Il «ciclo del bunker» di Franco Ricciardiello: la natura massimalista dell’operazione paraletteraria

di CLAUDIA GAUDENZI

Il presente post è un estratto dalle conclusioni della tesi di laurea nel 2007 di Claudia Gaudenzi all’Università di Bologna: “Un percorso nella fantascienza italiana: la manipolazione del tempo”

Così come Masali è uno scrittore versatile nel giostrare i modelli narrativi, Franco Ricciardiello lo è nella differenziazione e caratterizzazione degli scenari storici. Il primo romanzo, Ai margini del caos, narra il sodalizio fra Leonida Cassino, detto Nico, documentarista e creativo torinese, e Victoria, “Vic”, una giovane donna sua concittadina, fin dal loro primo incontro alla pinacoteca di Basilea, durante il quale Nico soccorre Vic che si è sentita male dopo un’esperienza di immersione psichica entro la coscienza di un membro dell’entourage di Hitler durante i suoi ultimi giorni di vita asserragliato nelle profondità del bunker costruito sotto la Cancelleria a Berlino: il fenomeno è stato provocato dalla visione di un quadro di Arnold Böcklin, “L’isola dei morti”, che in seguito si scoprirà essere stato appeso nell’ufficio del dittatore. Vic continua poi ad avere questa esperienza di fronte ad altre versioni leggermente differenti dello stesso quadro: il romanzo è il racconto di un percorso filologico, quello della ricerca dei Böcklin esistenti, di un percorso esistenziale, quello delle vite passate rivissute in soggettiva da Vic, ed infine di un percorso epistemologico, cioè l’elaborazione di una concezione di un reale ambiguo e relativo contemporaneamente antico e moderno poiché legato a una bizzarra dottrina gnostica e a una teoria scientifica molto attuale: la matematica del Caos, che studia il passaggio tra ordine e caos nei sistemi chimici o fisici, in questo caso storici. Un momento ai “margini del caos”, da cui trae il titolo il romanzo, è quello della repubblica di Weimar sull’orlo dell’affermazione del nazismo, o meglio dell’identificazione psichica del popolo tedesco con il leader nazionalsocialista grazie alle sue capacità ipnotiche, quasi medianiche, di fascinazione; ai “margini del caos” è anche la mente di Vic, nel momento delle sue trance, in cui passa dallo stato conscio a un altro stato probabilmente ancora più fluido dell’inconscio poiché oltre allo spazio è in grado di valicare anche il tempo.

Oltre alla matematica del Caos interviene anche la dottrina gnostica che ritiene la realtà fenomenica percepita come una imitazione creata da Satana, la “Scimmia di Dio”, e sovrapposta a quella reale, che potrebbe essersi fermata poco dopo la resurrezione di Cristo, oppure dopo la vittoria dell’Asse e non degli Alleati. Ciò che continua a mantenere salda la realtà illusoria è la crisi definitiva, la fine della percezione lineare, visiva del mondo, sostituita da una percezione multimediale plurisensoriale non più limitata alle categorie spazio-temporali euclidee.

L’inizio di questa rivoluzione paradigmatica lo si rintraccia in Göbbels, ministro della propaganda di Hitler, che, avvalendosi per la prima volta in senso totalizzante dei nuovi mezzi di comunicazione di massa come la radio, ha aperto la prima breccia tra il corso lineare e sequenziale degli avvenimenti storici e le nuove forme di approccio conoscitivo alla realtà, provocando l’inizio dell’ontologica schizofrenia dell’uomo contemporaneo, diviso tra gli stimoli sensoriali dell’universo relativistico e i dati fenomenici di quello euclideo. Il rapporto tra una realtà apparente dominata dal Bene, ed una “Altra” dominata dal suo principio antagonista, potrebbe autorizzarne l’accostamento alle realtà differenziate della teoria degli universi paralleli.

