Il Solarpunk a Wonderland, Rai4

Martedì 8 giugno la trasmissione tv Wonderland, andata in onda in seconda serata su Rai4, conteneva un’intervista al sottoscritto sul solarpunk. Il montaggio finale, molto suggestivo e elegante, come nella tradizione del programma, comprendeva soltanto un poco meno della metà delle domande e risposte dell’intervista, registrata negli studi Rai di Torino.

La puntata integrale è disponibile su Raiplay:

Quella che segue è invece la traccia dell’intervista, così come registrata sulle domande concordate; nelle risposte scritte, la parte in corsivo si riferisce a quello registrato ma non compreso nel montaggio finale

Il manifesto del solarpunk è una recente proposta letteraria che molti dei nostri spettatori non conoscono; puoi delinearne i caratteri fondamentali, ovvero le linee teoriche non solo nei riguardi della tecnologia, ma anche più ampiamente culturali e politiche?

Il solarpunk è un movimento, un genere letterario e un’estetica; immagina un futuro migliore delle fosche previsioni e costruisce strategie operative per renderlo possibile; si fa interprete di sentimenti e istanze che chiedono un progresso collettivo, sostenibile, inclusivo. Il solarpunk è un processo in corso, non un fenomeno chiuso; non un sottogenere della fantascienza, ma un dispositivo narrativo della filosofia: cosa vogliamo fare per migliorare le prospettive sul futuro, come e perché?

Il Sole è simbolo di vita, è energia alternativa ai combustibili fossili, è ciò che già c’è, e che per sopravvivere dobbiamo utilizzare in modo sostenibile e condiviso.

L’utopia è un riferimento chiaro: incompatibile con una economia basata sul consumo e sulla predazione, il solarpunk non predica un “ritorno alla natura”, ma persegue un progresso consapevole, nel quale scienza e tecnologia, usate in maniera trasparente e democratica, ci consentano di raggiungere finalmente l’equilibrio con il nostro pianeta.

Come è nata l’antologia che hai curato, la selezione degli autori, l’organizzazione dei racconti, la coerenza con il programma del manifesto?

L’antologia “Assalto al sole” è anteriore all’elaborazione del manifesto italiano solarpunk. Più della coerenza ideologica mi ha guidato la ricerca di buone storie. Anzi, i confini estetici e tematici del solarpunk sono ancora così permeabili che fino a un certo punto sono le storie scritte a creare un precedente, piuttosto che il contrario. Sono stato io a invitare direttamente gli autori a partecipare, cercando di immaginare tra i nomi che conoscevo chi potesse essere interessato al genere.

Chi sono in breve gli scrittori coinvolti e quali argomenti, in una parola, essi affrontano nella raccolta?

Wonderland è particolarmente interessata al racconto di Nino Martino L’ora blu.

Siccome la narrativa solarpunk nasce, in un certo senso, da una costola della fantascienza, per questa prima raccolta italiana ho invitato autori che già avevano pubblicato con la casa editrice dell’antologia; molti autori li conoscevo direttamente perché incontrati in occasione dei periodici congressi di fantascienza. Ci sono, per esempio, tre scrittrici con le quali ho in seguito fondato il sito Solarpunk Italia: Giulia Abbate, Romina Braggion e Silvia Treves. I temi dei racconti sono i più diversi, e forniscono un’idea piuttosto varia di cosa sia il solarpunk: il passaggio dal consumismo a una democrazia integrale, naturalmente, ma anche il funzionamento pratico di una società organizzata secondo principi di sostenibilità ambientale, l’invenzione tecnologica futura, la cessazione dello sfruttamento del pianeta, l’attenzione verso la terra come cura per la psiche, e il rapporto ambiguo tra utopia e distopia: per esempio, un racconto come L’ora blu di Nino Martino, autore che è sulla scena da lungo tempo per aver esordito negli anni Sessanta, affronta una tesi cruciale: non è sufficiente la disponibilità di energia a basso costo coniugata con una connettività garantita a chiunque per fondare un’utopia. Come sappiamo, l’utopia di qualcuno è al tempo stesso la distopia di chi vi è escluso.

