Io e Lei (7)

Franco Ricciardiello e la Scrittura

Settima puntata del racconto sul mio rapporto con la scrittura. Racconta l’inizio del rapporto con Gian Filippo Pizzo e della pubblicazione del giallo “Cosa Succederà Alla Ragazza”.

continua dalla sesta parte


Io e lei, parte IV

Il quarto decennio della mia avventura nella scrittura è caratterizzato da tre elementi: un parziale riavvicinamento alla fantascienza dopo anni di diffidenza, due collaborazioni che considero fondamentali, con Gian Filippo Pizzo e Giulia Abbate, infine dal rapporto con il gruppo editoriale Odoya.

Il 2009 non finì bene per me; dopo una lunga malattia oncologica, mio padre ebbe un crollo improvviso e morì il 30 gennaio 2010, al termine di un mese di ricovero ospedaliero. A fine 2009 ero stato contattato da Gian Filippo Pizzo, che stava cercando racconti per compilare un’antologia di fantascienza politica; non c’è dubbio che uno dei primi nomi che gli potessero venire in mente fosse il mio.

Gian Filippo Pizzo, che ha dieci anni più di me, è tra gli addetti ai lavori di più vecchia data ancora attivi nell’ambiente. Fu tra i fondatori del Circolo Siciliano Fantascienza, e redattore nella seconda metà degli anni Settanta della fanzine Astralia. Per anni funzionario della biblioteca civica di Firenze, è autore di una serie di libri dedicati alla cultura popolare, soprattutto sul cinema di fantascienza; in seguito avrebbe scritto anche guide al cinema horror, e alla letteratura horror e di fantascienza.

con Gian Filippo Pizzo a Stranimondi 2016, Milano

L’antologia Ambigue utopie (il titolo fu scelto dopo un giro di opinioni degli autori), che portava il sottotitolo 19 racconti di fantaresistenza, curata insieme con Walter Catalano, fu pubblicata da Bietti, storica casa editrice milanese attiva dal 1870. Il riferimento nel titolo era sia al romanzo di Ursula LeGuin, I reietti dell’altro pianeta. Un’ambigua utopia, che al collettivo milanese di appassionati di fantascienza e militanti di sinistra che da quello prendeva nome. Dal momento che il mio interesse per la science fiction era ai limiti storici, non mi sentivo di scrivere un racconto per l’occasione. Gli inviai perciò due testi già apparsi su fanzine: L’uomo del dieci di agosto, pubblicato addirittura 23 anni prima, e Storia di un commissario, apparso nel 1990 sull’antologia ucronica Regia Italia di Intercom. Pizzo scelse il secondo. La veste grafica del libro era bellissima, con un copertina davvero suggestiva, molto più prestigiosa di qualsiasi altra iniziativa antologica cui avessi partecipato in precedenza.

Mi sono in seguito rincresciuto di non avere scritto un testo appositamente per l’antologia; il racconto Storia di un commissario era ancora abbastanza valido (l’avevo revisionato senza cambiarne la sostanza), ero però io a essere irrimediabilmente cambiato da allora.

Per questa ragione, quando Pizzo mi chiese di partecipare a una seconda antologia per lo stesso editore, Notturno Alieno, 22 racconti fantanoir, scrissi volentieri un racconto inedito. A dire la verità, quando gli sottoposi il soggetto riassunto in poche righe rimase perplesso, ma lo accettò quando gli inviai nella forma definitiva il racconto La via crudele. Il fatto è che l’idea non è proprio fantascientifica ortodossa: alla base c’è una ragazzina “prodigio” che suona il pianoforte, e sostiene di farlo sotto l’influenza di un anziano cinese in contatto medianico con Beethoven. L’azione si svolge a Pechino in un futuro imprecisato, durante una tempesta di sabbia proveniente dal vicino deserto; il medium scompare prima del concerto, e il giovane agente di un’assicurazione viene incaricato di ritrovarlo per non compromettere l’esibizione.

Era solo l’inizio di una collaborazione che sarebbe durata a lungo: ho partecipato con un racconto a tutte le antologie curate da Pizzo, tranne a due, di cui una riservata alle autrici, per un totale di diciassette pubblicazioni.

