Io e Lei (3)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Diversi anni dopo la pubblicazione di quel “Io e lei” sulla fanzine Intercom, decisi di continuare il racconto sul mio rapporto con la scrittura. L’occasione fu la pubblicazione, da parte della casa editrice genovese Marco Cordero, di un’antologia personale di miei racconti.

Il presente post riproduce la prima parte di quel lungo intervento, e racconta il periodo fino al 1993.

continua dalla seconda parte


Io e lei, parte II

(da Compagno di viaggio. Dieci racconti di fantascienza di Franco Ricciardiello, Marco Cordero editore, Genova, Giugno 2015)

Nel 1989 Danilo Santoni propose a alcuni collaboratori fissi della sua fanzine Intercom di scrivere un testo intitolato Io e lei dedicato al rapporto personale con la fantascienza; se non ricordo male ne apparvero tre edizioni su numeri consecutivi, a firma del sottoscritto, di Roberto Sturm e di Santoni stesso; la presentazione di questa antologia è l’ideale continuazione di quell’intervento.

Rileggendo Io e lei mi rendo conto di quanto in quel momento fossi coinvolto nel fandom, il mondo degli appassionati che costituiva un circuito amatoriale separato. L’editoria infatti negli anni Settanta e fino a metà del decennio successivo aveva precluso agli autori italiani l’accesso alla grande distribuzione, sulla base di un pregiudizio in parte condivisibile: è vero che la cultura umanistica dello scrittore amatoriale produceva materiale acriticamente simile alla science-fiction di serie B d’oltre oceano, che costituiva il 90% dei titoli pubblicati, ma è altrettanto vero che in quella palude erano comunque cresciuti spontaneamente, senza aiuto né incoraggiamento, fiori d’autore che avrebbero meritato la stessa attenzione dei colleghi che pubblicavano letteratura poliziesca.

Nelle ultime righe di Io e lei dicevo di avere letto in totale 424 romanzi di fantascienza; a oggi [2015, NdA] non sono aumentati in misura proporzionale (sono 580), perché a partire dalla metà degli anni Novanta, con l’affievolirsi del cyberpunk, ho progressivamente ridotto il mio interesse nel genere science fiction. La causa non è soltanto il variare del mio gusto personale, e il fatto che cominciassi a leggere molta narrativa non di genere; anzi questo era un effetto dell’esplosione editoriale del deprecato fantasy, che non è un sottogenere del fantastico bensì quanto di più distante dall’immaginario tecnologico si possa concepire.

Ciò non significa che io abbia smesso di scrivere e pubblicare fantascienza, soprattutto perché la forma della narrativa d’anticipazione è impressa indelebilmente nella mia capacità di scrittura, e inoltre ricevo regolarmente richieste di partecipazione a iniziative editoriali mirate.

Nel 1990 era impensabile prevedere gli sviluppi futuri, che insieme all’editoria elettronica avrebbero sconvolto il fandom; anzi il cyberpunk, esploso negli USA nel decennio precedente, ingrossava in Italia un’onda di piena che avrebbe travolto completamente gli argini di genere, il “ghetto” della fantascienza: a differenza dei predecessori, i molti nuovi lettori non operavano una scelta consapevole, dal momento che non percepivano il cyberpunk come un genere letterario minore bensì come una categoria estetica d’avanguardia.

Gli anni Ottanta si chiusero quindi bene per me: nel solo anno 1990 fui pubblicato otto volte, con cinque racconti nuovi e tre ristampe; inoltre portai avanti collaborazioni già avviate (con la fanzine Follow my Dream di Ancona diretta da Roberto Sturm, che sarebbe diventato uno dei miei migliori amici) e ne iniziai di nuove: di queste, due soprattutto risultarono importanti negli anni a seguire.


La prima è la collaborazione con Mirko Tavosanis, giovane universitario che fece irruzione nel fandom come critico di una certa causticità; con lui e alcuni altri autori di provenienza accademica,  raccolti intorno alla fanzine Intercom nella nuova gestione di Danilo Santoni, la critica amatoriale di fantascienza si emancipò da un provincialismo di fondo e raggiunse il livello della stampa estera specializzata. Inoltre, Tavosanis[i] curava a Viareggio insieme a Fabio Gadducci[ii] una propria fanzine, Blade Runner, con ambizioni di qualità piuttosto alte; pubblicarono un mio racconto pieno di simboli psicanalitici e di lunghezza superiore alla media, Il fiume e il tempo, sul quale mi sembra di ricordare che non ci fosse unanimità perché era insolitamente fantastico rispetto al materiale hard prediletto dalla redazione. Tavosanis stesso mi fece presente che i miei temi scivolavano inesorabilmente dalla science fiction verso un genere più sfumato e meno tecnologico; ma ero ancora in tempo per intervenire e correggere la rotta.

