Apophis: si sveglia il dio del caos

Tra le (molte) idee fuorvianti intorno al genere fantascienza, la più ingenua e dannosa è l’opinione che il valore di un’opera sia direttamente collegato alla sua capacità predittiva: al fatto, cioè, che l’autore o l’autrice siano stati in grado di prevedere, magari con anni o decenni di anticipo, cambiamenti sociali o innovazioni tecniche che si stanno verificando nei giorni in cui viviamo. Senza parlare di quelle convinzioni superficiali, e purtroppo piuttosto diffuse, per cui romanzi dolorosi e profondi come 1984 di George Orwell abbiano descritto tre quarti di secoli fa una situazione di controllo sociale che sarebbe in atto nei giorni nostri.

La verità è che la validità di un romanzo di science fiction, e l’abilità di chi l’ha scritto, non si giudica “a posteriori”, se cioè la sua inventiva tecnologica ha retto o meno al passare del tempo, ma nel momento in cui viene pubblicato. Pensare che la letteratura abbia una funzione predittiva è mortificante: il suo valore sta nelle qualità letterarie, nella capacità di descrivere cosa accadrebbe se si verificasse lo scenario immaginato.

In questo senso, è utile giudicare la capacità di proiettare sul futuro scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche che sono oggi in nuce, appena agli albori, e speculare su come cambieranno il nostro futuro, il futuro della civiltà.

Si è a lungo dibattuto sul fatto che gli autori e le autrici italiane siano meno portati, rispetto ai colleghi anglosassoni, a trame basate su scienze hard, e che la causa di ciò sia la nostra cultura, che da secoli definiamo umanistica. Per questa ragione, nel nostro paese molti lettori, probabilmente quelli meno interessati alle qualità narrative e più alle idee contenute, non leggono autori italiani, consumando soltanto fantascienza americana – salvo poi trovare astruse motivazioni per snobbare un’opera decisamente hard come la trilogia del Passato della terra di Liu Cixin.

Il triestino Livio Horrakh è un autore poco prolifico; ha esordito negli anni Sessanta e mantenuto una produzione rarefatta ma regolare negli anni Settanta e Ottanta, dopo di che si è eclissato fino al 2017, quando è ricomparso con il romanzo Memphis all’infinito, pubblicato con un editore non specializzato, al quale hanno finalmente fatto seguito altre due opere lunghe, tutte caratterizzate da una profondità di scrittura piuttosto rara dalle nostre parti. Del primo e dell’ultimo di questi romanzi, Alternate Elvis, ho già scritto in precedenza in questo blog e nell’Enciclopedia del postmoderno.

Apophis 2049 è pubblicato per un’altra casa editrice non specializzata in sf, Robin, nel 2020. La trama è l’ampliamento di un romanzo breve apparso nel 2003sul n. 41 della rivista Robot, intitolato Il Buddha dell’era oscura. Apophis, o Apopi, era nella religione egizia antica l’incarnazione della tenebra e del caos. L’ambientazione del romanzo è un futuro non troppo distante da oggi, ma decisamente stravolto da applicazioni tecnologiche che hanno frantumato il confine tra l’esperienza reale e il paesaggio virtuale. Mi viene in mente in proposito il titolo di un racconto di Bruce Sterling, La nostra Černobyl’ neurale, come pure l’intera poetica di J.G. Ballard sulla perdita di riferimenti della coscienza umana rispetto a un ambiente sempre più artificiale.

La storia si svolge tra gli USA e l’India, con qualche scena in Italia. In questo futuro, la vita di tutti i giorni è caratterizzata dalla possibilità di variare a piacimento l’ambiente (sia in interni che all’esterno) tramite proiezioni olografiche che possono sovrapporre alla realtà (i muri di una stanza, di un ristorante, di un ufficio) un’immagine digitale che cambia totalmente la percezione. Inoltre, anche in spazi aperti si muovono immagini tridimensionali, per di più a fini pubblicitari, di persone, animali, cose. Ad esempio, il cielo è spesso occupato da enormi proiezioni che pubblicizzano prodotti dell’industria. In particolare, l’industria dell’intrattenimento ha raggiunto livelli di volgarità, violenza e sessismo che oggi possiamo solo immaginare.

Per quanto riguarda la situazione politica del mondo immaginato da Horrakh, la pax americana appare insidiata da un nuovo protagonismo muscolare della Russia, e dalla diffusione di un movimento neocomunista che conduce una sanguinosa guerriglia in Birmania, che coinvolge le forze armate statunitensi in un scenario simile alla guerra del Vietnam.

In tutto questo, l’Europa sembra mantenere un atteggiamento pragmatico, né con il presidente Usa Austin né con il russo Vushenko. Entrambe le superpotenze sono impegnate nella gara per produrre per prime la terribile bomba-quark, l’arma definitiva che concederà il dominio totale sul pianeta — anche al prezzo dell’annientamento fisico della potenza avversaria.

In questo scenario desolante, comincia a muoversi in India un uomo misterioso e sfuggente, che conquista sempre più consenso, e che sostiene di essere Maitreya, il “Buddha del futuro”, successore di Gautama, il “Buddha storico”, che porterà sulla Terra la benevolenza e la compassione. I discorsi che Maitreya tiene a pubblici sempre più numerosi sono quanto di più distante si possa immaginare dalla retorica violenta e aggressiva dei competitor politici: sono parole permeate di una metafisica più misteriosa che consolatoria, che affascina gli ascoltatori in contrasto con una realtà sempre pià materialista.

 Inoltre, pare che Maitreya possieda anche un certo grado di poteri telepatici, che sono diffusi anche tra diversi individui, ai quali è permessa una limitata precognizione di eventi che ancora devono accadere.

Questo sconfortante panorama, che comprende anche altri elementi tipici dell’immaginario di Horrakh, come gli stupefacenti utilizzati a fini di controllo sociale, sostiene l’intreccio di due trame principali: la corsa alla bomba-quark, osservata dal punto-di-vista del presidente Usa Austin, e l’indagine sull’elusivo Maitreya, che vede impegnati in India due giornalisti, lo statunitense David e l’italiana Anna.

Per tornare alle considerazioni iniziali: Apophis 2049 è un romanzo assolutamente in linea con la produzione anglosassone, scandito da un ritmo inesorabile — ma non si deve pensare a un classico thriller — che sfrutta tecnologie oggi in rapida evoluzione immaginando come possano cambiare il nostro futuro. Romanzo di idee, senz’altro, ma capace anche di coinvolgere chi legge nelle vicende personali dei personaggi, ed è un peccato che un’opera del genere abbia avuto così poca visibilità presso gli appassionati del genere fantascienza.

Livio Horrakh, Apophis 2049, ed. Robin, 336 pagine, € 23,00, ISBN 9788872746127

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