L’infinito caos dei generi: Franco Ricciardiello fra giallo e fantascienza. Seconda parte

di CLAUDIO ASCIUTI

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Seconda parte della postfazione all’edizione eBook di Cosa Succederà Alla Ragazza.

 

3. Altri racconti: giallo tradizionale e fantascienza, cyberpunk, memorie e clonazione.

Abrar Khan, Malmö (Svezia), “I gemelli”

Nel decennio che separa  La rocca dei celti dalla vittoria al Premio Urania 1997, R. continuò la sua attività di scrittore di racconti, fra i quali vogliamo ricordare Archeologia[1], un vero e proprio giallo fantascientifico, Saluti dal lago di Mandelbrot[2], un racconto cyberpunk dalle atmosfere noir e Se io fossi Escherichia coli[3], sul tema della clonazione, approfondimento e divagazione a proposito dei concetti espressi nel romanzo. I primi due racconti sono particolarmente interessanti perché mostrano la duttilità della scrittura di R. e la capacità di piegare il linguaggio alle esigente del contenuto.

Sebbene R. non ami in modo particolare il giallo classico, Archeologia si manifesta come una riproposizione del modello del romanzo-enigma ambientato in un luogo circoscritto, alla Agatha Christie; il tradizionale delitto della “camera chiusa”, insomma. In questo caso la piccola “comunità” dove si svolge la storia è un gruppo di amici che giocano con la “commutazione”, un procedimento che trasla l’essenza di una persona nel corpo di una seconda, con un sistema casuale e a rotazione, sesso per sesso, e assoluto anonimato. Il protagonista Finn accetta di giocare con la moglie Franziska; nel suo gruppo di amici intimi, dove già Hannibal, il primo marito, dieci anni addietro era stato misteriosamente assassinato mentre si stava riprendendo dalla commutazione. Finn avverte da subito una strana atmosfera, e ha la sensazione di essere invischiato in un gioco più grande di lui; e infatti la commutazione ha un risultato particolare, Finn trasla nel corpo di una donna, Tersicore; e ci resta, fino a quando il suo corpo-Finn non muore quasi accidentalmente, e un altro corpo non afferma di essere lui l’essenza di Finn. Finn adesso è rimasto rinchiuso nel corpo di Tersicore, e Tersicore è morta. Alla fine si scopre l’assassino, ma a questo punto il sapere che si tratta di Tristram, dentro cui abita l’essenza del defunto Hannibal, non ha importanza; è importante invece la perfetta struttura classica da giallo classico, la complessa psicologia dei personaggi e dell’azione, e la curvatura della memoria (o sarebbe meglio dire: delle memorie) che aveva già una grande importanza ne La rocca del Celti, e che continuerà ad averne ancora in seguito.

Saluti dal lago di Mandelbrot è stato scritto in piena (e ritardata) esplosione del cyberpunk in Italia, e si sviluppa come una spy story nera che gira attorno al mistero di un codice apparso sulla geografia frattale di un’immagine digitalizzata. Il protagonista Matthei e la moglie Carmen (cui appartiene l’immagine, riferita all’avanzamento di una dermatite: un evidente omaggio a J.G. Ballard, altro nume tutelare del primo R.) si trovano ad essere braccati dalla polizia e aiutati dai giovani antagonisti dei centri sociali partenopei (con strizzata d’occhio attraverso la citazione di Radio Gladio) in una fuga dagli uomini del Ministero del Benessere. Suddiviso in “iterazioni” come La rocca dei celti era diviso in “rivelazioni”, sotto il profilo formale si pone a cavallo dei due sistemi narratologici, l’uno lineare e l’altro non lineare, ma mette in luce quello che sarà lo sviluppo futuro del discorso di R. cioè l’uso della geometria dei frattali e la teoria di Mandelbrot.