La seconda collaborazione mi portò in corrispondenza epistolare diretta con Lino Aldani, il più famoso tra gli autori italiani di fantascienza, con un discreto portafoglio di pubblicazioni all’estero. Era anche il mio autore preferito: come ho ricordato all’inizio di Io e lei, è grazie alla lettura di Aldani se non ho mai nutrito pregiudizi verso gli scrittori italiani di fantascienza. L’avevo già incontrato di persona a casa sua in provincia di Pavia, dove mi ero recato a trovarlo insieme a Giampiero Prassi e Claudio Tinivella, cioè metà della redazione della fanzine TDS/The Dark Side. Mi pareva di avere lasciato una buona impressione su di lui; di sicuro aveva letto due miei racconti pubblicati negli anni precedenti, L’eterna estate sul fiordo e Tutti i miti dell’Ebro, perché è a proposito di questi che mi fece alcuni appunti costruttivi. L’anno precedente Aldani aveva avviato insieme a Ugo Malaguti una bella rivista professionale dedicata alla pubblicazione di fantascienza da tutta Europa, con l’intento di rivendicare una specificità e un’autonomia dalla science fiction d’oltre oceano; un mio racconto già accettato da Nova sf*, la prestigiosa rivista della casa editrice di Malaguti, fu “dirottato” verso la nuova rivista. Piacque molto a Aldani, che però mi pregò di cambiare il titolo che gli sembrava poco suggestivo; mi dilungai a spiegargli le ragioni affettive per cui avevo scelto quel titolo e lui accettò senza obiettare altro, per cui sul numero 5 di Futuro Europa uscì il mio romanzo breve Archeologia: un vero e proprio giallo in un’ambientazione chiusa, con la particolarità che il meccanismo del delitto e lo svelamento del colpevole erano strettamente legati al genere fantascienza, come i gialli della serie di Elijah Baley e R. Daneel Olivaw di Isaac Asimov per intendersi.


Quell’anno Danilo Santoni organizzò un’antologia tematica dal titolo Règia Italia per raccogliere racconti su un’Italia alternativa nella quale il referendum monarchia/repubblica del 2 giugno 1946 aveva avuto esito contrario; il mio pezzo si intitolava Storia di un commissario ma non era un giallo, perché il protagonista era il commissario politico di una formazione militare erede del CLN durante una guerra civile del Norditalia repubblicano contro il Sud monarchico. La raccolta di quattro racconti fu pubblicata sul numero doppio 109/110 di Intercom.

Nello stesso anno mi iscrissi ai corsi della nuova università che tornava a insediarsi nella mia città per “gemmazione” dai corsi della Statale di Torino; con il tempo sarebbe diventata Università del Piemonte Orientale. Senza cessare il mio rapporto di lavoro, io passai tra il 1990 e il 1995 dieci esami a Torino, facoltà di Lettere moderne, curriculum di Scienze storiche, con una media di voto piuttosto alta; credo che quegli studi abbiano cambiato profondamente il mio modo di scrivere, secondo alcuni in peggio.

Gli anni Novanta iniziarono con la nascita della mia seconda figlia, il 16 maggio del 1991; anche lei porta un nome tratto dalla letteratura, Beatrice; meno individuabile è invece quello della primogenita, Martina, da un personaggio della scrittrice svedese Astrid Lindgren: Madicken è un nome tradizionale rurale dello Småland, che non ha un corrispettivo italiano e perciò è stato tradotto con Martina, malgrado lo stesso nome esista anche in svedese.

Dopo diversi anni durante in quali la fanzine The Dark Side era divenuta un punto di riferimento del fandom italiano, il mio concittadino Gianpiero Prassi gettò la spugna; i problemi economici della piccola cooperativa Editoriale Ambra lo assorbirono completamente. Però c’era ancora la fanzine da portare avanti, con abbonati e materiale pronto da pubblicare. Me ne incaricai io in prima persona per un paio di anni, riducendo al massimo i costi (The Dark Side ritornò alla fotocopia); purtroppo subito prima del passaggio di consegne abortì anche un concorso letterario organizzato per attrarre nuovi abbonati, i partecipanti avevano già versato la quota d’iscrizione finita nei meandri dei costi della casa editrice. Impossibilitati a restituire le somme e a corrispondere il premio di cui al bando, trasformammo le quote in abbonamenti a The Dark Side, una soluzione da pirati, come purtroppo accadeva in quegli anni di anarchia editoriale.