Si fece vivo Kremo (Luca Cremoni Baroncini) chiedendomi un testo da pubblicare in eBook con la sua casa editrice, Kipple. Avevo l’impressione che alcuni miei testi scritti in passato fossero “sprecati” se destinati a quell’unica pubblicazione, magari su una fanzine a scarsa diffusione. Gli inviai perciò Archeologia, il romanzo breve con una trama gialla che Lino Aldani aveva selezionato per Futuro Europa, anche questo oltre vent’anni prima. Il titolo è tutt’ora nel catalogo Kipple, malgrado le vendite siano state deludenti.


L’attività di antologista di Gian Filippo Pizzo è proseguita per oltre dieci anni, lungo una falsariga consolidata: a volte c’è già un editore, prima ancora di invitare gli autori a scrivere, altre volte invece viene reperito a posteriori (e questa non sempre è un’impresa facile). Considerata la cronica scarsità del mercato di fantascienza, non è prevista retribuzione; io ho sempre accettato la sfida di scrivere un nuovo racconto, che mi è servita come stimolo per impegnarmi nella scrittura, soprattutto perché di regola Pizzo richiede l’aderenza a un determinato argomento, e questo, nel mio caso, funziona come incentivo.

Non so dire se in mancanza di questo stimolo sarei ritornato a scrivere science fiction, considerato anche che non ho ricominciato a leggerla con sistematicità che alcuni anni dopo. Ammesso che questo sia un valore, devo darne merito a Pizzo.

Nel 2012 fui coinvolto in un nuovo, interessante progetto. Claudio Asciuti, storico fan genovese che aveva vinto il Premio Urania l’anno successivo a me, ex appartenente al collettivo Un’ambigua utopia e scrittore prolifico, era entrato in contatto con Marco Cordero, imprenditore appassionato di fantascienza, il quale aveva intenzione di avviare un nuovo progetto editoriale. Come prima pubblicazione, Asciuti chiamò una serie di autori per un’antologia di fantascienza alla quale un altro fan genovese, Stefano Roffo, a sua volta autore dilettante e curatore dell’impostazione grafica della collana, trovò un titolo accattivante: Sognavamo macchine volanti. Devo dire che il racconto che scrissi per l’occasione, Compagno di viaggio, è tra quelli di cui vado più orgoglioso. Ambientato in Unione Sovietica nel 1968, racconta i retroscena di un “primo contatto” con esseri provenienti da un altro pianeta, che non ha luogo negli Usa né a Lucca[1], bensì in Russia.

L’anno successivo ebbi l’occasione di riprendere in mano Ai margini del caos quando Alessio Pia, che curava una piccola casa editrice cagliaritana con l’antitetico nome di Edizioni di Karta, visto che pubblicava esclusivamente eBook, mi chiese di inaugurare una nuova collana dedicata al recupero di classici della fantascienza riprendendo il romanzo con cui avevo vinto il Premio Urania. Acconsentii, ma per l’occasione gli proposi di ripristinare la versione originale, cioè la stesura prima della revisione “commerciale” che mi ero autoimposto al fine di inviare il testo al concorso Mondadori.

Così l’eBook uscì senza suddivisione in capitoli e senza i segni grafici che per convenzione indicano i dialoghi, e con una prefazione in cui spiegavo l’operazione. Trovai riduttiva la nuova copertina, un uomo visto di spalla, seduto su una panchina sollevata da quello che sembra un turbine atmosferico: ma in confronto alla tavola che Maurizio Manzieri aveva preparato per Mondadori, qualunque altra si sarebbe rivelata insoddisfacente.

Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo compilarono una terza e ultima corposa antologia per l’editore Bietti: Sinistre presenze. 17 racconti horror impegnati. Naturalmente, s’intendeva politicamente impegnati. Non sono assolutamente un cultore dell’horror e non sarei riuscito a scrivere un racconto ortodosso. Scelsi quindi un personaggio tipico della letteratura classica, più che horror, il golem della tradizione praghese, e scrissi un racconto ambientato durante la dittatura militare in Argentina e la repressione politica: Escuela de Mecánica richiama nel titolo il politecnico della Marina militare di Buenos Aires, nel cui circolo ufficiali fu installato un centro segreto di detenzione e tortura degli oppositori politici. Si tratta di un racconto molto riuscito, e del quale vado orgoglioso.

