Trombamici da cuccetta d’astronave

Sesso e amore nella science fiction

Finché la fantascienza venne considerata come una semplice estensione del mercato fumettistico per bambini, ovviamente essa si mantenne scrupolosamente lontana deal sesso, sia che si trattasse di riferimento espliciti, impliciti o in qualsiasi altro modo. […]
Gli scrittori di fantascienza […] hanno sempre dimostrato una specie di blocco psicologico verso le donne. Essi tendono a sublimarle, trasformandole in mostri o angeli. La cosa si nota chiaramente in un classico di Ray Bradbury, Cronache marziane (1951). Come si possono scordare le sue fragili ragazze marziane, fatte di seta, gioielli e luce di luna?

Keith Roberts, La fantascienza e la “Barriera del Sesso”, Enciclopedia della Fantascienza vol. V

1 — Niente sesso, siamo nerd

La science fiction è nata come letteratura per nerd. Hugo Gernsback, il fondatore delle prime riviste pulp, era un appassionato di elettrotecnica; è con questo spirito che pubblicò il suo romanzo Ralph 124C 41+ (1911), che oggi consideriamo giustamente illeggibile. Dello stesso spirito informò le pubblicazioni che dirigeva, e incoraggiò gli autori che attirava a sé: un “movimento non solo rozzo, ma investito dalla disapprovazione di quanti non ne facessero parte”.[1]

Questa letteratura si rivolgeva a un pubblico di fanatici della meccanica, e dunque della tecnologia più che della scienza: adolescenti di sesso maschile che la puritana morale americana teneva lontani dalle donne. Nella prima fantascienza, l’argomento standard in tema di sesso era quel “racconto di fate (ad esempio la space opera con il triangolo eroe-principessa-mostro in costume da astronauti” che Darko Suvin considera “un suicidio creativo”[2]: un finto romanticismo che manteneva rigorosamente separati i due sessi, e relegava le donne a una sfera di occupazioni tradizionali, all’irrazionale, ai sentimenti più che all’azione.

Per contrasto, questa letteratura da elettrotecnici non escludeva che le copertine di Amazing Stories (un po’ meno quelle dell’altra rivista gernsbackiana, Science Wonder Stories) riproponessero un’immagine stereotipata e fortemente sessualizzata della donna, di esplicito erotismo — formula che contaminerà anche le riviste concorrenti nate sull’onda di quel successo. Dunque, richiami sessuali in copertina, con damsels in distress o in mise imbarazzanti inadatte all’esplorazione spaziale, mentre i testi all’interno mantengono il riserbo più assoluto sul sesso: una forma di frustrazione bastone+carota che probabilmente attizza i lettori del tempo.

Il senso del meraviglioso non era affatto escluso, ma da solo non fu sufficiente a strappare la science fiction da una stagnazione protratta fino ai primi anni del secondo dopoguerra. C’è da stupirsi che in quella palude riuscissero a formarsi autori del calibro di Asimov, Dick, LeGuin, Sturgeon, etc. — ma loro riuscirono a raschiare via la paccottiglia pulp da quel nucleo di simboli che diventerà “la principale tradizione letteraria del Ventesimo secolo” (parole di J.G. Ballard).

[…] gli antichi paradigmi del viaggio meraviglioso, del saggio di divulgazione scientifica, e della sottoletteratura individualistica (racconto western e racconto sentimentale) possono interferire con la costituzione di un paradigma o modello autonomo della fantascienza, se non vengono abbandonati rapidamente. Purtroppo, gran parte di quello che si pubblica come fantascienza è ancor oggi in questo stadio prenatale, o, meglio, di regressione uterina: siamo ancora nel genere western o in qualche specie sottoletteraria affine, che scimmiotta le strutture esteriori della fantascienza, di solito per motivi venali e ideologici: razzi, pistole a raggio, mostri.

Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, p. 55/56

Non c’è da stupirsi dunque se durante questo lungo sonno, siano soprattutto autori non di genere a introdurre particolari di natura sessuale in opere scritte utilizzando temi tipici della sf: Evgenij Ivanovič Zamjátin (Noi, 1920), Aldous Huxley (Il mondo nuovo, 1932), Katharine Burdekin (La notte della svastica, 1937) e George Orwell (1984, 1948): i loro testi attingono all’immaginario di genere, ma sono assolutamente differenti sia dalle auti-utopie precedenti che dalla fantascienza coeva, ancora ipotecata dall’effetto Gernsback, che “[tiene] in vita la fantascienza anche a costo di farla deperire, di bloccarne la crescita, di deformarla”.[3]

È solo dopo la guerra mondiale che la nuova auto-consapevolezza delle donne, le quali hanno dovuto sostituire in una serie di mansioni gli uomini inviati al fronte, unita alla ritrovata democrazia che travolge le classi dirigenti dell’Occidente, produce una ventata di novità nell’arte. L’esistenzialismo, tramite la subcultura beat, influenza una nuova generazione di scrittori di sf americani — mentre il numero di scrittrici è ancora contenuto.

Costoro si rendono conto dell’enorme potenziale letterario della science fiction, del quale già si erano accorti gli autori “esterni” che abbiamo citato; comprendono la necessità di strapparla agli “antichi paradigmi del viaggi meraviglioso, del saggio di divulgazione scientifica, e della sottoletteratura individualistica (racconto western e racconto sentimentale)”, che potevano “interferire con la costituzione di un paradigma o modello autonomo della fantascienza, se non ven[iva]no abbandonati rapidamente”.[4]

È significativo che questa uscita dallo “stadio prenatale, o, meglio, di regressione uterina” della fantascienza, avvenga anche con l’introduzione di tematiche sessuali  — naturalmente, con scalpore e indignazione della parte conservatrice del pubblico e degli addetti ai lavori.

I temi LGBT sono invece praticamente ignorati fino agli anni Cinquanta, grosso modo fino alla pubblicazione del racconto Un mondo davvero perduto (1953) di Theodore Sturgeon. La trama: arriva sulla Terra un’astronave con due extraterrestri, malgrado la mancanza di contatto linguistico si capisce che sono una coppia molto unita. I mass media si impadroniscono della loro immagine come simbolo dell’affiatamento amoroso; però i due astronauti che li riconducono sul loro pianeta, a seguito di una richiesta ufficiale d’estradizione, scoprono che la colpa “mortale” di cui sono accusati in patria è l’omosessualità.

A prima ancora dell’irruzione sulla scena della New Wave britannica, che ben presto contagia anche gli USA, risale la pubblicazione di Memorie di una astronauta di Naomi Mitchison e Gli amanti di Philip Farmer, entrambi del 1961 (ma il secondo è l’ampliamento di una storia più breve del ’53). Nel primo, opera di un’autrice scozzese mainstream che compie qualche incursione nel fantastico, la protagonista vive in una società futura in cui è comune accoppiarsi liberamente con più partner, non solo umani, e oltre a concepire diversi figli vive anche esperienze di natura sessuale con alieni non antropomorfi.

Più famoso tra gli appassionati di sf è il romanzo di Farmer, che racconta del rapporto sentimentale-erotico tra uno scienziato terrestre, sfuggito al controllo sessuale oppressivo di una dittatura teocratica, e un’aliena dalle sembianze assolutamente umane; soltanto per una complicazione sanitaria si scopre che “lei” è in realtà un insetto alieno che ha l’aspetto esteriore di una giovane donna terrestre.

2 — La rivoluzione sessuale nella fantascienza

Dagli anni Cinquanta fino a metà del decennio successivo si susseguono pubblicazioni che sollevano scalpore — solo per quanto riguarda i tabù sessuali, perché in tema di maturità sentimentale si è ancora più indietro; è solo verso la fine degli anni Sessanta che si rompono gli argini, come già detto, per merito della New Wave. Significativo è un romanzo come Progamma finale (1968) del britannico Michail Moorcock, in cui si parla apertamente di incesto, omosessualità, travestitismo e altro. La controcultura giovanile si alimenta di liberazione sessuale e di trasgressioni, niente appare più “sacro” nel senso tradizionale: anzi, infrangere i tabù sessuali è una maniera simbolica per contestare lo statu quo; questo si riflette anche nella letteratura, e persino nell’inoffensiva, conservatrice science fiction, attraversata da un improvviso fervore di rinnovamento.

