NEL 1959 A «LASCIA E RADDOPPIA» MIKE BONGIORNO SBEFFEGGIA IL PIÙ FAMOSO COMPOSITORE AMERICANO DEL NOVECENTO
John Cage impegna gli ultimi quarant’anni di vita, due terzi della sua intera attività artistica, a tentare di cancellare qualsiasi arbitrarietà nella composizione musicale, come se l’opera possa farsi da sé e non in conseguenza di un processo creativo. Cage giunge a questo traguardo della negazione dell’io del compositore, alla rinuncia del controllo sul suono, partendo dalle filosofie orientali che già hanno ispirato il balletto The Seasons con il ritmo delle stagioni dell’India. Oltre a fornire un criterio per imitare la natura, l’aleatorietà può aprire la mente all’influenza del divino, in modo da creare musica che nessuno abbia mai ascoltato.
Durante questa ricerca di un metodo razionale per sostituire la formazione dell’opera d’arte, Cage viene a conoscenza dell’Yìjīng, il Libro dei Mutamenti (I Ching secondo il metodo di traslitterazione Wade-Giles). Avendo notato il suo interesse per l’introduzione di un principio aleatorio nelle scelte di composizione, a fine 1950 il compositore Christian Wolff, figlio di uno dei traduttori dell’antico libro cinese, gliene procura una copia. Cage, che in precedenza utilizzava un quadrato magico, comprende subito le possibilità che gli offre la tabella di 64 esagrammi dell’Yìjīng, e la sfrutta per ottenere un ossimoro, cioè per organizzare il caso e introdurre l’imprevedibilità nella creatività artistica.
Cage interroga l’Yìjīng con il metodo delle tre monete, in modo da avere “risposte” sulla composizione: per esempio quale nota segnare, la sua durata e altezza, e così via. Quasi tutti i pezzi scritti dopo il 1951 soggiacciono a questo procedimento di aleatorietà forzosa, con una successiva modifica in direzione di uno snellimento della procedura che gli permetta di comporre più rapidamente (per ottenere un singolo esagramma, il metodo delle tre monete prevede sei lanci, più la consultazione del Libro).
Una delle prime composizioni che testimoniano questo metodo è Music of Changes (1951), dedicata fino dal titolo all’Yìjīng. Partendo da una tabella di 8×8=64 eventi sonori, sovrapponibile agli esagrammi, Cage interroga il Libro una prima volta per determinare il suono, intervalli compresi; successivamente per la durata e la dinamica. Il compositore non si ferma qui: il processo continua con la polifonia, cioè la presenza di altre voci nel brano (che Cage definisce layers, “strati”), da una sola voce fino a un massimo di otto voci.
C’è una corrente di pensiero secondo la quale questo tentativo di far scomparire la figura del compositore, che il romanticismo aveva elevato alla figura di genio, abbia un senso perché John Cage in quanto americano non sente il peso della tradizione “colta” tipica della musica europea. Questo non tiene conto del fatto che tentativi di revisione e destrutturazione della musica attraversano tutto il Novecento, e riesplodono dopo la seconda guerra mondiale con gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt — nel cuore della Germania dove il nazionalsocialismo li aveva bollati come Entartete Kunst, arte degenerata: filosofi e compositori italiani (Luciano Berio, Luigi Nono, Bruno Maderna), francesi (Pierre Boulez, Yannis Xenakis), tedeschi (Karlheinz Stockhausen, Theodor Adorno), ungheresi (György Ligeti) e così via, compresi gli statunitensi (Edgar Varèse e, appunto, John Cage).
Nel lavoro di Cage, l’adozione di un metodo esterno alla creatività dell’autore serve a eliminare qualsiasi influenza della sua sensibilità sui suoni, per rimuovere il desiderio di emozione nella musica. La filosofia che presiederebbe a questo tentativo è semplice, e come tutti gli slogan, piuttosto tranchante: «La musica è natura, non imitazione della natura». Per sua intrinseca natura, il suono è indeterminatezza, la figura di compositore non ha senso, non deve essere un creatore bensì un liberatore del suono. È chiaro che questa posizione radicale comporta un rifiuto della musica in quanto organizzazione del suono.