4. Hitler e l’Isola dei Morti: Ai margini del caos

Ahmed Toman, il Cairo Egitto), “La bella pianista”

Per anni la rivista mondadoriana Urania, punta di diamante nel mondo della fantascienza, aveva volutamente trascurato la narrativa italiana in base a si ignora quale “calcolo-vendite”, effettuato dalla famigerata coppia Fruttero & Lucentini, responsabili della rivista. Per uno scrittore italiano la fantascienza era un’inespugnabile cittadella, rinserrata nelle sua inossidabili mura e dentro cui l’unica possibile irruzione era con il viso delle armi. Gli Dèi vollero infine che la coppia in questione ci liberasse dalla sua fastidiosa e supponente presenza, e così con la gestione prima di Gianni Montanari, poi di Giuseppe Lippi e la supervisione di Alan. D. Altieri a spingere alla ricerca di nuovi nomi, gli italiani ebbero possibilità di accesso, grazie all’annuale concorso che nella nona edizione del 1998 laureò vincitore R. con Ai margini del caos[4]; una complessa storia che si discosta dalla media dei romanzi di italiani come qualità di scrittura e problemi sollevati, e che l’autore cercò di mettere in luce nell’intervista[5] posta alla fine del volume; problemi che hanno avuto un nuovo sviluppo con la pubblicazione in forma digitale del medesimo romanzo[6]. La storia è nella sua complessità (frattale, verrebbe voglia di dire, anziché lineare) molto semplice, e sposta la riflessione dell’autore su scienza, fantascienza e letteratura in una posizione piuttosto eccentrica rispetto a quel che era il genere, e a quel che è purtroppo divenuto ora nella sua involuzione, riportando gli autori a posizioni regressive.

Un incipit poderoso ci illustra nel Kunstmuseum di Basilea l’incontro fortuito fra la giovane Vittoria, detta Vic, e Nico (evidente doppelgänger dell’autore): la ragazza si sta sentendo male dinnanzi al celeberrimo quadro di Arnold Böcklin, L’isola dei morti. E Nico la soccorre. La storia si apre a questo punto in una detection leggibile a più livelli, che incastra le vite dei protagonisti che finiscono fatalmente con l’innamorarsi (L’Amore ai Margini del Caos era infatti il titolo originale del romanzo), e la ricerca continua delle varie “copie”, di mano bockliniana o di falso d’autore, le ampie documentazioni che intervengono per fornire nuove informazioni, e le transe in cui la ragazza piomba di volta in volta, che altro non sono che il riemergere, in senso junghiano, dell’inconscio collettivo, o meglio di una sua porzione; porzione che come spiega la “teoria del caos”, vero motore propulsivo della storia, è un ampio margine di fluttuazione della realtà. Come racconta R. nell’intervista, non esiste un narratore che spiega quel che avviene o riassume. L’uso della terza persona immersa e del presente storico, la struttura narrativa basata sulla teoria del caos fa sì che  il romanzo, diviso in cinque parti, terminanti ognuna con  la transe di Vic, ridefinisce ad ogni passaggio tutti i particolari di cui i protagonisti vengono a conoscenza. Quel che parrebbe insomma un romanzo mainstream o tutt’al più fantastico, si configura alla fine come romanzo di fantascienza in quanto la scienza che usa e commenta (la teoria del caos) è applicato non al contenuto, ma alla sua struttura.

Il problema è a questo punto cosa vede Vic nelle sue transe: è l’emersione di ricordi relativi alla Germania nazionalsocialista, in linea con la teoria junghiana: man mano sfociano i ricordi di Albert Speer, l’architetto del Reich, Hermann Fegelein, Gruppenführer delle SS che verrà fucilato, Eva Braun in procinto di diventare la signora Hitler, Rochus Misch, il telefonista del bunker[7], e Hans Linge, il cameriere personale del Führer, e diventano fatalmente un tormento senza fine per la ragazza, aggiungendosi al fatto di essere incinta, non del marito di cui si va separando e neppure di Nico, ma di un misterioso amante. La storia avanza rarefacendo sempre di più quelli che sono gli elementi di contorno, procede per ellissi che lasciano solo il nodo della vicenda (con un difficile equilibrio nelle due parti del romanzo: ad esempio sostituendo la band di musicisti di Nico con un gruppo composto da un amico italiano e la moglie, più una ragazza australiana) e si chiude al cimitero di Firenze, con Nico che ha compreso che l’unico modo per liberare Vic dalla sua ossessione è distruggere la tomba di Böcklin: l’ultima transe, quella appunto di Linge, ci svela, infine, che nella tomba il Führer ha fatto nascondere il quadro di Böcklin. Ma l’ossessione di Vic passa attraverso la sconcertante rivelazione che il mondo tradizionalmente accettato, quello in cui gli Alleati hanno vinto la guerra, possa non esser reale, sia solo demiurgica creazione di una divinità ingannatrice; tema gnostico che l’autore rilegge attraverso l’opera di Philip Kindred Dick, da molti considerato il più importante scrittore di fantascienza.