Dopo anni in cui avevo tentato vie alternative alla scrittura, mi sembrava di essermi reintegrato nell’ambiente della fantascienza italiana, e questo pensiero non mi dava tranquillità. Me ne ero allontanato di mia volontà a causa della ristrettezza di vedute, della rissosità e della faziosità del fandom, più che per demeriti intrinseci del genere, e non avevo nessuna intenzione di tornare all’antico.

Sulla scia del successo d’iniziativa di Gian Filippo Pizzo, altri appassionati si misero a compilare antologie: Luca Ortino, che conosceva Pizzo, mi chiese un racconto per un’antologia di “fantascienza e filosofia” che curava insieme a Giuseppe Panella per l’editore milanese Della Vigna. Ne venne fuori un volume corposo, che conteneva un mio racconto dal titolo Agatheia, Alphaville, Atlantic Cité: era una riscrittura di un precedente testo chiestomi da Giampiero Prassi per celebrare il compleanno di Giorgio Sambonet, poeta vercellese. Se non ricordo male, Agatheia era un’isola immaginaria in cui Sambonet aveva individuato il luogo ideale di un’utopia poetica. Io scrissi una storia alla Il segno del comando, con pesanti riferimenti alla filmografia di Jean-Luc Godard del quale avevo appena letto la ponderosa biografia di Antoine de Baecque, acquistata alla libreria dell’editrice Actes Sud durante un viaggio a Arles, in Provenza.

Nel 2013 Claudio Asciuti mi chiese se avevo qualche romanzo inedito da sottoporgli in visione per Cordero Editore. Io avevo scritto cinque anni prima un romanzo giallo intitolato L’anno della morte di Lucio Battisti, ambientato a Torino, che raccontava la risoluzione di un caso di rapimento a lungo termine di minori. Per prepararmi mi ero documentato sul rapimento dell’austriaca Natascha Kampusch, e sulla scomparsa di altri minorenni, soprattutto femmine, trattenuti in cattività per lunghi periodi, per esempio le vittime del cosiddetto mostro di Marcinelle.

Ero ancora nella fase in cui cercavo un’alternativa al genere fantascienza, e pensavo di trovarla nel poliziesco. Mi ero informato sulle procedure d’indagine, constatando che troppo spesso in Italia i detective “istituzionali”della letteratura sono componenti delle forze dell’ordine, polizia di stato e carabinieri, e invece dovevo rilevare che il titolare delle indagini nel nostro ordinamento è un magistrato, il pubblico ministero, che si avvale per il suo operato di forze di polizia.

Creai quindi il mio personaggio, il sostituto Procuratore della Repubblica Erasmo Mancini, trasferito a Torino nel pieno dell’estate dopo aver lavorato a Roma alcuni anni. Siccome i suoi colleghi sono in ferie, il Procuratore lo prega di svolgere qualche indagine sulla morte in un incidente stradale di una ragazza sconosciuta. Erasmo scoprirà che si tratta di una ragazza scomparsa dieci anni prima a Ivrea, e che per una perversa coincidenza quello è stato il primo caso di cui si era occupato, fresco di nomina in magistratura. Questa potrebbe essere l’occasione per risolvere il caso, un rapimento di lungo termine, e anche per salvare da un destino simile un’altra minorenne scomparsa di recente.

Al contrario di altri più illustri colleghi letterari, il mio Erasmo Mancini non è un detective esuberante dall’intuito fulmineo, né un tenero dal cuore d’oro, e neppure una buona forchetta. Malgrado l’età relativamente giovane (36 anni nel 2008, quando si svolge la storia) si è fatto la fama di incorruttibile: dotato di solidi principi morali, intransigente sul lavoro, rigidamente vegetariano e rigorosamente astemio, per i suoi trasferimenti in città usa la bicicletta e con le donne mantiene un atteggiamento riservato — il che non gli evita di essere al centro dell’attenzione femminile, grazie non solo al suo aspetto ma anche alla fama tenebrosa e “difficile” che lo circonda.

Il romanzo fu accettato, Asciuti scrisse una monumentale e lusinghiera prefazione in cui analizzava anche tutta la mia opera precedente.