Xu Jinglin (Tianjin, Cina) “La fine del mondo”

Radio Aliena Hasselblad riguarda una frode medico-legale perpetrata dalla Gestapo nel 1945 per far sfuggire Eva Braun alla morte, cremando al suo posto il corpo di una sosia. Il plot è il racconto del viaggio della protagonista Roberta, fotografa di professione, fino a Berlino per cercare la verità, accompagnata dall’“anima” di un generale russo presente all’esumazione dei cadaveri cremati di Hitler, Eva Braun e della famiglia Göbbels al momento dell’arrivo dell’esercito sovientico a Berlino nel 1945, insinuatosi nella sua macchina fotografica Hasselblad, trasformata grazie a una tecnologia aliena in una specie di rice-trasmittente (da cui il titolo del romanzo) e dal vecchio nonno Cris, un polacco scampato ai campi di concentramento.

Se Ai margini del caos era la narrazione di una ricerca filologica, Radio aliena Hasselblad potrebbe essere quella di una ricerca anatomica: il destino dei cadaveri esumati nel cortile della Cancelleria. Il vero trait d’union è la storia della Germania agli sgoccioli della guerra, del suo regime totalitario e dello strascico di sofferenza e distruzione che ha lasciato.

Nel secondo romanzo l’autore assume per lo stesso avvenimento il punto di vista spaziale e mentale antagonista a quello del primo: dall’ambiente claustrofobico del sotterraneo a quello aperto e devastato della città, dai pensieri cupi ed apocalittici dei nazisti braccati e morenti a quelli trionfanti e vendicativi dei russi che li braccano.

In Ai margini del caos il fenomeno dell’implosione del tempo viene reso attraverso la costruzione della teoria gnostica, in Radio Aliena invece l’autore ne enfatizza l’aspetto “virtuale”, sviluppando il principio della Realtà come Rappresentazione con la menzione alla “guerra mediatica di Göbbels”: un’epistemologia basata sul disvelamento di una realtà fluida ed implosa, in cui la dimensione temporale è avviluppata con quella spaziale, e in cui vi è una sorta di debole diaframma tra l’una e l’altra delle potenziali, infinite variazioni del reale e tutte sono connesse da un principio metafisico per cui Realtà è Rappresentazione, cioè Informazione, e viceversa.

Chiude il libro la rievocazione dell’atroce mattanza degli ebrei di Konin, a cui il nonno era stato costretto ad assistere: l’uomo alla fine riesce a tornare sui luoghi della strage ed a riconciliarsi con ciò che vi è accaduto. È lui il portatore del sapere, della testimonianza autentica della Storia, e quindi è anche il portatore del monito affidato all’opera: mostrare la follia della guerra.

Per questo la finzione può assumere il ruolo di rivelare e trasformare il passato, aprendo una serie di possibilità anche sul piano etico: in quella forma di rievocazione che mostra il tempo cosmico nel suo aspetto monumentale, attraverso cioè le sue “figure di autorità”, la storia dei vinti, sopraffatta dalla commemorazione della storia dei vincitori, non può riemergere in tutta la sua carica umanizzata ed umanizzante; lo può invece attraverso quell’altra forma di rappresentazione del tempo che è la finzione.

Ina Wong (Surakarta, Indonesia) “Spirale”

Il “tempo” può dunque trasformarsi in una storia alternativa, come nel ciclo di racconti ambientato nella Belle Époque di Luca Masali, oppure può assumere la forma più aperta e complessa della Storia di Franco Ricciardiello, può divenire teatro di operazioni “burocratiche” come nei romanzi di Lanfranco Fabriani ed infine essere modulato secondo le invenzioni di altri scrittori: ciò che conta è il potenziale narrativo insito nel tema, stimolante proprio perché in effetti l’universo della fantascienza è in toto l’universo del potrebbe, proiettato nel futuro o nel passato. È l’immaginario che fa riemergere la categoria dell’Altro nel passato.

Riflettendo proprio su quest’ultimo aspetto durante l’analisi dei testi, ho ravvisato un dato a mio avviso significativo: la natura massimalista dell’operazione paraletteraria, ed in particolare della fantascienza.