La versione a stampa differisce da quella posteriore elettronica, giacché quella elettronica ripristina la forma originale, editata dallo stesso autore al momento di partecipare al concorso. Vale a dire che sul modello della scrittura di José Saramago (uno degli autori preferiti da R..), ma anche di Cristopher Isherwood, il dissestarsi dei nessi sintattici e l’abolizione di ogni distinzione fra le varie funzioni linguistiche, fanno in modo che il pensato, il detto, l’agito e il veduto diventino una sorta di unico fascio informativo: flusso di un unico, continuo rumore di fondo, lo definisce R. In seguito il romanzo venne editato inserendo la divisione in capitoli, eliminando le originarie unità di informazione intervallate da asterischi. In questo modo nell’edizione a stampa venne aumentato il grado di leggibilità, ma si perse tutto il carattere sperimentale di questo straordinario romanzo.

5. Psicosi, nazionalsocialismo e dischi volanti: Radio Aliena Hasselblad

Aykut Aydoğdu, Ankara (Turchia)

Il lavoro successivo di R. sarà Radio Aliena Hasselblad[8], già dall’inizio evidente citazione del romanzo di Philip K. Dick Radio Libera Albemuth (1985), che conclude la bilogia imperniata sull’esperienza nazionalsocialista. Le parole dell’autore a proposito della genesi del testo raccontano[9] come in realtà sebbene ambientazioni, ricostruzioni del passato e documentazioni, compreso il punto di vista del protagonista, siano i medesimi di Ai margini del caos, non si tratti di un seguito ma di un lavoro a sé stante che sebbene meno “scientifico”, risulti paradossalmente più “fantascientifico”.

L’incipit ricorda il precedente lavoro, e tutta una serie di situazioni, di segni e di rimandi collegano il tessuto narrativo dei due romanzi, ma con uno spostamento intenzionali di significati che spiazza il lettore che avrebbe voluto trovare delle simmetrie: attimi primi del concerto del gruppo dei Radical Belt, la protagonista Roberta, una fotografa rock, soccorre il proprio compagno che si sta sentendo male nelle toilette della stadio. Durante il concerto alcuni eventi segnano il tempo: mentre si scatena un temporale, e alcuni avvistano un disco volante, un raggio di luce verde colpisce  la cantante del gruppo, Kimberley Miranda. L’escamotage del raggio verde ha il suo analogo nella realtà quotidiana e nella relativa mitologia del già citato Philip K. Dick, che affermò di esser stato colpito, nel 1974, da un raggio rosa che lo mise in contatto con un’intelligenza aliena di nome VALIS[10]. Di solito chi pronuncia affermazioni simili e si trasforma in “contattista” diventa oggetto di dileggio generale, ma la fama dello scrittore lo pose al riparo; anzi; diede il via a un vero e proprio culto di creduloni, fantascientisti e no. Folklore a parte, il tema della disgregazione ontologica che è alla base della poetica dickiana tornerà nel corso del romanzo.