Il libro avrebbe dovuto uscire a dicembre 2013, per inaugurare la collana Crimen; all’ultimo momento l’editore, preoccupato per la violazione di diritti d’autore sul nome di Lucio Battisti in copertina, chiese di cambiare titolo, e neppure volle utilizzare un’immagine del cantautore scomparso quattordici anni prima. Mi decisi così per Cosa Succederà Alla Ragazza, che oltre a essere il titolo di un album di Battisti, aveva evidenti riferimenti alla trama del romanzo.

Anche la data di pubblicazione slittò di diversi mesi: era programmato per dicembre 2012, ma all’ultimo momento l’impaginatore si accorse che la risoluzione dell’immagine di copertina era insufficiente. Ero stato io a fornire una foto che avevo scattato di persona, e che tutti avevamo trovato molto adatta; si trattava di sostituirla con un’altra della stessa sessione, una serie di fotografie in cui usavo come modella la figlia di un’amica, che in seguito sarebbe diventata conosciuta come attrice di teatro e cantautrice con il nome di Uli.

Quando però il grafico riscontrò il problema, io mi trovavo in viaggio in Sri Lanka, impossibilitato a sostituire l’immagine. L’editore anticipò quindi la pubblicazione del titolo successivo, rimandando Cosa Succederà Alla Ragazza a un secondo tempo.

Nei mesi successivi accadde però che Asciuti e l’editore litigassero in malo modo, separando i loro destini. Il romanzo fu comunque pubblicato nel luglio 2014, senza la prefazione di Asciuti, ma ebbe una distribuzione quasi inesistente, e di conseguenza una ridotta diffusione. Vendette bene, forse anche molto bene, solo nelle librerie della mia città. Scriveva Asciuti in quel testo, che poi fu pubblicato come articolo autonomo con il titolo L’infinito caos dei generi letterari sul n. 16 della rivista IF, luglio 2014:

Cosa succederà alla ragazza è insomma una proposta singolarmente nuova per i lettori del giallo italiano, e affronta un tema, quello del rapimento a scopo sessuale, che i media tengono sempre sulla cresta dell’onda ma che i giallisti non affrontano. […] Mancini è un uomo di legge che invece deve tenere la distanza con quel che fa, e fuor di testo, è la distanza di scrittura che R. stabilisce con i suoi personaggi e le sue storie in una costruzione in cui il narratore sempre in terza persona sembra registrare e intervenire con la massima oggettività possibile. Non a caso i “blocchi narrativi” un po’ didattici che spiegavano l’Irlanda in La rocca dei Celti, e che ne I margini del caos e Radio aliena Hasselblad venivano assorbiti da transe e documenti, in Autunno antimonio ridotti al minimo, in questo caso tornano; ma il lettore quasi non se ne accorge, perché assumono la forma di documenti, di verbali, di profili e di memorandum che Mancini consulta. Questa distanza, fra il materiale (ogni tipo di materiale), la narrazione e i personaggi, fa sì che anche un tema che potrebbe risultare scabroso agli occhi del lettore finisca con l’assumere una neutralità scientifica.

Quasi contemporaneamente, partecipai a un’altra iniziativa di Gian Filippo Pizzo, che aveva cercato un nuovo editore per le sue antologie; Bietti aveva rinunciato dopo la terza antologia. Trovò sponda nell’editore Solfanelli, da tempo attivo nel fantastico italiano. La casa editrice Tabula Fati pubblicò a maggio 2014 la raccolta Terra promessa, sottotitolo 10 racconti di fanta-decrescita. Questo era l’argomento richiesto da Pizzo ai suoi autori: raccontare in ottica fantascientifica il concetto di decrescita, cioè la riduzione pilotata di produzione economica e consumi. Non era richiesto né un testo favorevole né contrario alla decrescita.

In quel periodo mieteva in Italia un consenso sempre maggiore il movimento politico Cinque Stelle, che aveva fatto di un’antipolitica generica e qualunquista la propria bandiera. Una delle istanze che portavano avanti, in uno zibaldone abbastanza vario di rivendicazioni anche di senso politico opposto, c’era anche il concetto di decrescita felice, di origine francese.

