Io e Lei (2)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Continuo a pubblicare il lungo racconto sul mio rapporto con la scrittura che riprende, nella sua pare iniziale, un intervento pubblicato sulla fanzine Intercom, dietro invito di Danilo Santoni, nel 1989: Io e lei, dedicato al rapporto personale con la fantascienza.

Il post stavolta riproduce la seconda metà di quel primo intervento, e racconta gli anni dal 1985 sino a fine decade, con le prime affermazioni nel campo della fantascienza, e i primi sostanziali riconoscimeni, quelli che ti incoraggiano a continuare.


Io e Lei: Franco Ricciardiello e la fantascienza (parte II)

(da Intercom n. 105/106, 1989)

continua dalla prima parte

Il Premio Letterario città di Montepulciano con il suo milione di lire di primo premio faceva gola a tutti. Era il gennaio 1986 e avevo bisogno di un racconto per partecipare. Ancora una volta lo scrissi in una settimana, influenzato dalle mie letture sulla guerra di Spagna, da un libro fotografico del Touring Club, dal trench blu aviazione di una ragazza che frequentava con me un corso di spagnolo e dal ricordo di una finlandese dai capelli color del lino conosciuta più a nord del Circolo polare artico. Il titolo del racconto, Tutti i miti dell’Ebro, può essere fuorviante perché la narrazione si svolge a Córdoba. E, coincidenza, proprio mentre mi trovavo in viaggio a Córdoba mi raggiunse la notizia (per bocca di mio fratello) che mi ero piazzato secondo, che Prassi aveva portato a casa per me un attestato con la firma di Moravia (che fa sempre impressione sui genitori) e una targa di velluto e alluminio con il mio cognome scritto correttamente. L’assegno di cinquecentomila lire ci permise di acquistare la nostra prima automobile.

Considero a tutt’oggi [1989, NdA] questo racconto come il mio migliore, soprattutto per i seguenti motivi: 1) perché, come ho già detto, lo scrissi di getto, quasi senza cambiare una parola; 2) perché volevo creare per me una Spagna che ritenevo di non poter visitare quell’anno; 3) perché è il più politico dei miei racconti; 4) perché rappresenta la sessualità nel modo che mi è più congeniale; 5) per quel trench blu aviazione e quei capelli di lino; 6) perché trovo che luoghi come la Porta del Perdono e il Patio degli Aranci abbiano suoni ben più fantastici che Minas Tirith o Cimmeria; 7) perché per la prima volta usai in modo sistematico il dizionario dei sinonimi; 8) perché sono riuscito (mi pare) a scrivere venti cartelle con una trama pressoché inesistente, con un tempo soggettivo frantumato fra il passato, il presente e il futuro che alla fine mi ha lasciato in mente solo una sensazione di stagnazione, d’immobilità e fatalismo che mi pare rappresentino emblematicamente la letteratura odierna di fronte al tramonto culturale dell’occidente.

Nel frattempo il romanzo La rocca dei Celti era stato accettato dagli amici della Cooperativa Ambra, cui io stesso mi unii, e previa modifica di un capitolo si diede il via alla pubblicazione. Il secondo romanzo da me scritto abortì, perché avevo affrontato un tema troppo ampio per le mie forze: l’influenza della filosofia politica ed economica di John Locke su una società mondiale in cui la proprietà statale è suddivisa tra i cittadini a mezzo di azioni[i].

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“Naila di Mondo9” e lo stato dell’arte nella fantascienza italiana

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di FRANCO RICCIARDIELLO

Il presente post ripropone il mio intervento dal titolo Naila di Mondo9, o la ruggine dell’entropia apparso su PULP libri

Ad anni di distanza dal successo della serie dell’inquisitore Eymerich (e ricordiamo che la casa editrice milanese fu colta assolutamente di sorpresa dall’inatteso risultato di vendite di Valerio Evangelisti nella collana da edicola Urania), Mondadori ha deciso di investire nuovamente in un’operazione sulla fantascienza italiana.

È noto che in Italia il genere fantascienza è da sempre considerato figlio di un dio minore: letteratura d’evasione nel migliore dei casi, altrimenti divertissement innocuo per nerd. L’atteggiamento di sufficienza degli addetti ai lavori e il pregiudizio del pubblico trovano per ironia riflesso in un comportamento autolesionista degli appassionati: la sindrome del ghetto, per cui i fan si considerano come gli illuminati profeti del genere letterario che più fa ricorso al sense of wonder, in un circolo vizioso che vede migliaia di aspiranti autori dilettanti venerare i grandi nomi della fantascienza anglosassone e snobbare, al tempo stesso, gli autori italiani. Si recrimina continuamente la mancanza di opportunità di pubblicazione in Italia, e poi si continuano a leggere autori stranieri.

Questo non significa che si debba nutrire una anacronistica preferenza autarchica per i pochi autori italiani che giungono alla grande distribuzione editoriale, ma almeno consideriamo con attenzione quello che succede nel cortile di casa .

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