Negli anni Sessanta-Settanta si possono individuare tre tendenze.

La prima è naturalmente la prosecuzione di quella nerd delle origini: i lettori sono cresciuti, ma continuano a fingere di credere nella cicogna. L’argomento sesso nella sf si traduce in rapporti uomo-donna rispettosi di ruoli codificati dalla morale dominante, “malvagio (scienziato pazzo-alieno-comunista)/cavaliere/damsel in distress“, sempre in un rapporto esente da implicazioni sessuali: si fa persino fatica a raccontare una relazione carnale legittima, come il matrimonio.

La seconda tendenza è quella della cosiddetta social science fiction, che ha cominciato a svilupparsi già nel decennio precedente, grazie a autori e autrici consapevoli delle potenzialità del genere, e degli strumenti che offre per mettere a fuoco i problemi del presente. Introduce finalmente una rappresentazione realistica della relazione erotico-sentimentale, propria della letteratura mainstream, anche tra persone non appartenenti ai due sessi “canonici”, e riesce a parlare di sfruttamento e di discriminazione. Qualche esempio: Un biglietto per Tranai (1955) di Robert Sheckley; La mano sinistra del buio (1969) di Ursula Le Guin; Venere sulla conchiglia (1975) di P.J. Farmer). Compaiono anche relazioni sentimentali “mature”, sebbene in misura subordinata ai temi sessuali; p.es. Incognita uomo (1958) di Algis Budrys, o Storia di un amore d’argento (1981) di Tanith Lee.

La terza e ultima tendenza è apertamente iconoclasta: la fantascienza non ha esaurito la sua funzione dopo la conquista della Luna, ma può trasformarsi in un’avanguardia, un grimaldello per scardinare l’esiziale perbenismo borghese. Utilizza il sesso come un martello per infrangere il muro della vecchia fantascienza gernsbackiana, quella degli elettrotecnici che sognano l’iperspazio. È l’inner space di J.G. Ballard, la via fantascientifica all’inconscio freudiano; sono le complicazioni tecno-sessuali e lo scambio di generi di Angela Carter (Le infernali macchine del desiderio del dottor Hoffman,1971, e La passione della nuova Eva, 1977); è l’omosessualità come norma sessuale in Solution Three (1975) di Naomi Mitchison; è la sf femminista di autrici come Joanna Russ, che in Female Man (1975) racconta uno mondo utopico alternativo in cui il genere maschile è stato eliminato per autodifesa, e un altro in cui è in corso una quarantennale guerra tra i due sessi.

Il legame tra rinnovamento della science fiction e rappresentazione di temi erotico-sentimentali è strettissimo, perché l’(auto)censura fino agli anni Cinquanta riguarda tanto il sesso quanto la politica (con l’eccezione di antinazismo e anticomunismo durante la guerra e subito dopo): il sesso è dunque un indicatore affidabile della maturità della sf, del grado di emancipazione dal suo peccato originale. Tuttavia spezzare il giogo moralista intorno al collo della fantascienza non è così semplice. Consultando la lista dei vincitori dei premi Hugo e Nebula, notiamo che c’è un limitato ricambio di autori, con nomi nuovi come Harlan Ellison, Alice Sheldon, Samuel Delany; ma il periodo di rinnovamento non dura, la social science fiction scivola sulla pelle del fandom come pioggia su un impermeabile di gomma.

Tuttavia, autori e autrici che hanno formato la propria sensibilità in questi anni di trasformazione, danno vita al cyberpunk, la fantascienza postmoderna e post-individualista, che conosce però anche modalità collettive (anche se in forme inedite e irriconoscibili)[5]:

Il cosiddetto cyberpunk, con tutte le sue qualità e la sua energia, può essere interpretato storicamente come il tentativo disperato della sf di scatenare una controffensiva, un ultimo tentativo di riconquistare i lettori persi a causa delle asperità della scienza contemporanea: lettori sempre più ostili dal punto di vista ideologico al radicalismo della sf più sociale (ormai distante generazionalmente dalla cultura giovanile).