A parte alcuni numeri monografici, dei quali uno dedicato alla fantascienza dall’Argentina (con racconti tradotti da Bruno Valle) e due contenenti romanzi di Mario Leoncini e Gloria Barberi, ognuna delle uscite di The Dark Side curata da me conteneva quattro racconti: per scelta, uno di questi doveva essere scritto da una donna, uno era tradotto dall’estero (quasi sempre dall’Europa o dal Sudamerica) e un altro era la ristampa di un classico della fantascienza italiana.

Naturalmente il brutto tiro giocato ai concorrenti strangolò la vita della rivista; non solo furono in pochi a rinnovare l’abbonamento, precipitando la diffusione della rivista ai livelli dei primi anni pionieristici, ma persino la fitta corrispondenza che Prassi intratteneva con i suoi lettori si affievolì a un rivolo.

Con il numero 36 cessai definitivamente le pubblicazioni, d’accordo con Giampiero Prassi, e entrai nella redazione di Intercom.

Nei Paesi Bassi, 1992

Danilo Santoni era stato il primo a parlare in Italia di quello che stava succedendo sull’Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine (IASFM), con il ritorno della fantascienza ai temi tecnologici hard delle sue origini, anteriormente alla New Wave inglese e della cosiddetta fantascienza “sociologica” degli anni Settanta: una rivoluzione che preludeva all’esplosione dei confini del genere, ma anche alla sua implosione e alla conseguente quasi scomparsa dagli scaffali delle librerie, dove il fantasy conquistava sempre più spazio. Daniele Brolli avrebbe in seguito pubblicato una versione italiana dell’IASFM con la sua casa editrice Telemaco, così potemmo leggere molti degli autori e dei racconti dei quali già Santoni aveva scritto.

Intercom uscì nel corso di tutti gli anni Novanta soprattutto con una serie di numeri doppi in  formato A4; oltre a pubblicare qualche mio racconto, io tenevo una rubrica intitolata La finestra sul cortile, prosecuzione dell’omonima inaugurata su The Dark Side prima della chiusura: un osservatorio sul “cortile” della fantascienza italiana. Recensivo le fanzine concorrenti, parlavo delle Italcon (i congressi italiani degli appassionati di fantascienza) e di altre attività editoriali, e a volte scrivevo qualche testo breve a metà tra la narrativa la saggistica.

Claudio Asciuti aveva pubblicato su Intercom n. 111/112 un testo intitolato FacCIA da Fan, un finto trattato medico che descriveva un’immaginaria sindrome che affliggeva i partecipanti ai congressi del fandom. Trovai la cosa talmente divertente che decisi di ricalcare il linguaggio clinico usato da James Ballard nel suo The Atrocity Exhibition, con descrizioni di test apocrifi ai quali sarebbero stati sottoposti gruppi di partecipanti al congresso, e l’esposizione dei risultati: in La mostra delle atrocità: Anal Report dal XVIII Italcon apparso su Intercom n. 126/127 (ottobre 1992) descrissi quindi con un linguaggio “clinico” situazioni sessuali esplicite al limite della perversione, nelle quali io mi limitai a inserire nomi di appassionati del fandom (scrittori dilettanti e curatori di fanzine), tra i quali tutti i miei amici nell’ambiente e persino il sottoscritto.

