La recente antologia Nostra Signora degli Alieni, a cura di Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo (Homo Scrivens ed.), è una raccolta di racconti dedicati alla religione nella letteratura di fantascienza. Io ho avuto il privilegio di vedere accettato dai curatori un mio racconto inedito, L’esercito segreto, nel quale una setta di cristiani gnostici cerca di provocare una crisi nell’Europa unita di un futuro prossimo. Non è certo la prima volta che per una storia con un argomento a tema scelgo un’ambientazione che parli d’arte: trovo infatti questa abbia troppo poco spazio nella letteratura di science-fiction, forse perché gli autori pensano che la sensibilità artistica sia molto lontana dalla razionalità della scienza, che come sappiamo ha una nicchia privilegiata nel nostro genere preferito.
Il personaggio che funge da punto di vista in L’esercito segreto lavora al museo del Prado, a Madrid, e alcune scene chiave sono ambientate in una ricreazione virtuale della Quinta del Sordo, la casa di campagna di Francisco Goya, le cui pareti di gesso il grande pittore spagnolo decorò con quattordici affreschi a olio, tra il 1819 e il 1823. A fine Ottocento lo straordinario ciclo fu infine trasferito su tela con un processo lento e laborioso, e oggi i quadri sono tra le maggiori attrazioni del museo madrileno. Lugubri, misteriose, difficili da interpretare, queste pinturas negras (pitture nere) si incidono profondamente nell’animo, e riescono a trarre dall’inconscio dello spettatore un sentimento di inquietudine.
Ecco il primo momento in cui i due protagonisti del racconto si ritrovano in una ricreazione virtuale della Quinta all’interno delle sale del Prado:
La ragazza dal soprabito, che aveva assistito alla scena, si infilò di corsa nella Quinta del Sordo virtuale. La seguii meccanicamente, senza pensare. Si appiattì a sinistra contro il muro, tra la Manola e l’Aquelarre. Accesi senza riflettere la proiezione spintronica dal mio intercom. L’agente si affacciò un secondo dopo, ma invece della fuggitiva vide una finestra aperta sull’estate del Manzanarre.
Appena lui scomparve la ragazza avanzò di un passo per uscire dalla proiezione e mi osservò con uno sguardo supplice. Il soprabito aperto sulla gola, lunghi capelli lucidi come tessuto, gli stessi meravigliosi occhi del giovane in dolcevita blu che avevo visto un minuto prima in sala.
Mi nasconda, per favore. Per favore. Era così bella da togliere il fiato.
La precedetti fuori e poi al piano superiore, dove continuava la ricostruzione virtuale della Quinta del Sordo, per riprodurre la disposizione nella casa di campagna di Francisco Goya. Osservò titubante le pinturas negras, le figure deformate e quasi caricaturali, i loro occhi bianchi che risaltano nella paletta monocromatica, terrosa. Mi feci consegnare ciò che teneva con la mano in fondo alla tasca del soprabito, un oggetto identico a quello che il suo complice aveva scagliato nella sala dei fiamminghi, e le indicai la finestra tra Asmodea e il Santo oficio. Aspetta qui.
Il cuore del racconto è molto distante da questa maglifica scenografia da museo, si trova da qualche parte all’incrocio tra spiritualità e intolleranza; in questo post mi limito a ritagliare i passaggi che raccontano le pinturas negras.
Camila non è il tuo vero nome, dissi mentre camminavamo.
Ebbe un nuovo attimo di smarrimento, poi cacciò le mani nelle tasche. È un nom de guerre, e aggiunse come per sviare la mia attenzione: Quei quadri nella sala sotto il suo ufficio, chi li ha dipinti? Sono gli affreschi della Quinta del Sordo, la casa di campagna di Goya. Ma quei volti deformi, quegli sfondi così scuri, quei colori fangosi? e quel gigante che divora una donna? Le chiamano pinturas negras: nero pece, bianco sporco, ocra, terradisiena, i fantasmi dell’autunno di Goya, dipinti a olio sulle pareti della sua abitazione privata.
Si voltò verso di me. Portami a vedere i due giovani che volano davanti alla montagna, disse. Asmodea, risposi, è al piano superiore. La guidai lungo la scala. Mi sentivo turbato, confuso, e non era la stanchezza di una giornata ricca di avvenimenti. Nel 1823 Goya dovette abbandonare la sua Quinta e andare in esilio in Francia, raccontai, per sfuggire alla destra reazionaria. E come si sarà sentito quando ha dovuto abbandonare queste pitture? commentò amara Camila, È riuscito a guardarsi dentro per tirare fuori gli spettri e esorcizzarli, e improvvisamente eccoli esposti agli sguardi di chiunque.
