Per celebrare l’anniversario del 14 luglio, pubblico per gentile concessione dell’Editore un breve passaggio da un capitolo centrale del mio romanzo di fantascienza «Termidoro», ambientato in parte nel futuro e in parte nel momento più cruciale della Grand Révolution.
Dall’abitazione dei Duplay agli Champs-Élysées è una breve passeggiata, purtroppo la medesima che porta al patibolo, ma a quest’ora della sera rue Saint-Honoré non conserva traccia della ferocia del mattino. Finalmente, l’ora dei giovani. Il lavoro è appena terminato o sta per terminare — gli operai delle industrie nazionalizzate continuano fino al tramonto. In place de la Révolution la ghigliottina è solo un palco di legno con una guardia armata, fiumi di cittadini passeggiano tutto intorno, lungo la cancellata dei giardini delle Tuileries e più oltre nella grande oasi verde degli Champs-Élysées.
Fa impressione vedere come tutti portino la coccarda tricolore sul cappello o all’altezza del cuore, uomini e donne indistintamente. C’è un movimento, un flusso continuo di gente per i viali e giù fino al lungo Senna, da dove si può vedere la mole degli Invalides sull’altra riva. Questa è finalmente anche l’ora della moda, una splendida sera d’estate per la splendida Parigi liberata dai colori scuri e pesanti. Le sorelle Duplay che passeggiano sottobraccio a Maximilien Robespierre sono tra le più eleganti, ma senza ostentazione, anche se questo già suscita sguardi sospettosi di famiglie sanculotte sdraiate sui prati in cerca di fresco.
Babette ha un vestito colore canarino stretto in vita, Éleonoire un abito malva e calze di quel colore inconsueto che le sartine chiamano “tortora”; i vestiti di entrambe lasciano le caviglie scoperte, come imposto dalla moda sanculotta delle gonne corte. Siccome la temperatura può calare repentinamente dopo il tramonto, le ragazze hanno la profonda scollatura protetta da un fisciù quasi trasparente, ma non portano l’ombrellino parasole, fuori moda perché troppo aristocratico.
Stasera Maxime è più brillante del solito, dopo il bagno e la cena sembra rinato. Non ha voglia di parlare di politica, e si lancia in una disquisizione sulla bellezza di Parigi rispetto anche alle più belle città di provincia, e su come si potrà migliorare l’urbanistica appena venuta meno l’emergenza della guerra. Gli piacciono i grandi viali alberati che prolungano la capitale verso la campagna, è un ammiratore dei quartieri nuovi della periferia, costruiti dagli speculatori e dai grandi proprietari secondo le regole razionali della bellezza. Vorrebbe che questa armonia architettonica fosse a disposizione di tutti, che le classi popolari potessero finalmente abbandonare i piani alti degli edifici nei faubourg del centro, i meno ambiti, per colonizzare la bella città ariosa della cintura.
È più che altro Babette a mantenere accesa la conversazione; Maxime risponde accompagnando il discorso con ampi gesti della mano e salutando con un cenno quelli che lo riconoscono nella penombra dei viali. Complice la sera, la sua voce trasporta Éleonoire in uno stato d’animo ideale. Come le sembra nobile e giusto Maxime, in confronto ai mediocri che lo circondano… Quanti possono vantarsi di essere alla sua altezza, anche fra i deputati? Forse solo coloro che più gli stanno vicino. Maxime le appare come un gigante, un monumento ancora in vita alla Virtù. E come ogni volta la assale il timore per la sua sorte. In questi tempi feroci ci vuole poco perché il vento tiri da un’altra parte: una votazione critica, una sommossa, una voce di congiura. Si dà della sciocca: come sarebbe possibile, con tutta la forza del popolo sempre vigile e allerta contro i pericoli, con questa immensa energia scatenata dalla Rivoluzione, che sostiene la Repubblica e affronta i pericoli ai confini e all’interno delle frontiere?