John Cage è venuto molte volte in Italia, e la sua presenza è legata a un ricordo molto particolare: la partecipazione al quiz nazionalpopolare Lascia o Raddoppia. A fine 1958 Cage si trova a Milano, ospite di Luciano Berio che collabora con lo studio di fonologia RAI. Malgrado abbia già 46 anni e sia abbastanza affermato come compositore — ma fama e entrate dignitose arriveranno solo negli anni ’60, Cage è talmente squattrinato da non avere neppure i soldi aerei del biglietto di ritorno negli USA. Nell’entourage di Berio, che oltre alla moglie, la mezzosoprano Cathy Berberian, comprende Umberto Eco, i musicisti Bruno Maderna e Sylvano Bussotti, il musicologo Umberto Leydi e persino Peggy Guggenheim venuta a vivere a Venezia, matura l’idea di procurargli qualche entrata economica. Ottengono di farlo selezionare per il quiz Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno, che era allora un evento di portata nazionale perché c’era un solo canale televisivo.
Berio deve prestargli un vestito perché il compositore non ne possiede; Cathy Berberian gli rammenda una manica scucita subito prima di andare in onda. Cage partecipa al quiz nell’inverno 1959 presentandosi come esperto di funghi ; vince 5.000.000 di lire (equivalenti a 8.000 dollari) con una domanda finale molto complessa e articolata, che prevede 20 risposte. Nelle cinque puntate della sua presenza, sconcerta il pubblico generalista e il conduttore Mike Bongiorno esibendosi in performance sonore con una strumentazione composta da pianoforte, due radio, frullatore, innaffiatoio, bollitore a vapore, gong e fischietto: le composizioni che rappresenta davanti alle telecamere si intitolano Amores, Water Walk e Sounds of Venice.
Mike Bongiorno, tipico campione del buonsenso pratico dell’italiano medio (Lascia o Raddoppia aveva un’audience media di 25 milioni di spettatori a puntata), totalmente incapace di comprendere il genio sotto l’originalità, rimane sconcertato da questa musica; riesce solo a domandare se si tratti di futurismo. Con una tipica esibizione di malizia provinciale, che tende a banalizzare il genio per ridurlo a una eccentricità rassicurante, il presentatore prende le distanze, assolutamente incapace di riconoscere la grandezza dell’Arte nemmeno quando gli cammina sui piedi.
Ecco la trascrizione del dialogo televisivo fra i due, subito dopo la risposta vincente di Cage (dialogo tratto dalla rivista musicale Gong, ottobre 1975, in un articolo intitolato significativamente Il profeta e il burattino; lascio indovinare chi sia il burattino tra i due):
Bongiorno — Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh insomma, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se intendeva di funghi, perché con le domande che gli abbiamo fatto questa sera c’era di che sudare. Quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni più o meno strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Io lo sapevo perché mi ricordo che il signor Cage ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate a raccogliere funghi, ed ecco dove ha imparato la sua materia.
Cage — Un ringraziamento a ….funghi, e ringraziamento alla Rai e a tutti genti d’Italia.
Bongiorno: — A tutta la gente di Italia! Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?
Cage — …mia musica resta.
Bongiorno — Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio che la sua musica andasse via e lei restasse qui.
Scrive a commento dell’articolo l’autore, Carlo Bertocci:
John Cage e Mike Bongiorno sono personaggi che rappresentano la loro eccezionale e antitetica tipicità: da una parte il musicista e artista d’avanguardia che insieme alla sua musica “incompresa” presenta le sue pur notevoli doti nozionistiche e dall’altra il burattino dei mass media, del tutto inconsapevole che la marionetta è un “genio”, ma consapevole della riduzione e della banalizzazione da operare su qualsiasi campione umano.