Lo scrittore Valerio Evangelisti, autore di una fortunata serie di romanzi incentrata sulla figura dell’inquisitore Eymerich in perenne battaglia contro l’eresia e le sue manifestazioni magico-fantastiche nel medioevo proiettate anche in altri piani temporali, si è posto il problema della funzione sociologica della paraletteratura, affiancando alla sua produzione narrativa un discorso di tipo culturale sulle potenzialità della fantascienza di creare la mitologia contemporanea.

Egli stesso ha elaborato alcune considerazioni nella raccolta di saggi Alla periferia di Alphaville,[1] ove muove dalla convinzione che la fantascienza, con la sua natura di sogno lucido, da cui si entra e si esce a volontà «costituisca un buon addestramento a evadere dai sogni imposti ed eterodiretti»[2] della società odierna: il fantastico ha una carica ‘antagonista’, in grado di provvedere il lettore degli anticorpi migliori per affrontare un’epoca in cui l’immaginario è terreno di conquista del mercato, condizionato dalle sue logiche interne.

La fantascienza si occupa, per vocazione, dei massimi sistemi: grazie alla sua natura metaforica è in grado di descrivere i fenomeni in nuce nel proprio tempo, il nostro:

Lo scrittore di genere […] Sa che il suo primo interlocutore è il pubblico, e non la critica letteraria. […] Ne deriva che la collocazione temporale dello scrittore di genere è sempre e comunque il presente. Anche quando parla del passato, anche quando parla del futuro. Anche quando tratta temi che sembrano avere poca attinenza con la quotidianità. […] Se però vede nella realtà che descrive delle contraddizioni, le amplifica, perché spera che il lettore sia catturato dalla assonanza problematica. […] Nella letteratura popolare[…] c’è qualcosa di sovversivo, di refrattario, di irriducibile al potere. L’interlocutore, innanzi tutto. Ci si rivolge al lettore occasionale promettendogli di farlo sognare, di coinvolgerlo in avventure che non potranno lasciarlo indifferente. Mica male, in un’epoca in cui la materia onirica e fantastica viene scoperta dal sistema quale terreno da dissodare con attenzione, perché lo stesso sogno, divenuto comune a tutti, abbia riflessi direttamente economici e produttivi.[3]

In che modo agisce la carica antagonista della paraletteratura? Con il potenziamento, la “fortificazione” dell’immaginazione individuale, sottraendola agli effetti omologanti ed appiattenti perpetuati dai poteri forti che dominano la società mass-mediatica, e attraverso la rappresentazione della società e dei suoi fermenti,  riconoscibili pur se sotto la lente della deformazione metaforica.

Evangelisti perora con convinzione la sua «apologia della sottoletteratura»[4], nella prospettiva di quella che potremmo definire la “colonizzazione dell’immaginario”:

Viene il sospetto che il fantastico, ed in particolare modo la fantascienza, rappresentino il solo modo per descrivere adeguatamente, in chiave narrativa, il mondo attuale. È un mondo in cui l’immaginario ha assunto un peso sconosciuto in precedenza […] L’informazione è un valore aggiunto alle specifiche sociali. La società contemporanea penetra nella fantasia, nei sogni, nelle visioni del mondo più intime.[5]

© Claudia Gaudenzi

 

 

 

 

[1] V. Evangelisti, Alla periferia di Alphaville, Napoli, L’Ancora del Mediterraneo, 2000.

[2] V. Evangelisti, …et mourir de plaisir, in Id, Alla periferia di alphaville, cit, pp.13-212: 20.

[3] V. Evangelisti, apologia della sottoletteratura, in Id, Alla periferia di alphaville, cit, pp. 25-30: 27-28.

[4] V. Evangelisti, una narrativa adeguata ai tempi, in Id, Alla periferia di alphaville, cit, pp. 115-121:115

[5] Ivi, p.120.

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