Era un punto di vista molto speciale sulle pinturas negras. Mi resi conto di quanto mi pesasse il silenzio del museo di notte, dopo settimane di insonnia nel mio ufficio. Con quella ragazza mi stavo spingendo troppo oltre. Chi è Asmodea? domandò Camila davanti alla tela al piano superiore. Mi appoggiai all’indietro contro il tavolo di legno che avevo messo per ricreare una stanza d’abitazione della Quinta. Asmodeo, al maschile, è il demone che nel libro di Tobia uccide i sette mariti di Sara prima che consumino il matrimonio; nel 1629 suor Jeanne des Anges del convento di Loudoun, collaborando con Richelieu per la condanna di un prete libertino, firmò “Asmodeus” un documento in cui il demonio confessava di possedere il suo corpo. Tra le pinturas negras, Asmodea è la più ermetica. Camila osservò i soldati nell’angolo destro dell’immagine, i fucili puntati sui due giovani apparentemente sospesi in aria nel cielo giallognolo; notò comunque che i militari, che avevano la stessa divisa invernale dei Fusilamientos del 3 de Mayo, sembravano più distanti in prospettiva. Forse stavano sparando sulla carovana in lontananza, sul fondo del quadro.
Tra tutte le opere di Francisco de Goya y Lucientes (1746-1828), le pinturas negras sono forse le più vicine alla sensibilità contemporanea, che anzi per certi versi sembrano anticipare: atmosfere tenebrose, dominate da colori scuri, che provocano un’impressione profonda perché si riferiscono direttamente al centro delle nostre emozioni.
Si fermò contro il tavolo, dandomi le spalle per osservare il Perro semihundido, la testa del cane che spunta dietro un’alta duna di terra, l’espressione angosciata con cui l’animale guarda la polverosa uniformità del cielo ocra. Sentivo distintamente il suo profumo in fiore. Aveva dieci anni e venti centimetri meno di me.
Goya dipinse queste opere per sé, erano destinate alla propria casa d’abitazione, acquistata in una zona periferica per sfuggire alla repressione del governo reazionario, e per vivere al riparo da occhi indiscreti la relazione sentimentale con l’amante Leocadia Zorrilla, che non poteva essere tollerata dall’ipocrita morale di corte.
I nostri passi risuonarono innaturalmente amplificati nelle sale vuote. A mia memoria, il Prado non era mai stato così deserto a quell’ora, nessun giorno della settimana: lo presi come un altro presagio sulla fine del tempo. Anche al centro della sala al piano inferiore della Quinta del Sordo c’era un vecchio tavolo di legno intagliato; mi domandai se Camila avesse il mio stesso pensiero, ma lei si fermò al centro della stanza, alla distanza ideale per ammirare L’Aquelarre.
Il Gran Caprone, commentai. Andai alla finestra, e cercai di guardare in alto: il vtol che ci aveva seguito era ancora lassù.
Cosa rappresenta il quadro? È la cerimonia di iniziazione di una strega, risposi senza voltarmi, vedi la giovane in attesa all’estrema destra del cerchio di persone? Il caprone vestito di saio invece rappresenta il demonio, vero?, il Demiurgo che presiede il sabba. Se preferisci così. Mi sporsi per cercare gli uomini della Sicurezza che avevano controllato i nostri documenti: stavano confabulando tra loro, ma come a un segnale prestabilito sollevarono la testa per guardare direttamente verso la finestra.
Mi trassi indietro di scatto. Non ci sono solamente streghe, disse Camila che non si era accorta della mia apprensione. All’improvviso, sembrava completamente assorbita dalle pinturas negras. Guarda qui in mezzo alle donne: questo è un uomo, forse un soldato?, questo invece sembra un frate, e questo pure.
Tornai a avvicinarmi con precauzione al vetro della finestra, sperando che il riflesso mi nascondesse, ma gli agenti con la fascia azzurra non erano più là fuori. Goya aveva compreso tutto, disse Camila stregata dall’Aquelarre.
Gli storici dell’arte non hanno un’interpretazione univoca da offrire sui temi che Goya rappresenta in questo stupefacente ciclo. L’atteggiamento migliore consiste probabilmente nel lasciarsi andare alla loro forte carica visionaria, al limite del fantastico, senza interrogarsi sul significato, e permettere che i loro colori funebri agiscano direttamente sul nostro inconscio.
Pingback: Nero di Goya – di FRANCO RICCIARDIELLO | Fantascritture – blog di fantascienza, fantasy, horror e weird curato da gian filippo pizzo