Le «cose morte» di Richard Calder

Questa è la terza parte di un post dedicato alla trilogia Dead Girls di Richard Calder; la prima parte prima parte è stata pubblicata il 3 luglio scorso.

Il volume conclusivo della trilogia, e terzo libro della bibliografia di Calder, è Strange Things (1996), mai tradotto in Italia; in un certo senso, è più fruibile del precedente, ostico Dead Boys.

Com’è nella sua natura di elohim, Dagon è consapevole della missione inscritta nei propri geni: uccidere tutte le lilim dell’universo. La Sardanapalus, astronave di costruzione marziana che viaggia nel tempo come nello spazio, lo porta nella Bangkok del 1994, «centro finanziario di una civiltà la cui valuta universale è la pornografia»:

 In che senso la fellatio è vampirismo e perché il vampirismo che vorrebbe essere umano è diventato a forza predominante alla fine del XX secolo? Cosa significano queste due cose? Pensa allo shopping, all’iperconsumismo, al solipsismo di un’era autoerotica. Un’era dell’informazione inevitabilmente evolve in un’era di pornografia.

Continua a leggere

Le «Ragazze Morte» di Richard Calder

La vicenda editoriale di Richard Calder in Italia è il tipico esempio di come la fantascienza nostrana, ancora più di quella anglosassone e di altre fantascienze autoctone, non riesca a valorizzare le voci che potrebbero portare a un radicale cambiamento della percezione del genere, agli occhi del pubblico e della critica.

Richard Calder, nato nel 1956 a Londra e vissuto per oltre un decennio in Thailandia e Filippine per sfuggire ai «vincoli fisici e psicologici della nauseante periferia della sua infanzia», ha iniziato a pubblicare a trentasei anni. Non sono molte le opere nella sua bibliografia; in Italia sono apparsi negli anni Novanta tre racconti in antologie cyberpunk (benché sia decisamente opinabile la sua appartenenza al sottogenere), più due romanzi: per l’Editrice Nord Virus ginoide (Dead Girls, 1992), titolo orribile ma splendida traduzione di Fabio Zucchella, e su Urania L’ultima invasione (The Twist, 1999), grazie a una precisa scelta del compianto Giuseppe Lippi. In totale, in 18 anni di carriera (dal 2010 non pubblica più) Calder ha pubblicato in inglese solo dieci romanzi.

Eppure apparentemente Richard Calder ha tutti i requisiti per piacere: un’immaginazione pirotecnica, una capacità rara di creare mondi, società, situazioni narrative squisitamente fantascientifiche (anche se egli si definisce piuttosto surrealista), una fantasia visionaria e un’invidiabile padronanza del “futuribile”. Perché allora ha avuto un successo limitato, conservando solo uno zoccolo duro di estimatori; e soprattutto, perché in Italia non ha proprio sfondato?

Continua a leggere