Di un’altra cosa Éleonoire è sicura: se anche alle donne fosse permesso di sedere sui banchi della Convenzione, le cose andrebbero diversamente, e meglio. Le donne sono più decise, più solidali, e al tempo stesso più misericordiose. Non ci sarebbe bisogno, forse, di spargere tanto sangue che domani potrebbe tornare utile alla patria.
Quando Éleonoire pensa alla virtù repubblicana dell’antica Roma, non riesce a immaginare le sue partigiane come solide matrone alla Cornelia, mogli e madri di uomini grandi. Le viene in mente piuttosto una sorellanza di giovani donne, ragazze vergini, vestali della morale repubblicana. Una democrazia di fanciulle in tunica e fiori tra i capelli.
Il gomito di Maxime è tiepido contro il suo braccio nudo. Il sole è sceso dietro il Palais Colisée, le ombre si fondono con la sera, una mosca si ostina a importunarli. Éleonoire è distratta, sognatrice, si solleva in punta di piedi sulle parole dei libri, con la testa fra le nuvole.
Di donne protagoniste questa Repubblica ne avrebbe, nel bene e nel male: non si può dire che la Rivoluzione sia avanzata o retrocessa solo per causa di uomini. Anche senza contare le anonime popolane che si sono recate a Versailles a requisire il re, quando la Rivoluzione era ancora giovane e ingenua, né quelle che ogni sera davanti al magro focolare domestico incitano i loro uomini e li accompagnano alle società di sezione, Éleonoire pensa a una foresta di protagoniste con nome e cognome, e non sempre dalla parte giusta. Il primo nome che viene in mente è Claire Lacombe, la bellissima attrice di teatro che impersona la dea della Libertà nelle cerimonie pubbliche, amante del capopopolo Leclerc e presidentessa delle Repubblicane Rivoluzionarie che hanno la loro sede nel club dei giacobini, così importanti per la caduta della Gironda e la vittoria della Montagna; malgrado le virtù di Claire, Leclerc alla fine ha preferito sposare Pauline Léon. Agli uomini non sempre piacciono le donne attive.
E dopo Claire, pensa subito a Théroigne de Méricourt o Terwagne à Marcourt, la belle Liégeoise perché nata nei possedimenti austriaci del Belgio: bella sì ma così poco femminile in quell’abbigliamento da amazzone con cui si presenta alla Costituente, la pistola infilata nella cintura; voleva organizzare una falange di amazzoni per prendere parte alla guerra, ma era talmente legata ai girondini che una moltitudine di donne imbestialite la umiliarono denudandola completamente nei giardini delle Tuileries, e adesso è ricoverata all’ospedale Salpêtrière perché uscita di senno. E chi ha assassinato Marat? Una donna, Charlotte Corday. E chi si è introdotto a pratile con un coltello a casa loro, casa Duplay, per attentare alla vita di Maxime? Sempre una donna, Cécile Renault. E la detestabile Catherine Théot, orribile vecchia strega che sostiene di essere la madre di dio e di avere visioni a proposito di Maxime, che comunque è così comprensivo e ha chiesto il suo rilascio perché la considera una povera mentecatta. E Lucile Desmoulins, ghigliottinata pochi giorni dopo suo marito Camille, che pure era stato compagno di collegio e amico d’infanzia di Maxime. Ma il nome di Cécile richiama automaticamente quello di sua sorella Adèle, e il cuore di Éleonoire si raffredda. Il pensiero di Maxime e di Adèle Duplessis è insopportabile, per quanto tutti coloro che conoscono entrambi le abbiano assicurato che qualsiasi cosa vi sia stata tra di loro, è durata pochissimo.
