stalker, dal film di Andrej Tarkovskij che ne fu tratto) racconta di un’area proibita, la Zona della Visita, nella quale avvengono fenomeni inspiegabili dovuti probabilmente ai residui di una tecnologia avanzatissima abbandonati da una razza aliena, transitata per poche ore sulla Terra.

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John Cage, la musica aleatoria

NEL 1959 A «LASCIA E RADDOPPIA» MIKE BONGIORNO SBEFFEGGIA IL PIÙ FAMOSO COMPOSITORE AMERICANO DEL NOVECENTO

38-ascolto-21-11-2016John Cage impegna gli ultimi quarant’anni di vita, due terzi della sua intera attività artistica, a tentare di cancellare qualsiasi arbitrarietà nella composizione musicale, come se l’opera possa farsi da sé e non in conseguenza di un processo creativo. Cage giunge a questo traguardo della negazione dell’io del compositore, alla rinuncia del controllo sul suono, partendo dalle filosofie orientali che già hanno ispirato il balletto The Seasons con il ritmo delle stagioni dell’India. Oltre a fornire un criterio per imitare la natura, l’aleatorietà può aprire la mente all’influenza del divino, in modo da creare musica che nessuno abbia mai ascoltato.

Durante questa ricerca di un metodo razionale per sostituire la formazione dell’opera d’arte, Cage viene a conoscenza dell’Yìjīng, il Libro dei Mutamenti (I Ching secondo il metodo di traslitterazione Wade-Giles). Avendo notato il suo interesse per l’introduzione di un principio aleatorio nelle scelte di composizione, a fine 1950 il compositore Christian Wolff, figlio di uno dei traduttori dell’antico libro cinese, gliene procura una copia. Cage, che in precedenza utilizzava un quadrato magico, comprende subito le possibilità che gli offre la tabella di 64 esagrammi dell’Yìjīng, e la sfrutta per ottenere un ossimoro, cioè per organizzare il caso e introdurre l’imprevedibilità nella creatività artistica.

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Bon bon? stylo? dirham?

I BAMBINI DEL MAROCCO.

ait-arbiTutti coloro che hanno fatto un viaggio in Marocco vi ripetono la stessa cosa: è difficile visitare il souq di una delle città imperiali senza che ti si incolli addosso un bambino che ti propone in francese o in italiano, a volte in spagnolo, di farti da guida. Nelle valli a sud dell’Alto Atlante, sotto un profondo cielo africano, ogni volta che ti fermi per fotografare una qasba di sabbia bagnata, i bambini arrivano di corsa per ripetere la loro litania: bon bon? stylo? dirham?

È il 2002. Nella qasba abbandonata di Aït Arbi una bambina di nome Saida mi chiede cinque dirham, io gliene do dieci. Ho lasciato il grosso del gruppo Avventure nel Mondo a pranzare al sacco all’ombra, attraversando i frutteti sulla riva sinistra del Dadès per raggiungere il villaggio bruciato dal sole a metà collina. Incrocio due compagni di viaggio che tornano lungo il sentiero, mi mettono in guardia dalla più aggressiva fra i bambini che li seguono poco distante con i visetti furibondi: ha tirato sassi dopo avere chiesto senza successo qualche dirham. Invece di evitarla sorrido, fingendo reticenza; lei adotta subito un atteggiamento da padrona della situazione. Ha dieci anni, si chiama Saida e porta spillata al dolcevita la chiave d’ingresso della qasba diroccata. La seguo.

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