Storie della famiglia Akakuchiba

il presente post è già apparso come recensione su Pulp Libri

“Negozi” di Guweiz, Singapore

Con il romanzo Red Girls, l’autrice Sakuraba Kazuki, nata nel 1971 e autrice di una dozzina di romanzi maistream oltre a una lunga serie di light novels, debutta nella narrativa giapponese quel particolare sottogenere del romanzo contemporaneo che è la saga famigliare estesa su più generazioni; e questa assenza è peculiare, dal momento che si tratta di un topos narrativo presente in quasi tutte le letterature nazionali. Non è quindi un caso che quando il rappresentante del suo editore le propone di scrivere “un grande romanzo che contenga individualità, famiglia, storia del Giappone, amore, lavoro… tutto”, all’autrice vengano in mente solo esempi stranieri: Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, La casa degli spiriti di Isabel Allende e Orlando di Virginia Woolf.

A parte questa nota singolare, Sakuraba ha colpito nel segno: il romanzo, il cui titolo originale è traducibile in La leggenda della famiglia Akakuchiba (nome di famiglia che in italiano significa “foglia rossa morta”) segue tre generazioni femminili dagli anni Cinquanta del secolo scorso fino al presente, e dentro c’è di tutto: storia, cronaca, costume, sentimento, persino mystery.

Sakuraba Kazuki, tradotta per la prima volta in italiano con questo Red Girls, è famosa in Giappone e all’estero soprattutto per i suoi ranobe, cioè romanzi young adult (per il mercato adolescenziale) tradotti in inglese con “light novels”; definizione che si limita a utilizzare l’etichetta giapponese, dal momento che ranobe altro non è che la contrazione di raito noberu (ライトノベル),  traslitterazione in caratteri fonetici kana di “light novel”. Il più famoso ranobe dell’autrice è la serie Goshikku, anglicizzata in Gosick, e traslitterazione della parola Gothic: tredici volumi con testo di Sakuraba Kazuki e illustrazioni di Takeda Hinata, pubblicati a partire dal 2003. Sono ambientati negli anni Venti del secolo scorso in un immaginario paese montano dell’Europa, Saubure (Sauville nella traduzione inglese) esteso dalla Svizzera al Mediterraneo attraverso Francia e Italia. I protagonisti sono il figlio di un alto ufficiale dell’esercito imperiale giapponese, che frequenta l’accademia in Europa, e una misteriosa giovane che passa tutto il tempo a leggere i libri di una biblioteca, da dove risolve enigmi polizieschi individuando a distanza i responsabili di delitti. Continua a leggere

Giallo in camera chiusa per il detective Kindaichi

“Scale”, di Guweiz, Singapore

La letteratura poliziesca giapponese è per i lettori italiani un oggetto sconosciuto, meno famigliare di un UFO. Gli appassionati che frequentano i cataloghi delle case editrici e le riviste di settore possono farsi una cultura nelle grandi letterature tradizionali del poliziesco, americana, inglese e francese, e negli ultimi anni anche di scuole nazionali più recenti, o meno conosciute, come quelle scandinave o spagnole. Così, l’appassionato si stupisce quando dalle poche notizie reperibili in rete, o nelle prefazioni delle rare traduzioni in volume, scopre che la letteratura polar ha in Giappone una tradizione secolare altrettanto solida e fortunata di quelle occidentali.

Le caratteristiche del tantei shosetsū, il giallo nipponico, sono sia autoctone che di importazione. La prima categoria è testimoniata dall’antica tradizione del saiban shosetsu, sviluppato durante l’era Tokugawa (1603-1879) a partire dal successo del Tōin Hiji, titolo giapponese del Táng yīn bǐ shì, (1211, “Casi giudiziari risulti sotto l’ombra del pero”) di Guì Wànróng: una raccolta di 144 casi giudiziari cinesi, che tra l’altro è anche l’ispirazione che spinge lo scrittore olandese Robert Van Gulik (1910-1967) a scrivere i celebri gialli del giudice Dee.

Avvicinandoci ai nostri giorni, l’epoca d’oro del poliziesco giapponese sono gli anni Venti, a partire dalla pubblicazione della serie Hanshichi torimonochō (“i blocchi degli appunti di Hansichi”), autore Okamoto Kido: si tratta di indagini che si inseriscono nel gusto cronachistico nero del Tōin Hiji, e per questo scontano un’ambientazione storica, nell’era Tokugawa appunto. Questo genere conosciuto come Torimonochō, sopravvive fino al secondo dopoguerra, con sensibili cambiamenti nella figura dell’okappiki, il detective polizia, che fino agli anni ‘40 è un eroe positivo, fautore della ricomposizione dell’ordine, per diventare poi sempre più spesso un prevaricatore che sconfina nell’abuso di potere.

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Antifrasi di Mishima

Lunedì 6 novembre organizzerò con gli amici di As/Colto un Racconto di Musica che prevede l’ascolto pubblico di Async, ultimo lavoro di Sakamoto Ryuichi, e la lettura di passi scelti da «Il mare della fertilità», quadrilogia di romanzi terminati da Mishima Yukio poco prima del suicidio nel 1970. Si tratta dell’opera più ambiziosa di uno dei più discussi autori del secolo scorso, autentico personaggio mediatico che modellò la propria vita come aveva imparato dai suoi maestri europei, Wilde e Nietzsche, ma soprattutto D’Annunzio (del quale Mishima tradusse in giapponese il “Martirio di San Sebastiano”).

Aberto Moravia, che intervistò Mishima quando in Europa era etichettato come “fascista”, lo definì piuttosto “un conservatore decadente”. Mishima in realtà non avallò mai alcuna appartenenza ideologica, e non ebbe problemi a rispondere all’invito dello Zenkyōtō, il Comitato di Lotta interfacoltà degli studenti di sinistra, per una serie di conferenze nelle università sconvolte dal 1968, altrettanto vivace in Giappone che in Europa. Non bisogna dimenticare che da giovane lo scrittore mosse i primi passi intorno a Bungei bunka, rivista pubblicata tra il 1938 e il 1944 dal circolo neoromantico del primo periodo Shōwa, composto da artisti provenienti dal marxismo; né bisogna dimenticare che non furono considerazioni meramente ideologiche a spingerlo a denunciare pubblicamente nel 1967 la Rivoluzione culturale cinese, insieme al futuro premio Nobel Kawabata Yasunari, bensì una concezione che precisò l’anno successivo nel saggio Sulla cultura: affinché un sistema culturale possa trasferirsi di generazione in generazione, è necessario che il sistema politico garantisca libertà di pensiero e pluralità di espressione democratica. È evidente che quest’idea è inconciliabile con la politica maoista del tempo.

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