Fredric Jameson, Il desiderio chiamato utopia (2005), Feltrinelli 2007, p. 106

Per molti altri “innovatori” tuttavia, l’avanguardia è una strada che porta fuori dalla sf: Carter e Mitchison non sono mai state organiche al genere, né vi si legano definitivamente, Ballard di svincola dalla fantascienza negli anni Settanta, Russ smette di scrivere sf dieci anni più tardi.

3 — Avanti verso il passato

Contemporaneo al riflusso neoliberista che da USA e Gran Bretagna travolge, negli anni Ottanta, l’intero mondo capitalista, il cyberpunk non porta grandi novità dal punto di vista delle tematiche erotico-sentimentali. L’accento è sulla tecnologia, sul transumano, sul corpo — ma non in senso sessuale. Del 1990 è invece una bella raccolta antologica curata da Ellen Datlow, Sesso alieno, con firme sia maschili che femminili.

Il sesso alieno è un esperimento intellettuale, è il dono più sovversivo della fantascienza, sviluppato principalmente dalla fantascienza delle donne. Le donne si prendono il tema del corpo e chiedono conto dei corpi, del diritto a esistere e dei soprusi subiti. L’erotismo fantafemminista è un attacco all’uomo vitruviano: a quel corpo al centro di un mondo disegnato intorno a lui, che si crede perfetto e unico umano possibile, e che relega la donna a prima aliena, a umano femmina, a derivazione sessuata del soggetto re.

Giulia Abbate, Attacco all’uomo vitruviano, Linus, 2019

Negli anni che seguono fino a oggi, assistiamo a un’involuzione. Quella forza innovativa che aveva travolto e stravolto la fantascienza rifluisce come un’onda di marea. Leggiamo storie che riconducono il sesso a una punteggiatura narrativa, né più né meno che i dialoghi o i salti di capitolo; le figure femminili sono “personagge” che nella migliore delle ipotesi pensano, parlano e agiscono come uomini, nella peggiore si riducono a comparse desiderose di farsi scopare dai protagonisti, senza complicazioni sentimentali.

Nei domani della sf, l’amore è una reliquia del passato. I rapporti maschio-femmina (più in là dell’etero c’è solo qualche relazione lesbica, o bisex, in chiave pruriginosa) si potrebbero descrivere con la formula “trombamici da cuccetta d’astronave.”

Pochi sono gli autori e le autrici che considerano le relazioni sentimentali-sessuali come centrali in una storia di sf. Del 2021 è l’antologia Relazioni, curata da Sheila Williams e edita dal Massachusetts Institute of Technology; se non ripete il caso e la fortuna di Sesso alieno, è comunque un pregevole tentativo di esplorare i legami personali tra individui del futuro: “Le trasformazioni infrastrutturali dovute al cambiamento climatico, le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche metteranno a dura prova la resistenza dei nostri legami anche se, al tempo stesso, semplificheranno alcuni aspetti che possono rendere la vita complicata.”[6] Samuel Delany è il primo scrittore di sf a dichiarare apertamente la propria omosessualità, e forse non è un caso se è tra coloro che più spesso includono elementi sessuali nella trama.

In questo panorama non proprio confortante, due autori che più di chiunque hanno raccontato relazioni sessuali-affettive adulte e mature nelle loro storie di sf sono Connie Willis e Kim Stanley Robinson. La loro narrativa spesso viola apertamente il “primo comandamento” della science fiction, un modello narrativo massimalista riassumibile nella formula “il mondo del racconto deve essere cambiato dall’azione” (è questa la ragione per cui l’ambientazione risulta l’elemento più importante nella progettazione di un’opera di fantascienza).[7] Willis racconta storie “minimaliste” — non nel senso di “arte minimale” ma rispetto allo standard sf — come in Strani occhi (1995) e Il fattore invisibile (1995), in cui il tópos scientifico, arte del futuro e teoria del caos, convivono con il racconto di relazioni sentimentali. Robinson arricchisce spesso i suoi protagonisti con legami amorosi, anche a sfondo erotico; La costa del Pacifico (1990) è il romanzo in cui questi legami assumono maggiore importanza, con un plot basato su un conflitto ecologico-ideologico “doppiato” da una storia d’amore.

