Un’ucronia romana

di Franco Ricciardiello

In occasione della vittoria di Ucronia (Delos Books ed., 2017), romanzo primo classificato al Premio Italia 2018, ripubblico uno stralcio da un precedente post dedicato all’autrice, Elena Di Fazio

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Elena Di Fazio compie il grande balzo in avanti, dal racconto al romanzo, con Ucronia. Vincitore del Premio Odissea bandito da Delos Books, questo romanzo recupera il felice nucleo narrativo alla base del precedente racconto Lezioni sul domani: un cataclisma della struttura spaziotemporale ha provocato la Convergenza, cioè una sovrapposizione tra il mondo dell’anno 1968 e quello dell’anno 2051, che si trovano a coesistere forzatamente nello stesso spazio fisico, in una geografia tormentata e dai confini tuttora instabili. Il plot è quasi tutto ambientato in una Roma tagliata in due dalla faglia che serpeggia tra quartiere e quartiere, tra isolato e isolato, talvolta dividendo a metà la medesima abitazione. Il romanzo ha inizio in media res, alcuni mesi dopo la Convergenza. Di Fazio sceglie di non seguire il classico punto di vista “macro”, con personaggi che abbiano la consapevolezza della natura del cataclisma. La trama non insegue cioè una restaurazione dell’originaria integrità del reale, ma sfrutta le possibilità narrative pressoché infinite del paradosso. I suoi personaggi hanno accettato la situazione e si muovono all’interno dei limiti, sia spaziotemporali che narrativi. Di Fazio non cede (perlomeno, fino agli ultimi capitoli) a tentazioni millenaristiche sempre in agguato, soprattutto nelle opere prime, né a un generico pan-umanesimo che dica la parola definitiva sulla Vita o sull’Universo. I suoi personaggi si trovano a nuotare in un mare diverso dal nostro, e vi si adattano senza nostalgia per il Prima.

L’attraversamento della linea di cambiamento temporale (che si riassesta in continuazione di alcuni metri in una direzione nell’altra) è possibile, anche se le autorità tentano di erigere un muro per separare nettamente le due zone. Da alcuni riferimenti, sembra che la Convergenza sia originata da un evento accaduto sul pianeta Marte, le cui risorse naturali cominciano a essere sfruttate intorno alla metà del nostro secolo. Tra i protagonisti vi sono Eva Maia e il marito, il colonnello tedesco Adam Luft che è riuscito a rientrare da Marte con l’ultimo volo dell’astronave Mao Hsien per trovarsi imprigionato nella Berlino Est del ’68, che applica le proprie leggi sull’espatrio clandestino anche ai cittadini del futuro. Nel tentativo di fuga, sua moglie Eva abortisce il feto che porta in grembo. In seguito, la loro storia si intreccia a Roma con quella di alcuni studenti che hanno promosso un movimento per l’occupazione delle scuole esteso a entrambi i regimi temporali; però anche le polizie utilizzano adesso i medesimi metodi antisommossa del futuro, a partire dall’uso dei droni, e la repressione si abbatte violenta. A complicare ulteriormente l’ambientazione c’è il fatto che la rete che connette tra loro tutti i cervelli del futuro è stata quasi smantellata dalla Convergenza. Per fortuna si è scoperto che una sostanza biologica che secernono i nanuq, goffi animali alieni importati da Marte e riprodottisi a ritmo esponenziale grazie alla partenogenesi (!), è in grado di connettere in qualche modo le menti di chi la assume per via orale, come una sorta di droga.

La trama, ricca di colpi di scena, si dipana intorno a questi punti cardine, sfiorando in continuazione le grandi domande alla base del romanzo: la Convergenza è uno stato definitivo del reale? Cos’è accaduto su Marte? Parecchie sono le invenzioni narrative tra il tragico e il surreale, in un’atmosfera che si fa sempre più cupa con il procedere della linea narrativa, una macchina pressoché perfetta che si mantiene in equilibrio tra sarcasmo e sense of wonder. Una parte consistente della trama si svolge di notte, senza indulgenza per l’estetica cyberpunk, tra continui spostamenti in auto tra la Città Nuova, quella del 2051, e la Città Vecchia del ’69, stridore di pneumatici, vecchie Simca e incidenti stradali. Imperdibili alcune invenzioni narrative, come le gite di massaie verso un futuro di vertigine consumista, con elettrodomestici inimmasginabili e silenziosi, oppure i grassi nanuk, goffi cuccioli bistrattati per le preziose lacrime che secernono dagli occhi, brutalmente sfruttati senza alcun retropensiero animalista.

Se il futuro è l’universo del consumismo capitalista, il passato invece esporta due sogni di natura molto diversa: la rivolta degli studenti e la conquista della Luna. Scrive Di Fazio nei Ringraziamenti in coda al libro: «Erano gli anni Sessanta e una generazione poco più che adolescente si sollevò oltre i confini politici e culturali per gridare a alta voce che un altro mondo è possibile.» Ma il futuro è già avvenuto, è ormai alle spalle della linea narrativa principale, la rivolta si è esaurita nel consumismo, e il sentito omaggio di Di Fazio a un tempo in cui eravamo innocenti di futuro è una battaglia sentimentale di retroguardia. Non si può cambiare il futuro, e in Ucronia non si può cambiare il passato, come scopre Adam Luft quando in un disperato tentativo di evitare la Convergenza acquisisce il potere di viaggiare nel tempo.

Il lettore si immedesima naturalmente nel personaggio Eva, il più positivo, ma un’analisi del testo evidenza che la trama è costruita intorno a suo marito Adam: la centralità di Adam Luft diventa infatti evidente se si applica alla trama il quadrato delle opposizioni, ovvero il “quadrato semiotico” proposto da Algirdas Greimas, che serve a rivelare il livello degli elementi fondamentali di un testo, la sua struttura profonda: e mi sembra bello che la sua formulazione risalga — guarda caso — al 1968 (originariamente in A. Greimas e F. Rastier, The interaction of the semiotic contraints, Yale French Studies n. 41, 1968).

La parte che segue contiene uno spoiler; chi non ha ancora letto il romanzo può saltare il testo, se non vuole venire a conoscenza di elementi fondamentali che potrebbero guastare il piacere della prima lettura.

Il quadrato semiotico è una derivazione dal quadrato delle opposizioni di Aristotele, che pone ai vertici superiori di un poligono due termini contrari uno all’altro, a sinistra l’essere, a destra il sembrare; per questa ragione ho posto nel primo il Patriarca e nel secondo Adam Luft. I due termini sono legati da connessioni di contraddizione (in diagonale) con i vertici inferiori del quadrato, in basso a sinistra non sembrare e in basso a destra non essere. Il quadrato semiotico si può quindi leggere così: il Patriarca sembra Adam Luft, ma non è umano; Luft è il Patriarca ma non sembra alieno. Sui due lati abbiamo invece relazioni subalterne tra i quattro termini, presi a due a due in verticale. Si legga infine il quadrato con l’interpretazione delle funzioni date da Greimas: nell’ambito del Segreto (sinistra verticale), «il Patriarca è un alieno», in quello della Menzogna (destra verticale), «Adam Luft è umano», ovviamente nel Falso (orizzontale inferiore) «l’alieno è umano», infine nel vero (orizzontale superiore) «Adam Luft è il Patriarca».

Ecco che tutto ruota intorno all’identità di Adam, in questo romanzo che trovo il più geniale e divertente pubblicato nel mondo della fantascienza italiana da diversi anni a questa parte.

Le immagini originali di questo post sono di © Aykut Aydoğdu, Istanbul

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