DALLA TELA DI RAGNO ALL’INGRANDIMENTO: L’OBIETTIVO FOTOGRAFICO MODIFICA LA REALTÀ.
Durante un recente viaggio in Argentina ho letto per la prima volta in lingua originale Las babas del diablo, racconto di Julio Cortázar dal quale è tratto il soggetto di Blow up di Michelangelo Antonioni; e sempre per la prima volta, ma nella vita non si finisce mai d’imparare, mi sono procurato il DVD e ho finalmente visto il film. Antonioni gira Blow up nel 1966, mentre è del 1959 l’antologia Las armas secretas di Julio Cortázar che contiene Le bave del diavolo, come in spagnolo si può chiamare la ragnatela; della breve storia passano nel film l’idea di fondo, cioè la scoperta di un crimine grazie all’osservazione di un ingrandimento fotografico, e la metafora della relazione arte/realtà attraverso la mediazione del linguaggio.
Il terreno comune fra testo è film è facile da definire: un fotografo scopre a ingrandimenti successivi di immagini scattate per caso, qualcosa che non era stato capace di vedere con i propri occhi. Il racconto possiede un punto di vista complesso, talvolta in prima persona singolare e talvolta in terza, con un incipit che già introduce il relativismo del linguaggio:
Non si saprà mai come raccontarlo, se in prima persona o in seconda, usando la terza del plurale o inventando continuamente forme che non serviranno a niente. Se si potesse dire: io videro salire la luna, oppure: ci mi duole il fondo degli occhi, e soprattutto così: tu la donna bionda erano le nubi che continuavano a correre davanti ai miei tuoi suoi nostri vostri loro visi. Che diavolo.
Il linguaggio condiziona la rappresentazione della realtà; si scrive per condividere un’esperienza fuori dal comune, per stabilire una connessione tra verità e libertà, perché quando la letteratura svela il reale agisce sempre come forza liberatoria.
Le bave del diavolo. Roberto, cileno che vive a Parigi, esce per una passeggiata, portando con sé la macchina fotografica. Sull’Île Saint-Louis, al centro della Senna, è testimone involontario di una scena che si rivelerà un dramma: una donna bionda che parla con un ragazzo molto più giovane, dapprima gli sembrano madre e figlio, poi suppone un tentativo di seduzione:
la mujer rechazando con dulzura las manos que pretenderían desnudarla como en las novelas
(la donna che respinge dolcemente le mani che tentano di spogliarla come nei romanzi)
Roberto punta la fotocamera e scatta: la donna reclama, il ragazzino ne approfitta per allontanarsi come se si fosse rotto un incantesimo. La tragedia si rivelerà agli occhi di Roberto solo quando svilupperà la pellicola e ingrandirà lo scatto; osservata da vicino, è come se la fotografia prendesse vita per raccontare una storia diversa e più sordida: nell’auto parcheggiata accanto alla coppia c’è un uomo in attesa, il ragno che minaccia di intrappolare nella propria baba del diablo il ragazzino, che la bionda dovrebbe convincere a raggiungerlo.
Nel cuore di Blow up c’è una storia molto simile: un affermato fotografo nota in un parco pubblico una coppia intenta in schermaglie d’amore. Lei è molto più giovane. Si nasconde dietro un albero, scatta più volte finché la donna si accorge della sua presenza. Come nel racconto di Cortázar, lei pretende la consegna della pellicola, ma lui non acconsente. Più tardi la donna si presenta nel suo studio, insiste. Tra i due va in scena una schermaglia di seduzione, finiscono a letto. La donna crede di avere ottenuto la pellicola, in realtà ha in mano un rullino qualsiasi. Il fotografo stampa l’immagine, un dettaglio lo colpisce; successivi ingrandimenti rivelano il volto di un uomo con una pistola nascosto tra le foglie, e in un altro scatto il corpo riverso in terra dell’uomo che prima era in effusioni con la donna.
Il racconto e il film parlano entrambi della rappresentazione del mondo attraverso l’arte, o meglio di come sia impossibile riprodurre la realtà, e ne sia consentita solo una rappresentazione simbolica. È anche evidente il tema dell’autonomia del prodotto estetico dalla realtà; ad esempio, Roberto afferma di ricordare nitidamente la donna dell’Île Saint-Louis, ma non riesce a descriverla se non attraverso similitudini, come se il linguaggio fosse insufficiente.
Se dunque la fotografia è metafora dell’arte in entrambe le opere, gli avvenimenti del racconto e le scene del film sono una allegoria del rapporto arte/realtà. In particolare, è significativo il fatto che quando Roberto si mette a osservare l’ingrandimento dallo stesso punto della visione reale, le immagini comincino a muoversi raccontando una storia: l’opera conquista una propria autonomia, si libera dall’autore la cui vita rimane sospesa — e deve significare qualcosa quella frase di dubbia interpretazione nella prima pagina, «Uno di noi tutti deve scrivere, se tutto ciò deve essere raccontato. Meglio che lo faccia io che sono morto.»
La metafora arte/fotografia appare chiara in tutte le interpretazioni, ma ho trovato scarsi riferimenti al possibile rapporto tra l’idea che è alla base del racconto (e di conseguenza del film) e il principio di indeterminazione di Heisenberg, L’atto di osservare influenza l’oggetto osservato, che pure salta all’occhio, e del quale almeno Cortázar potrebbe essere stato consapevole: è il clic dell’otturatore che scuote il ragazzino dalla tela di ragno che ha cominciato a avvolgerlo, e gli permette di fuggire; e anche il protagonista di Blow up è convinto di avere evitato un delitto, finché non giunge alla realtà per ingrandimenti successivi. Carolina Ferrer dell’Universidad de Chile ha scritto un intervento illuminante sul rapporto tra Cortázar e la meccanica quantistica; simile a una particella scagliata contro un elettrone per rivelarne la posizione o la velocità, l’occhio del fotografo nell’atto di osservare la realtà, ne provoca il cambiamento: e forse è questa la metafora più efficace sul rapporto tra l’arte — la letteratura — e il mondo.
Julio Cortázar, Le bave del diavolo, in Tutti i racconti, Einaudi, 2014, ISBN 9788806220440
Blow up, di Michelangelo Antonioni, Golem Video 2015
Carolina Ferrer, Cortázar cuántico, Universidad de Chile