Un biglietto del tram

Estate 1981, primi giorni di luglio: arrivo a Treviso con una tradotta, un treno militare partito da Pesaro e transitato da Fano, dove era il centro addestramento reclute del mio reparto. Il treno proseguirà per Vittorio Veneto e il nordest, io invece arrivo al Quartier generale della divisione di fanteria meccanizzata “Folgore”. Mansione: scritturale, il che vuol dire che ogni mattina dopo l’appello nel piazzale della caserma salgo su un autobus militare che mi porta al comando di divisione, Villa Margherita, qualche chilometro più su sulla strada per Vittorio Veneto. Sono stato assegnato all’ufficio OA, Organizzazione e addestramento, in particolare all’addestramento, dove insieme a altri tre ragazzi di leva batto a macchina ordini, rapporti e quanto serve al maggiore e ai tenenti colonnelli dell’ufficio.

Abbiamo uno stanzino con quattro macchine da scrivere in linea, i computer ancora non sono entrati nell’uso quotidiano. A parte le incombenze di dattilografia, siamo relativamente liberi; possiamo leggere, chiacchierare, ascoltare musica.

Tra le musicassette che più ascoltiamo ce n’è una, portata da un commilitone di Arco di Trento, che è anche il mio compagno di branda; nei mesi fino alla primavera successiva, fino al suo congedo, la ascolterò centinaia di volte. Si tratta di “Un biglietto del tram” degli Stormy Six, un gruppo di Milano che con questo disco ha inciso “il più bell’esempio di musica politica mai prodotta in Italia.”[1]

Pochi sono i giorni che passano senza ascoltare questa musicassetta, conosco i pezzi a memoria; questa è la copertina:

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«Seguo la via dettata dalla Provvidenza, con la sicurezza di un sonnambulo»

Per fortuna l’editoria si occupa finalmente di smentire uno maggiori timori dei fans di William T. Vollmann: il fatto cioè che i (non) molti suoi testi tradotti e pubblicati in Italia finiscano nel dimenticatoio, nel mondo grigio del fuori-catalogo, nel circuito triste dei remainders. Invece devo constatare che trovare un suo libro sulle bancarelle dell’usato o dei book-crossing è veramente arduo, e, soprattutto, Minimum Fax sta recuperando parte del fuori-catalogo dell’editore Fanucci (I racconti dell’Arcobaleno, Storie della farfalla) e promette nuove traduzioni inedite (The Atlas, Poor People). Se a questo aggiungiamo che Mondadori ristampa negli Oscar Europe Central, allora comincio a illudermi che lo zoccolo duri dei fans italiani di Vollmann sia così vorace da condizionare le scelte editoriali.

Vollmanniani di tutto il mondo, uniamoci!

Ecco dunque il tascabile di 1072 pagine di Europe Central, pubblicato nove anni fa nella collana Strade Blu. È apprezzabile la modestia con cui Vollmann parla di “racconti” a proposito di questo mastodontico, indimenticabile romanzo:

“Questi racconti si fondano su fatti storici, ma con un rigore inferiore rispetto alla serie dei Seven Dreams, Il mio fine, in questo caso, era quello di scrivere una serie di parabole su alcuni famosi, famigerati o anonimi attori morali europei osservati nei momenti di importanti decisioni. I personaggi che compaiono in questo libro sono, in gran parte, realmente esistiti, Ho svolto ricerche sulle loro biografie con tutta la cura di cui sono capace, ma la mia resta pure sempre un’opera di narrativa.”

Non credetegli assolutamente quando parla di “rigore inferiore”: al contrario, le pagine esplodono in faccia al lettore con la violenza integrale della Storia, così minuziosamente documentata che c’è chi ha giustamente scritto di fiction al limite della saggistica. Europe Central racconta “l’incubo delle due grandi dittature totalitarie del XX secolo in guerra tra loro: l’Unione Sovietica e la Germania nazista.” Inizia poco prima dell’invasione della Polonia e termina intorno a metà anni Cinquanta, con qualche epilogo di poco avanti nel tempo.

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