4 — La situazione in Italia?

In Italia la fantascienza arriva negli anni Cinquanta, dopo la lunga interdizione alla cultura anglosassone del Ventennio fascista. La “età d’oro” classica è già terminata, è in corso la tempesta della social science fiction; ma in Italia se ne impadroniscono riviste più attente al senso del meraviglioso, alla space opera e alle storie di alieni e mutanti che in altri paesi già sono considerate obsolete. Ci sono anche autori sensibili alle nuove tendenze, tra i quali il più famoso tra gli italiani, Lino Aldani, tradotto anche in molte lingue estere; ci sono alcuni tentativi della rivista Galassia CELT, concorrente di Urania, di arrivare a una via italiana alla fantascienza con nomi quali Gianni Montanari, Roberta Rambelli, Mauro Miglieruolo, che compiono qualche tentativo di introdurre temi sentimentali maturi. Negli anni Settanta-Ottanta si proseguirà sulla stessa via, senza riuscire a creare una vera e propria scuola nazionale. Tra i titoli più interessanti, per quanto riguarda il tema di questo intervento, è Gli universi di Moras (1990) di Antonio Catani, vincitore del primo Premio Urania.

Per quanto riguarda la rivista di casa Mondadori, non ha certo contribuito negli anni Cinquanta e Sessanta allo sviluppo di una fantascienza matura e al passo con le novità che fiorivano all’estero; sulle sue pagine l’età dell’oro ha imperversato per quasi vent’anni, formando il gusto di generazioni di lettori e contribuendo a classificare il genere come letteratura d’evasione. La social science fiction è arrivata con notevole ritardo, contribuendo a diffondere l’idea che “la fantascienza è morta” in lettori smarriti dalla scomparsa degli stereotipi classici. Tra l’altro, Urania pubblicò diversi ottimi romanzi e antologie del primo periodo creativo di J.G. Ballard, quando già l’autore era coinvolto nella scena dell’avanguardia britannica e chiamato in causa in processi per oltraggio al pudore.

La situazione della fantascienza in Italia oggi è, come si sa, quella di un genere letterario di nicchia, un mercato fortemente ridimensionato rispetto alla metà del secolo scorso. Se gli autori di altri generi, come il giallo di detection e per certi versi il romance, hanno conquistato presso il pubblico una dignità pari a quella dei colleghi esteri, nella fantascienza siamo ancora indietro, nonostante notevoli passi avanti che però ancora non sono sfociati nel riconoscimento di uno status letterario.

Ho avuto modo di sottolineare altrove come eros e thanatos siano il nucleo autentico dell’arte, della letteratura e dell’estetica: amore e morte muovono le storie che l’umanità si racconta fino dalla notte dei tempi; a parte notevoli eccezioni, la regola nella fantascienza invece è solo thanatos. Dobbiamo dunque recuperare l’eros, con un conflitto narrativo costruito intorno ai rapporti sentimentali, anziché unicamente sessuali, tra personaggi.

Franco Ricciardiello

Note

[1] Oreste del Buono, prefazione a Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, il Mulino, 1985

[2] Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, il Mulino, 1985, p. 38

[3] Darko Suvin, ibid., p. 55/56

[4] Darko Suvin, ibid., p. 55/56

[5] Fredric Jameson, Il desiderio chiamato utopia (2005), Feltrinelli 2007, p. 42

[6] Sheila Williams, Introduzione a Relazioni, edizioni BD, 2021

[7] Franco Ricciardiello, Utopia e conflitto: il carattere massimalista della science fiction, Solarpunk Italia

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