Santoni pubblicò il testo senza commento, né altri trovarono nulla da dire; perlomeno, finché uscì il successivo numero di Cosmo Informatore, il bollettino cartaceo gratuito dell’Editrice Nord, la cui rubrica Fandominformazioni era il punto di riferimento per appassionati e addetti ai lavori perché era letto praticamente da tutti; per anni la rubrica fu curata da Mauro Gaffo, che proveniva dall’esperienza della fanzine padovana The Time Machine, ma a inizio anni Novanta fu sostituito da Enrico Rulli, che non so da dove provenisse. Questo cambio della guardia fu una disgrazia per Intercom, dal momento che Rulli aveva una posizione ideologica precisa e contraria a quella della redazione. Da sempre si sono raccolti intorno a Intercom appassionati di fantascienza provenienti dall’area della sinistra, e questo ha caratterizzato la rivista durante tutte le fasi della propria vita: durante il primo periodo a Palermo sotto la redazione di Pippo Marcianò e Gian Filippo Pizzo; durante il secondo periodo a Genova con Bruno Valle e Domenico Gallo; infine a Terni con Santoni. Nelle sue recensioni dei singoli numeri di Intercom, Enrico Rulli non mancava di sottolineare l’ideologia dei redattori della rivista. Aveva anche stigmatizzato le mie scelte al momento di compilare un’antologia con il meglio della defunta The Dark Side, rimproverandomi di non avere inserito nulla di Bruno Garavini, un mediocre autore che era stato in corrispondenza con Prassi nei primi anni della fanzine.

Dopo l’Anal report la situazione precipitò. In un lungo intervento gonfio di livore su Fandominformazioni, Rulli commentò la rivista come se io avessi scritto non un testo di fiction bensì un attacco osceno contro i miei avversari all’interno del fandom, come se il contenuto fosse vero al pari nei nomi citati, trascurando volutamente il fatto che non contenesse una sola parolaccia (al contrario di quanto affermò esplicitamente Rulli) e che oltre a presunti “nemici” ideologici nominavo anche carissimi amici.

Questo intervento scomposto e scorretto alimentò una diatriba che si trascinò per mesi tra Rulli e Intercom, senza che io intervenissi personalmente: mi sembrava un’assurdità ai limiti del ridicolo commentare un pezzo di fiction come se fosse una recensione critica. Ricevetti la lettera di un sedicente avvocato di Pordenone il quale lamentò il mio attacco a sfondo sessuale contro Mariella Bernacchi. Era evidente che il redattore della lettera non avesse mai letto il mio pezzo, e che fosse probabilmente un fan attizzato dal colpo basso di Rulli.

Vi fu anche un altro seguito, che però si trasformò per me in buona sorte: quando contattai Alberto Henriet che dirigeva da Sarre in Valle d’Aosta la fanzine Diesel, lui mi domandò ragione della comparsa del suo nome nel famoso Anal report. Gli spiegai rapidamente la cosa e da quel momento iniziammo a collaborare insieme; in particolare, curammo a quattro mani altrettante antologie di racconti di vari autori che uscirono come Diesel Extra tra il 1993 e il 1995.

Contiene il mio racconto “Con gli occhi di Lavrentij”

Durante l’estate del ‘90 Vittorio Catani selezionò un mio racconto breve, Una bambola di stoffa rubata, per una serie di testi pubblicati sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno; il racconto conteneva una sorta di “inversione narrativa” che avrei usato ancora in futuro, nella quale una situazione sociale o politica tratta dalla cronaca viene raccontata, per così dire, a parti invertite: in un mondo parallelo un italiano povero emigra verso la sponda meridionale del Mediterraneo cercando di raggiungere l’Egitto, paese fortemente industrializzato, in cerca di ricchezza e lavoro, ma viene bloccato e rispedito in patria dalla sbrigativa polizia araba.

Dei primi anni Novanta è anche la mia collaborazione con la fanzine Baliset, la cui redazione si riuniva a Torre d’Isola in provincia di Pavia sotto la direzione di Cristiano Cascioli. Partecipai anch’io a alcuni incontri.

Nel 1993 pubblicai su Intercom un racconto intitolato La scala d’oro scritto cinque anni prima, ancora inedito a causa della lunghezza, decisamente superiore allo standard delle fanzine. Santoni lo trattò molto bene, inserendo nel testo dettagli del dipinto di Edward Burnett-Jones citato nel racconto. L’idea dell’ambientazione in Islanda mi venne invece da un’altra immagine, se non erro un’illustrazione tratta dalla decalogia di L. Ron Hubbard trovata su un calendario di Scientology distribuito all’Italcon: vi si vedeva una donna che beveva una coppa di champagne, di notte, immersa fino al collo in un’acqua termale coperta di vapore sottile.

3 – continua


Note

[i] Mirko Tavosanis oggi (2021) è professore associato di Linguistica italiana all’università di Pisa

[ii] Oggi (2021) Fabio Gadducci insegna Scienze informatiche all’università di Pisa ed è direttore del Museo degli strumenti per il calcolo.


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