Tornando al testo, scopriamo Kimberley nottetempo telefonare a Roberta per avere aiuto: smarrita, sofferente di amnesia, parla italiano senza rendersene conto ed è “posseduta” da un’altra personalità che si rivelerà quella di un generale sovietico, Alpers, deceduto negli anni Settanta e riportato in vita dagli alieni. Anche in questo caso la struttura è quella di una detection, che attraversa tutto il romanzo e coinvolge in primis Roberta e Kimberley, ma poi attira inspiegabilmente nella sua orbita il vecchio nonno polacco di Roberta, Cris, l’ex marito Falco, regista televisivo (contraltare del Nico del romanzo precedente), lo stesso Ermanno, in un crescendo di tensioni che sembrano non avere fine, stemperate solo dall’ironica apparizione di Alpers che si manifesta attraverso la macchina fotografica Hasselblad che Roberta porta sempre con sé. La struttura del romanzo, e quindi della detection è più semplice della precedente, si apre meno alla sperimentazione, ma si avvale di una maggiore e più vasta manodopera, i cui i due punti estremi sono il nonno (la figura più interessante e  completa di tutto il romanzo), e lo stesso generale Alpers, le cui ricognizioni  compaiono in forma di epifania all’interno del testo come carattere corsivo (seguendo la consuetudine di Ai margini del Caos). La narrazione si sposta da Torino a Berlino, si intreccia con la vicenda della morte di Adolf Hitler e della sua fidanzata e poi moglie Eva Braun, incrocia il defunto “clone” alieno, Leni Braun, negli ex territori della DDR, ed è proprio in questo quadro comunicativo che R. sembra giocare la medesima carta del romanzo precedente, ma finisce con il ribaltarla: Vic era ossessionata da un motivo vero, Roberta è afflitta da una sindrome di tipo schizofrenico e tutto quel che è accaduto, a partire dal raggio verde che ha “creduto” di vedere, è stato una sorta di gigantesco delirio ben strutturato: Kimberley, il marito Dundee, la “radio aliena Hasselblad” e la spettrale entità di Alpers. Sebbene i romanzi di R. si muovano attraverso diversi colpi di scena, questo, di cui (retrospettivamente) si intuisce la preparazione è piuttosto sconcertante e proprio per questo finisce con il definire il romanzo “meno” fantascientifico di quanto non sembri a prima vista, nonostante la caratterizzazione degli alieni introdotti per dare maggior spessore alla vicenda.[11]

Il romanzo, oggettivamente più di facile lettura de Ai margini del caos e meno complesso nelle sue diramazioni extratestuali, ebbe comunque successo ma in un certo qual modo rappresentò il punto di fuga da parte di R. dal mondo della fantascienza, e l’avvicinamento al mondo del giallo. Detta in altri termini: se il mondo della fantascienza non era in grado di apprezzare la complessità proprio allora che la fantascienza era divenuta adulta, e richiedeva oggetti letterari più semplici, peggio sarebbe stato nel futuro. Era il caso di cambiare direzione.

Ismail Inceoğlu, Varna (Bulgaria), “Il visitatore”

6. Nuovi delitti: La battaglia di Anghiari, Il mercato d’inverno e Autunno antimonio.

Con Battaglia d’Anghiari, vincitore del premio Gran Giallo Cattolica 2004[12] per i racconti, siamo ad una transizione che ci allontana dal mondo futuribile e ci riconduce al giallo storico, categoria che si stava sviluppando anche in Italia. Anche questa volta R. muove le carte sui limiti della sua poetica: chiave d’innesco ancora una volta è l’arte, colta nella sua realtà oggettuale, nella forma del celebre affresco che Leonardo Da Vinci preparò su commissione della città di Firenze per ricordare la vittoria conseguita nella battaglia di Anghiari contro i milanesi, e si cui sono andate perse le tracce, salvo qualche improvvisa e improbabile “scoperta”. Sennonché il ritrovamento del corpo di tal Agnolo Ventura nel laboratorio leonardesco, aizza il popolo e i potenti; e per peggiorare le cose la tecnica ad encausto che l’artista cerca di utilizzare non funziona. Ancora una volta la memoria consente un parziale svelamento; è la memoria di Lapo De Guidi che partecipò alla battaglia, il ricordo del fratello morto ritrovato sul campo; e dall’altra l’indagine che Leonardo intende per conto suo eseguire, e che lo porterà a risolvere il mistero: Agnolo Ventura, discendente di milanesi, ucciso per vendetta. La tecnica che R. utilizza è quella di lasciare che gli eventi accadano all’occhio del lettore e dei protagonisti, e di non indulgere mai a nessun espediente indagativo – se non il costante richiamo al “rasoio di Ockham” che individua la soluzione più semplice come quella giusta.

