Metropoli di porcellana

LA CINA PROFONDA CHE EMERGE DALLE NEBBIE DEL PASSATO. La recente pubblicazione del mio racconto intitolato Città di porcellana nell’antologia delle Ed. Della Vigna dedicata aciqikou - yao xuzhang Fantascienza e Arte mi offre la possibilità di scrivere della metropoli in cui ho ambientato la narrazione, una delle città più popolose del mondo.

Chóngqìng è una realtà urbana cresciuta a dismisura dopo la seconda guerra mondiale. Durante la guerra è stata sede del governo nazionalista cinese, fuggito da Nanking caduta nelle mani degli invasori giapponesi. Il nucleo storico di Chongqing è una penisola che sorge alla confluenza tra i fiumi Chang Jiang e Jialing, anche se il centro abitato si è dilatato a dismisura in tutte le direzioni, come una macchia d’olio urbanizzata. Ecco un frammento della descrizione della città tratto dal racconto:

Centri commerciali fantastici punteggiavano la superficie ondulata delle colline, stretti tra foreste di palazzi. Incredibili anelli di tangenziale a sei corsie per ogni senso di marcia circondavano la sterminata conurbazione di fabbriche, centrali elettriche, quartieri d’abitazione, lunghi viali con file di gelsi antichi sotto i quali si riparavano bancarelle di cibo di strada. Tubi trasparenti della metropolitana aerea correvano dalla periferia al centro, dove si aggrovigliavano con le strade sopraelevate in nodi giganteschi.

Scrive Fabrizio Rampini in Il secolo cinese che Chongqing è la città più popolosa della Cina, con 32 milioni di residenti; in realtà questa cifra si riferisce all’intera municipalità metropolitana, una delle quattro che dipendono direttamente dal governo centrale (le altre tre sono Pechino, Shanghai e Tianjin). I residenti nella città metropolitana sono circa 18 milioni, cifra comunque enorme per gli standard europei; e la mega-città è ancora in continua espansione, il simbolo più evidente del clamoroso sviluppo del paese dopo la palude economica, politica e sociale in cui l’aveva precipitato la Rivoluzione culturale:

Volavo di nuovo nella notte sopra la sconfinata città che aveva il suo centro nella confluenza dei due vasti fiumi, una metropoli verticale in cui i vecchi palazzi venivano smantellati vano dopo vano, a colpi di martello, per riciclare i materiali da costruzione. Gli edifici scomparivano a partire dall’ultimo piano, come mangiati da una colonia di termiti, e nuovi condomini scintillanti prendevano il loro posto: a pianta esagonale, con vetri schermati di una sfumatura bronzea, i tetti talmente lucidi da scintillare sotto la luna.

La lettura del libro di Rampini aveva già stuzzicato la mia curiosità; al momento di programmare l’itinerario per un viaggio nella Cina centrale, noto che le crociere fluviali che attraversano le Tre Gole sul Chang Jiang imbarcano i passeggeri proprio qui a Chongqing. Affare fatto, la tappa è fissata.

Arriviamo in volo dallo Yunnan, “il paese a sud delle nuvole”, di notte. Il taxi percorre una rete di super-strade, in parte sopraelevate a causa dello spazio ristretto, che ci porta nella zona vecchia della città. Anche questo quartiere è descritto nel racconto:

Là dove la concentrazione degli edifici era massima, sulla penisola formata dalla confluenza dei due fiumi, le strade erano talmente strette che le merci dovevano essere trasportate a spalla. Eserciti di braccianti sfilavano sui moli per caricare balle sulla schiena o su carrelli di ferro verniciato, che poi trascinavano come formiche operaie su gradini tagliati nella roccia, sotto i panni stesi alle finestre, lungo muri di pietra grigia aggrediti dal muschio, fino a decine di migliaia di negozi, semplici stanze aperte sui marciapiedi con tabelle merceologiche demenziali: lattoneria e cellulari nello stesso esercizio, ravioli al vapore e mollette per bucato, schede telefoniche prepagate e bastoncini d’incenso, ombrelli e legumi secchi.

Trascorriamo due notti a Chongqing. La spianata che si affaccia sulla confluenza e sulle navi da crociera in attesa di imbarcare passeggeri, è il punto ideale per gli appassionati di aquiloni, perché qui si incrociano i venti di tutta la regione. In attesa del giorno d’imbarco sulla nave da crociera, decidiamo di visitare la città vecchia di Cíqìkǒu, poco più a monte lungo il fiume. Si prende una delle linee metropolitane fino a un grosso centro shopping: edifici smaglianti, supermercati, centri commerciali, una croce di strade affollata di gente che trascina grosse borse piene di acquisti. Appena fuori dall’area pedonale attendono i taxi, una breve corsa e ci lasciano sotto un arco di legno e stucco, laccato di rosso. È l’accesso alle strette vie della piccola città vecchia, Ciqikou, il porto di porcellana, aggrappata alla riva in prossimità di un vecchio molo fluviale:

Dall’altra parte iniziava un altro mondo: una città di case di legno e mattoni grigi, cortili dove sopravvivevano alberi da frutta, scalinate che scendevano sulla riva sabbiosa del fiume, lenzuola stese sull’erba.

Una nutrita folla di turisti, per l’immensa maggioranza cinesi, fluisce per le vie di pietra grigia come una vasta colonia di insetti. Ci uniamo a loro. I negozi di oggettistica fanno affari, noi acquistiamo due tazze da tè in ceramica viola. Incappiamo quasi per caso nell’atelier di un artista, le sue opere sono esposte in una saletta dalle pareti intonacate di bianco. Ci lasciamo conquistare. Il soggetto è sempre uno scorcio di paesaggio urbano integrato nell’ambiente naturale: vecchie case in legno sospese su palafitte, come ancora se ne vedono in angoli di Chongqing; ripide scale di pietra che si arrampicano in tracciati irregolari sotto antichi alberi in primo piano, tronchi contorti che hanno vissuto secoli. I contorni si perdono nella nebbia che sale dall’acqua, cime di montagne incombono sullo sfondo, i tetti irregolari sono sempre in primo piano, sulle tegole si allargano quelli che sembrano funghi messi a essiccare. La figura umana è sempre minuscola, irrilevante: venditori di mercanzia accasciati sui gradini, portatori d’acqua piegati sotto il bilanciere, bambini avvolti nei vestiti invernali, barcaioli in equilibrio sui remi.

L’autore è presente sul posto, si chiama Yáo Xùzhāng. Acquistiamo un piccolo portfolio formato cartolina e un catalogo di opere in cinese e inglese; al ritorno dal viaggio inquadreremo tre stampe in piccole cornici di finta lacca rossa. Ciqikou è una piccola oasi fuori dal tempo al centro di una metropoli in costante espansione, che attrae immigrati dalle aree agricole delle province limitrofe; e l’atelier di  Yao Xuzhang è un’oasi nell’oasi. Ci si può smarrire nella volontaria sospensione dell’incredulità di questa Cina profonda che emerge dai fiumi e dalle nebbie di un passato recente, profondamente debitore alla tradizione pittorica del passato.

Se volete fare una ricerca in rete per vedere una selezione dei fantastici paesaggi urbani di Yao Xuzhang, vi conviene inserire nel motore di ricerca il suo nome in cinese semplificato:   姚叙章

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