Gainsbourg: cattive notizie dalle stelle

di FRANCO RICCIARDIELLO

A volte mi trovo a riflettere quanto manchi nella musica italiana una figura equivalente a Serge Gainsbourg. Con un paragone forse troppo tranchant, è come se Fabrizio De André avesse scritto i testi delle canzoni di Lucio Battisti.

Quando Serge Gainsbourg nasce nel 1928 i genitori, ebrei russi fuggiti dopo la rivoluzione bolscevica, abitano in rue de la Chine, nel quartiere Belleville di Parigi, dove Lucien Ginsburg (questo il nome all’anagrafe) passa l’infanzia. Il padre Joseph Ginsburg, nativo di Kharkov in Ucraina, ha frequentato il conservatorio di Pietrogrado e poi di Mosca; a Parigi deve adattarsi a suonare nei piano-bar mentre la madre, la mezzo-soprano Olga Besman, canta al conservatorio russo. Nel 1948 Lucien impara a suonare la chitarra durante il servizio militare, ma il suo esordio artistico è nell’arte figurativa (è anche allievo di Fernand Léger). Sostiene di avere compreso le potenzialità della canzone popolare durante un concerto di Boris Vian: i suoi pezzi impegnati, i testi a metà tra ironia e cinismo, l’atteggiamento anarchico provocatore incidono in profondo nel giovane, che francesizza il cognome in Gainsbourg e comincia a suonare il piano in un cabaret, dove si fa notare finché lo spingono direttamente sul palcoscenico come cantante.

Percorrendo rue de la Chine si ha l’impressione di trovarsi nella periferia di una città di provincia. Ha scritto il filosofo tedesco Walter Benjamin, il secondo grande autore che si è occupato del flâneur dopo Charles Baudelaire:

“C’è una piccola parola d’ordine massonica da cui si riconoscono l’un l’altro gli amanti più fanatici di Parigi, sia francesi che stranieri: è la parola provincia. Con un’alzata di spalle il vero parigino, quand’anche non dovesse andare in viaggio un anno sì e un anno no, nega di essere un abitante di Parigi. Egli abita nel treizième, nel deuxième o nel dixuitième, non a Parigi, ma nel suo arrondissement – nel terzo, nel settimo o nel ventesimo – e questa è provincia. Forse è qui il segreto della mite egemonia che la città esercita sul resto della Francia: essa ha accolto l’altro nel cuore dei suoi quartieri, che sono le sue province, e ha dunque più province dell’intera Francia. Sarebbe stolto seguire qui l’ordine burocratico del catasto: Parigi ha più di venti Arrondissements, ed è piena di città e di villaggi.”

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La spirale di Parigi

«STORIE DI PARIGI» IN PUBBLICAZIONE AD APRILE.

È in corso di impaginazione presso la redazione dell’editore Odoya «Storie di Parigi», ilracconto della mia camminata nelle vie della capitale francese. Il percorso che ho seguito per toccare tutti i luoghi di interesse letterario, musicale e cinematografico, è progettato per seguire come in una collane la suddivisione in Arrondissement della città, che disegna un tragitto a chiocciola dal più esterno, il XX, al più centrale, il I.

Musée d'Orsay

Musée d’Orsay

La divisione della città in unità amministrative chiamate Arrondissement risale alla Rivoluzione (legge del 19 Vendemmiaio anno IV, 11 ottobre 1795); in origine gli Arrondissements erano dodici, ognuno diviso in quattro quartiers che ricalcavano le  sezioni rivoluzionarie del 1790, abolite dopo il colpo di stato del Termidoro che portò alla caduta di Robespierre. Nel 1859, con l’ampliarsi dell’area urbana ai faubourgs limitrofi e fino alla cinta muraria, gli Arrondissements diventano 20 e raggiungono i confini odierni. L’idea del prefetto barone Haussmann, avallata dall’imperatore Napoleone III, è quella di estendere i confini della città fino alle mura di cinta: il problema è che queste includono all’interno o tagliano a metà almeno 23 comuni alla periferia della capitale. Il progetto iniziale prevede la numerazione progressiva dei nuovi Arrondissements con il primo in alto a sinistra sulla carta e l’ultimo in basso a destra; ma questo provoca un’alzata di scudi tra gli influenti notabili di Passy, che si vedrebbero attribuire il numero XIII: non per ragioni scaramantiche, ma perché nella precedente situazione di dodici unità, il modo di dire “se marier à la Mairie du XIII Arrondissement” (sposarsi al municipio del XIII) era un eufemismo per “vivere insieme senza essere sposati”. Come mediazione il sindaco dell’abolito comune di Passy propone una numerazione che segua una spirale a partire dal Louvre e fino alla periferia orientale: in questo modo il numero 13 tocca agli abitanti di un quartiere popolare, immuni da prudérie perbenista.

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Storie di Parigi

DALLA NASCITA DELLA MODERNITÀ AL SUO TRAMONTO: LETTERATURA, CINEMA, MUSICA.

musee-dorsayMeno di un mese fa ho sottoscritto con la casa editrice Odoya un contratto per la pubblicazione di un libro lungo oltre un milione di battute, uscita prevista nel periodo di Pasqua 2017. Si tratta del racconto di una passeggiata autunnale di sette giorni e cinquanta chilometri nelle vie di Parigi; nasce dal confronto fra una Parigi mentale, costruita su letteratura, cinema e musica, e l’esperienza reale della città, l’avventura della camminata urbana.

In origine l’idea era quella di un itinerario di visita differente dai consueti viaggi per turismo e per lavoro: un percorso integralmente a piedi attraverso tutta la metropoli, ma senza seguire i classici tragitti trasformati in guida turistica per camminatori. Ho consultato tutta la letteratura sulla capitale francese, tutto il cinema e la musica nella mia collezione personale, e marcato sopra un plan de Paris ingrandito 2:1 ogni punto di questo itinerario nella mia Parigi mentale: spazi dell’ambientazione di racconti e romanzi, non solo della letteratura francese, legati alla biografie di scrittori, musicisti, registi, attori cinematografici, luoghi che hanno inciso sulla percezione di una Parigi “letteraria” più di ogni altra città al mondo, che da iter ideale per una formazione artistica umanista diventa luogo privilegiato per la comprensione della Modernità.

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