Il mercato d’inverno[13] R. aggiunge un altro tassello all’avvicinamento alla letteratura gialla, ma a rigore questo folgorante racconto appartiene al genere noir. Protagonista è Miriam, operaia della fabbrica Deimos de Valera, che si trova invischiata come possibile testimone nell’omicidio di Giacometti, rappresentante sindacale che ha firmato un contratto capestro per gli operai, ed è morto folgorato da un cavo, presumibilmente ucciso. A dirigere le indagini è il commissario Petri, ma la scena si affolla di altri personaggi, dal padrone della fabbrica, possibile padre naturale di Miriam, al ricordo di Irene, amica (e possibile sorella) di Miriam, morta suicida e incinta, amante di Giacometti. R. gioca d’anticipo con il lettore, violando diversi tabù della letteratura di genere, sopratutto dal punto di vista formale: utilizza la sua abituale scansione a blocchi che contiene qualche indicazione sugli eventi futuri, ma questa volta si tratta de I Ching, il celebre “Libro dei mutamenti” attestato nella letteratura cinese già dal II millennio a.e.v., e a cui Carl Gustav Jung scrisse una celebre nota introduttiva; utilizza la prima persona e il presente storico, ma in modo tale da nascondere le tracce del rovesciamento di prospettiva, ovvero la colpevolezza della stessa Miriam che ha ucciso Giacometti ritenendolo colpevole della morte dell’amica. La difficoltà in questo senso risiede nel fatto che il narratore in prima persona, consapevole degli eventi trascorsi, difficilmente riesce a non destare sospetti se non attraverso la sua stessa reticenza mediata dall’autore.

Un tema simile, che incrocia vendette, rapporti irrisolti fra familiari e soluzioni dinastiche, è quello che regge la struttura di Autunno antimonio, vincitore della IV edizione del premio Delitto d’autore[14], primo romanzo giallo in senso stretto, e scritto dopo un viaggio in Nepal nel  2004. R. apre con un veloce prologo a Ürümqi, capitale dello Xinjiang, negli anni Trenta:  il russo  “bianco” Steingoltz evita l’arresto da parte degli uomini dell’Armata Rossa, mentre Catherine, la moglie del console Nash, viene uccisa. Negli anni Cinquanta, a Dehli l’inglese John Symonds, l’italiano Dante Mattei, un ex-partigiano che ha rassegnato le dimissioni dalla polizia e vuol vivere scrivendo, e la giovane alpinista Lise Dassault detta Mitzi Liz si incontrano per entrare in Nepal, fra i primi occidentali a varcarne le frontiere; il loro arrivo a Katmandu si incrocia subito con un mistero, la morte inspiegabile di una  bambina durante una cerimonia. La dea Kumari infatti è incarnata in una bambina che appena entra in età pubere “esce” da questo stato di grazia e la comunità deve identificare la nuova incarnazione in un’altra bambina. Mattei viene, contro la sua volontà, spinto alle indagini, sebbene avesse giurato, in Italia, dopo aver ucciso un ladro armato di una pistola giocattolo, di non toccare più armi e di non fare più il poliziotto; anche perché la bambina è la nipote di Amar Shah, il ricco anfitrione da cui era giunto l’invito. Ben presto la scena comincia ad affollarsi di personaggi perlomeno sospetti, da Ilja Bežin, un fotografo russo, al capitano della polizia reale Maila Jay, all’ingegner Braun, un tedesco incaricato di lavorare alla strada per l’India, mentre una seconda bambina muore, e Mitzi Liz scopre che si tratta di avvelenamento da antimonio; l’aereo su cui viaggiano i tre protagonisti viene fatto poi oggetto di un sabotaggio, e i tre si salvano per miracolo.