Ma perché rovinare questa sera incantevole? Maxime è cortese e spiritoso, addirittura disinvolto grazie soprattutto a Babette che lo mette a suo agio. Babette cara, la sua felicità più grande adesso sarebbe che davvero Maxime si decidesse a fare un passo avanti con Éleonoire. I tempi sono crudeli, ma Philippe ha pur trovato il modo di dichiararsi e sposare Babette, e adesso questo bambino…
Éleonoire invidia queste giovani donne sanculotte sedute sul prato, a portata dei lazzi dei giovanotti, con un cestino di pane e vino e, se va bene, un pezzo di formaggio. Questa forma di emancipazione interpersonale la interessa ancora più delle libertà civili contenute in tutte le dichiarazioni dei diritti, e se ne vergogna. Specialmente questa sera che Maxime, punzecchiato dalla cara Babette, parla a ruota libera, e ai suoi orecchi è come se Jean-Jacques Rousseau fosse tornato in vita dopo sedici anni di oblio freddo nella tomba.
Come è possibile che qualcuno detesti un uomo così?
Questa serata melodiosa ha in comune con Rousseau un fascino misto di intimità e romanticismo. Il suono della parola intimità le colora di nuovo le guance, fortuna che adesso la pelle del viso ha già la sfumatura calda dell’occidente perché altrimenti Maxime se ne accorgerebbe. Prima o poi riuscirà a indurlo a leggere le Confessioni invece del consueto Contratto sociale che tiene sul tavolino da notte. C’è tanto più sentimento nelle Confessioni, l’intimità scaturisce da episodi di biografia apparentemente marginali, l’intenerimento della memoria opera una rivoluzione che parte dall’individualità e termina chissà dove, ai confini dell’universo.
Si sono avvicinati al mulinello d’allegria di un violino che suona come indiavolato, è un uomo con la barba grigia di miseria e un cappello frigio con una enorme coccarda. Impossibile non dirigersi automaticamente verso di lui. Ci sono giovani che danzano sotto l’ombra ormai quasi notturna degli alberi.
Éleonoire è felice. Non è semplice, con questo quadro preoccupante all’interno e all’esterno del suo cuore. Éleonoire Cornélie Duplay, la vestale della Repubblica. Una delle sere più belle dell’anno, di nuovo lei e Maxime e Babette insieme. L’aria è così piena del profumo di fiori che stordisce. Il confine dei viali e dei prati si dilata, rovescia le fragili barriere degli edifici intorno e si ritira fino al limite estremo di Parigi, e più oltre ancora fino a assorbire l’Île de France. A settentrione si estende un mare di grano, e poi la cintura bianca e blu dell’esercito che difende la frontiera. Ma qui nel cuore di Parigi, nel cuore di Francia, nel cuore del mondo c’è solo un bordone di violino, l’aria che si appanna e si tinge della qualità di luce della sera, il fazzoletto alla gola di Maxime di un colore così moderno. I fuochi si accendono nei faubourg, la gente aspetta davanti alla sede sezionale che tra poco aprirà per il dibattito serale: li attende una lunga notte di rivoluzione, non manca molto anche all’apertura del club dei giacobini dove Maxime è atteso per ripetere il discorso di stamattina. I falò della vigilanza rivoluzionaria tingono di rosso e oro i lineamenti; nelle corti suonano i violini e l’accordeon, le gonne oscillano al ritmo invasato della Carmagnole che precede ogni sussulto insurrezionale. La Rivoluzione si amplifica a passo di danza, la passione isterica e selvaggia del ballo popolare contagia e stordisce, la responsabilità individuale si stempera in quella collettiva; persino il tribunale di Fouquier-Tinville sembra adattarsi al passo di danza, tutti i parigini si tengono per mano e ballano in cerchio intorno alla capitale, un anello attraverso i ponti, alla luce sanguinaria delle torce, con la pancia vuota e il vino in corpo, mentre il rombo del cannone di nuovo si stringe in un fatale anello intorno alla Francia intera. La Repubblica romantica si riproduce nei meccanismi nevrotici della Rivoluzione, la Repubblica dell’intimità conficcata nella carne di Éleonoire Duplay.
Tratto da: Franco Ricciardiello, Termidoro, Odissea Fantascienza, Delos Digital 2016, ISBN 978-886530-911-7