Splendore e decadenza del Portogallo

“Archibald”, di Camilo Veliovich, Montevideo (Uruguay)

Il fatto che una nazione delle dimensioni del Portogallo abbia dato alla letteratura contemporanea due scrittori del calibro di José Saramago e António Lobo Antunes, divisi da solo vent’anni di età, dovrebbe forse stimolare qualche riflessione più approfondita. Saramago ha vinto il Nobel per la letteratura, premio per il quale anche Lóbo Antunes è stato proposto — e che personalmente mi auguro vinca prima possibile; ma non è questo a rendere necessario una comparazione, bensì la novità dirompente dietro l’originalità del loro stile. Ognuno dei due a modo suo, è chiaro, ma ciascuno con una Voce inconfondibile.

Sono conosciute le caratteristiche dello stile di Saramago: la lunghezza inusuale dei periodi, l’uso della punteggiatura fuori dalla norma, senza esclamativi e interrogativi, con pochi punto-a-capo, la mancanza di segni per indicare il discorso diretto, le battute di diversi personaggi poste di seguito, anche nel medesimo periodo.

Anche Lobo Antunes costruisce periodi complessi, frantumati, cede alla tentazione della divagazione, opera un montaggio di immagini e sensazioni destinato a riprodurre il ritmo del pensiero, rifugge i dialoghi diretti come se fossero malattie contagiose. In più, in Lo splendore del Portogallo, il ritmo è dettato da un continuo ritorno a una frase di discorso diretto pronunciata a voce alta; a partire da questa si sviluppa nella mente del personaggio punto-di-vista, una successione di immagini che provocano l’alternanza di ricordi e eventi nel presente della narrazione, spesso all’interno dello stesso periodo, con un meccanismo narrativo di grande efficacia.

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