Yaşar Vurdem, Kayseri (Turchia), “Ritratto di Astrid Berges Frisbey”

A questo punto R. introduce la variante della falsa soluzione, un meccanismo retorico tipico della narrativa gialla, che serve a depistare l’attenzione del lettore; grazie all’artifizio dell’antimonio, l’esecutrice degli omicidi non può che non essere una delle ex incarnazioni di Kumari, Sulochana; ma l’identità “russa” di Ilja Bežin e il fatto che egli abbia nascostamente sposato la stessa Sulochana, ora accusata di omicidio, lo trasforma, agli occhi di Mattei e del lettore, nel redivivo Steingoltz, imboccando un vicolo cieco, mentre Symonds, che si è scoperto essere in realtà il fratello minore della defunta Catherine Nash, viene ucciso. A rendere più complessa la vicenda a questo punto, Mattei scopre che  Mahendra, il principe erede diretto della famiglia reale, è l’amante di Prativa, nipote di Amar e madre di una delle due bambine uccise. La vicenda scivola così convulsamente nella direzione dello scioglimento del caso, con un finale che sebbene siglato dall’amore fra Mattei e Mitzi Liz, lascia l’amaro in bocca in quanto non tocca i potenti mandanti degli omicidi, ovvero la famiglia Rana, un ramo collaterale della famiglia reale, intenzionata a eliminare per motivi dinastici tutti i diretti (e indiretti) pretendenti al trono.

Autunno antimonio è molto diverso dai precedenti lavori di R. Il fatto che sia ambientato in un terreno esotico quale il Nepal lo riporta, sotto un certo punto di vista, a La rocca dei Celti con la sua ambientazione irlandese, distaccandolo dai panorami europei; e la struttura della detection risulta molto più “tradizionale”, simile a Battaglia d’Anghiari, al punto che se ne Ai margini del caos e parzialmente in Radio aliena Hasselblad era veicolata anche dalla struttura del romanzo con la sua serie di epifanie, qui sebbene la funzione dei protagonisti sia quella di conoscere e svelare la verità attraverso la ricerca, non manca sopratutto nella parte finale una divagazione quasi sherlockiana, nel senso che la messa in discussione scritta di domande e risposte, fra Mattei e  Mitzi Liz, se diventa un sostitutivo cartaceo delle documentazioni di cui sopra, ci riporta alla tradizionale indagine del giallo classico. La sfumatura noir che l’attraversa, infine, è debitrice a Battaglia d’Anghiari dove il colpevole non viene punito, seppur individuato.

2 – Continua

© Claudio Asciuti, 2013

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Note: 

[1] Idem, Archeologia, in Futuro Europa n. 5, Perseo, Bologna, 1990; ripubblicato da Kipple/Officina Libraria in formato digitale.

[2] Saluti dal lago di Mandelbrot, in AAVV, a cura di Franco Forte, Cyberpunk, Stampa Alternativa, Roma, 1995, con una nota di Antonio Caronia, Cyberpunk: istruzioni per l’uso.

[3] Idem, Se io fossi Escherichia coli, in AAVV, a cura di Piergiorgio Nicolazzini, L’uomo duplicato, Nord, Milano, 1997. L’antologia era dedicata per intero al tema della clonazione, allora molto in voga, e il nostro autore fu l’unico italiano invitato a partecipare.

[4] Idem,  Ai margini del caos, Mondadori, Milano, 1998. Ultimo romanzo della collana Urania ad esser distribuito anche in libreria, oltreché in edicola, ed esiste quindi in due numerazioni, al numero 31 e numero 1348 dell’otto novembre 1998. Sulle singolarità del Premio Urania, e sull’attiva partecipazione di R. vedi Claudio Asciuti, Autodiffamazione ovvero: come i marziani che han dodici mani atterrano, anziché  a Lucca, a Milano, e vincono il premio Urania, in Carmilla, n. 4 dell’ottobre 2001, RED, Modena.

