Il trentunesimo giorno

Dopo l’affermazione definitiva, anche al di fuori del ristretto pubblico di appassionati di fantascienza, con il suggestivo ciclo di Mondo9 ambientato su un pianeta così arido da essere ricoperto da mari di sabbia, solcati da navi semi-senzienti in stile vagamente steampunk, Dario Tonani muove un passo ulteriore per uscire dalla gabbia dei generi letterari codificati. Poco conta che l’editore Mondadori per ragioni di marketing abbia coniato questa categoria, “eco-distopia” che accompagna la pubblicazione di “Il trentunesimo giorno”; ormai l’etichetta di distopia non si nega a nessuno, ho letto persino che qualcuno classifica come distopico Il signore delle mosche.

Il prossimo passo sarà, immagino, definire distopico l’Inferno della Divina Commedia.

A parte ciò, e conoscendo cosa Tonani pensa delle etichette applicate ai generi letterari, questo romanzo è di difficile classificazione — ammesso, ovvio, che una classificazione debba esserci. Non è di certo distopia, dal momento che il tessuto sociale non si dissolve per opera del disastro climatico che dà l’avvio alla trama: permane un’organizzazione statale, c’è un ritorno all’ordine sociale, ci si risolleva nelle nuove condizioni. Il prefisso “eco” è più giustificato, nel senso che i trenta giorni sottintesi nel titolo sono unperiodo in cui piove ininterrottamente e a dirotto in tutto il mondo, causando inondazioni disastrose e annegamenti; catastrofe climatica o artificiale? Naturale o metafisica? Da scoprire leggendo.

Come i lettori sanno, la narrativa di Dario Tonani fa perno sui personaggi; non è un caso se due precedenti romanzi del ciclo di Mondo9 hanno come titolo nomi propri, Naila e Mia. Anche in questo caso l’autore non si smentisce: abbiamo Evelyne, trapezista adolescente e erede di una dinastia circense, e Alvaro, un piccolo pregiudicato che non ha però la tara del male, e di fronte alle sfide della trama si comporta correttamente. Entrambi finiscono sradicati dal loro ambiente a causa del disastro alluvionale, e si appoggiano uno all’altra per trovare il loro posto nella nuova organizzazione sociale che cerca di uscire dall’emergenza.

Va sottolineato che Tonani ha deciso, giustamente di non scegliere i protagonisti tipici della narrativa apocalittica, o post-apocalittica, cioè scienziati geniali, politici onesti, militari abituati all’azione — nessuno di quegli eroi in grado di ribaltare la situazione con un’iniziativa individuale che si distacca dall’impotenza generale. Evelyne a Alvaro sono trascinati dagli eventi, non li dominano, e se alla fine riescono a ottenere ciò che vogliono, ciò avviene per il rotto della cuffia e perché incontrano la solidarietà di altri personaggi.

Qualche parola sulla trama, senza svelare troppo: al termine di un catastrofico, e scientificamente inspiegabile, mese di piogge alluvionali, l’emergenza non è più ambientale: con sconcerto, orrore e impotenza, si scopre che dopo la morte i corpi di qualsiasi animale, esseri umani compresi, levitano sollevandosi di centinaia di metri, come se fossero pieni d’aria. E lassù sopra le nostre teste, rimangono in balia del vento e degli agenti atmosferici, sottoposti al processo di degradazione organica.

È un’inversione della percezione nel nostro rapporto con gli estinti, che siamo abituati a seppellire sottoterra: qui invece vengono sottratti al cordoglio e scaraventati in cielo, dove se ne perde traccia; da qui scaturisce una serie di complicazioni, come l’impossibilità dei trasporti aerei a causa di banchi di corpi che potrebbero impattare nei motori, e una vera e propria caccia al cadavere con tanto di mongolfiere.

Sono convinto che non sia l’argomento a determinare il genere letterario di un testo, bensì precise scelte di scrittura, in primis lo stile. Dario Tonani da sempre dimostra un’attitudine alla costruzione di personaggi non convenzionali, anche marginali se vogliamo, e scenari degradati (pensiamo ai racconti pubblicati su Futuro Europa, la rivista di Aldani e Malaguti), dominati da un’entropia degli oggetti che è componente non secondaria del suo fascino; in Il trentunesimo giorno trasforma questa particolarità in una reificazione dei corpi che mi fa dire, se davvero di generi si deve parlare, che siamo nel weird più che nella distopia. New Italian Weird forse no; eco-weird?

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