Io non sono pregiudizialmente avverso al principio di una riduzione progressiva dell’impatto antropico sul pianeta; ciò che mi disturbava era la disinvoltura con cui gli affiliati al movimento sfoggiavano questa e altre idee, come se fossero applicabili così semplicemente per decreto: un’idea molto rousseauviana, poco adattabile alla realtà ma molto efficace come propaganda.

Per questo scrissi un racconto nel quale un’applicazione demagogica della decrescita felice, limitata a un paio di province del Norditalia, trasforma un grande esperimento politico in un disastro umanitario.

Qualche anno dopo questa pubblicazione mi sarebbe valsa una nuova amicizia, nonché la comparsa in una tesi di laurea. A inizio 2017 fui infatti contattato da un’allieva del corso di Letture comparate dell’Università di Verona, Laura Garonzi: un docente aveva distribuito agli studenti alcuni racconti dell’antologia Terra promessa chiedendo una “tesina”. A lei era toccato il mio Com’è stano coltivare il mare.

Dopo una breve corrispondenza, mi avrebbe inviato il testo prodotto, di notevole lunghezza e grande efficacia:

Il racconto di Ricciardiello descrive la creazione di qualcosa di totalmente nuovo, «non uno Stato né un modo di vivere, ma un insieme di relazioni assolutamente inedito nella Storia»; per questa ragione, la datazione degli anni riportata nella vicenda pone come anno Zero quello a partire dal quale è stato dato il via all’esperimento. Il Giorno Zero corrisponde all’equinozio di primavera e l’esperimento termina il giorno del solstizio di inverno dell’ottavo anno. Il tempo durante questi otto anni viene scandito con il passare dei mesi, ma spesso ci sono anche dei riferimenti all’andamento delle diverse stagioni, elemento cardine su cui si sviluppa la vita agricola tipica della Zona. Non viene mai fornita al lettore una data esplicita, tuttavia nello svolgersi del racconto vengono citati degli strumenti tecnologici come il cellulare, il forum e la rete internet che diventano indizi dai quali è possibile fare delle ipotesi di legame tra il tempo della vicenda e il presente. […]
L’andamento temporale della vicenda è di norma lineare, con una coincidenza tra fabula e intreccio, vi sono poche eccezioni, concentrate nella sequenza finale in cui si può rintracciare un’anticipazione dell’esito negativo dell’esperimento della Zona Decrescita, che fa seguire un flashback che descrive la situazione dei giorni precedenti alla fine.

L’anno successivo, Laura Garonzi avrebbe inserito una critica dell’antologia Terra promessa anche nella sua tesi di laurea, intitolata “Fantaeconomia — la narrativa che immagina l’economia del futuro”, relatore prof. Matteo Rima.

L’indagine più disincantata e completa sulla teoria decrescita è offerta dal racconto “Com’è strano coltivare il mare” di Franco Ricciardiello. Quest’autore infatti non si limita a raccontare gli ideali di questa teoria, ma narra anche la loro messa in pratica, immaginando che in un futuro collocabile dopo gli anni Quaranta del nostro secolo si compia un esperimento di decrescita controllata in un contesto geografico ben preciso: un rettangolo di territorio italiano delimitato a nord dalle Alpi, a ovest dal fiume Sesia e ad est dal fiume Ticino, entrambi affluenti del Po, confine naturale a sud. Questo esperimento di autarchia prende il nome di Zona Decrescita e all’inizio del racconto si presenta come la realizzazione di un’utopia: un «dispositivo pressoché perfetto, [in cui] quasi tutto funziona grazie al volontarismo e migliaia di attivisti»

Del racconto in sé sono ancora piuttosto contento; in fondo, era forse l’unico dell’intera raccolta a affrontare l’argomento sulla base di una solida prospettiva economica, prima che politica: mi interessava confutare l’ottimismo sulla decrescita da un punto di vista economico, non letterario.

7 – continua

Franco Ricciardiello, 2015


Note

[1] Il riferimento è a un’infelice frase di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, quando erano curatori di Urania, la storica collana da edicola Mondadori: “Un disco volante non potrà mai atterrare a Lucca”, con il significato che gli autori italiani non erano in grado di competere con quelli tradotti dall’estero, e quindi rimanevano esclusi da urania. Questo “bando” perdurò fino a quando la curatela di Urania passò a Gianni Montanari.


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