[5] Idem, Ibidem, Intervista all’autore, redatta da Giuseppe Lippi e con il contributo di Valerio Evangelisti.

[6] Idem, Ai margini del caos, Edizioni di Karta, Cagliari, 2012.

[7] Per i paradossi della letteratura, e in ispecial modo fantastica, il Rochus Misch che R. cita è l’unico sopravvissuto fra i fedelissimi di Hitler. Nato nel 1917, orfano, si arruola inizialmente nella Leibstandarte Adolf Hitler, ovvero l’unità combattente che diverrà in seguito Waffen SS. Ferito e destinato ai servizi sedentari, diverrà una delle guardie del corpo di Hitler, e dal 40 al 45 sarà al suo fianco fino all’arrivo dei sovietici, quando verrà tradotto in carcere dove resterà fino al 1954. Vedi a questo proposito, del medesimo Rochus  Misch, Lultimo. Il memoriale inedito della guardia del corpo di Hitler (1940-1945), a cura di Nicolas Bourcier. (J’etais garde du corps d’Hitler 1940-1945, 2006)  trad. it. Castelvecchi, Roma, 2007.

[8] Franco Ricciardiello, Radio aliena Hasselblad, Urania n 1440, 2 giugno 2002, Mondadori, Milano.

[9] Idem, Ibidem, Intervista all’autore, redatta da Giuseppe Lippi.

[10] Su Philip Dick esiste oramai un vasto apparato di materiale critico non indenne dal vizio della beatificazione. Ricordiamo in lingua italiana due biografie, l’una di Lawrence Sutin,  Divine invasioni. La vita di Philip K. Dick (Divine Invasions: A Life of Philip K. Dick, 1989; trad. it. Fanucci, Roma, 2001), l’altra di Emmanuel Carrère, Philip K. Dick. Una biografia (Je suis vivant et vous êtes morts, 1993; trad. it. Theoria, Roma, 1996). La più completa e (morigerata) analisi italiana è opera di Antonio Caronia e Domenico Gallo, La Macchina della paranoia, Agenzia X, Milano, 2009. Per una lettura non agiografica vedi Claudio Asciuti, Una visione degli anni di piombo. Philip K. Dick, lo scrittore maledetto, in Rinascita n. 048 del 4/3/ 2012, anno XV, Roma.

[11] Sempre per i paradossi della letteratura, o se vogliamo per le molteplicità della teoria del caos (a cui aveva accennato R. nell’intervista in Ai margini del caos), analogo colpo di scena avviene nel bellissimo A Beautiful Mind (idem, 2001), diretto da Ron Howard e sceneggiato da Akiva Goldsman dal libro di Sylvia Nasar, che racconta la vita del matematico John Nash (magnificamente interpretato da Russell Crowe), premio Nobel per l’economia. Nash era effettivamente afflitto da una forma di schizofrenia (e come Philip Dick era convinto di essere in contatto con gli alieni). Nella pellicola di Howard un’improvvisa deviazione nel corso della storia ci fa comprendere che alcuni personaggi che ruotano attorno a Nash, il suo lavoro di decrittatore e la base segreta in cui opera sono in realtà forme allucinatorie. Per fugare ogni dubbio di appropriazione indebita, o di ampia citazione, ricordiamo che il film di Howard uscì in Italia il 22 febbraio del 2002; il romanzo di R. il 2 giugno del medesimo anno.

[12] Il racconto è stato pubblicato in appendice a James Bradberry, Il settimo sacramento, Giallo Mondadori numero 2670 dell’11  marzo 2005, Mondadori, Milano.

[13] AAVV,  Anonima Assassini – I delitti di Orme Gialle, Tagete, Pontedera, 2007. Prefazione di Douglas Preston, con un intervento di Carlo Lucarelli.

[14] Il premio Delitto d’autore, organizzato dall’ACSI (Associazione Centri Sportivi Italiani), premia il miglior romanzo inedito giallo. R ha vinto la IV edizione. Franco Ricciardiello, Autunno antimonio, ACSI Lucca, 2008.

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