Quest’anno ricorrono i 50 anni dalla pubblicazione in Italia del best seller di Alvin Toffler Future Shock (1970). Il grande sociologo aveva predetto l’ascesa di internet, la possibilità della clonazione, il declino della guerra nucleare e l’affacciarsi di un diverso «scontro di civiltà». In che modo possiamo rileggere oggi (e rivedere l’omonimo documentario del 1972 di Alex Grasshoff con la voce di Orson Welles) sotto la lente del solarpunk?

A partire dagli anni Ottanta il cyberpunk ha affrontato con cognizione di causa lo “shock del futuro” causato da una rivoluzione tecnologica e digitale accelerata quasi ai limiti della comprensione, e l’ha risolta superando il dibattito sulla rivoluzione hi-tech. Dalla sua nascita, la fantascienza inseguiva la scienza nel tentativo di prevederla: con il cyberpunk l’ha raggiunta e superata, mostrando ai lettori che mettere in guardia dai pericoli dello “shock del futuro” ha senso soltanto se si accetta la definitiva onnipresenza della tecnologia, la sua pervasività. Prima degli anni Ottanta era pressoché impossibile evitare un giudizio morale, implicito o esplicito, entusiasta o critico, verso le scienze applicate, verso la tecnologia.

Il solarpunk ha il vantaggio di partire da questa consapevolezza acquisita, perché il suo predecessore cyberpunk ha aperto la strada: lo shock si può superare accettando la rivoluzione, naturalmente accantonando le tecnologie energetiche che provocano danno all’ecosistema, e con la consapevolezza che la tecnologia permetterà sì un maggiore controllo sociale, ma al tempo stesso fornirà strumenti anche a chi vi si vuole sottrarre.

Nel termine il cui prefisso evoca l’elemento tecnologico dell’energia pulita per antonomasia, compare il suffisso “punk”. Al di là della contrapposizione con la letteratura distopica anni ’80 a cui ha dato il nome Bethke, il punk è prima ancora connotativo di una rivolta etica contro l’esistente e rilancia una visione del mondo libertaria radicalmente antirazzista e di accoglienza del diverso nel caso dei migranti. In questo senso, recentemente la Norvegia ha prodotto la serie tv di SF Beforeigners che Wonderland considera pienamente coerente con i principi politici del solar punk. Tu che ne pensi?

La pratica della rivolta è una delle costituenti del solarpunk, che rigetta il modello di sviluppo capitalista insostenibile, predatorio, assassino, in palese contrasto alla vita sulla terra e alla trasformazione democratica della civiltà. La narrazione distopica non dà più strumenti utili per reagire allo shock dell’apocalisse climatico-sociale, scivola nel conservatorismo o in un estinzionismo di tendenza che è solo una moda estetica. I primi romanzi etichettati solarpunk, cioè Walkaway del canadese Cory Doctorow e The Ministry for the Future dello statunitense Kim Stanley Robinson propongono risposte all’impasse politica, vie per nulla facili da percorrere. Per far trionfare nuovi rapporti sociali esenti da sfruttamento potrà essere necessario affrontare una dura contrapposizione. Fredric Jameson ci ha insegnato che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo; la distopia racconta la fine del mondo, il solarpunk la fine del capitalismo.

Beforeignersè, diciamo così, un “compagno di strada” del solarpunk: come la migliore fiction che si produce oggi, racconta attraverso una metafora (l’improvvisa e inspiegabile comparsa nel nostro presente di uomini e donne vissuti nel passato) i problemi che ci troviamo a affrontare: lo scontro tra culture, i cambiamenti nella mentalità, l’immigrazione, e ci spinge a renderci contro che un norvegese di qualche secolo fa è più straniero, per un norvegese di oggi, che un curdo o un pakistano. In questo senso siamo compagni di viaggio: affrontiamo con gli strumenti della fiction una metafora ontologica essenziale per prepararci al futuro.

Nel racconto di Ted Chiang Storia della tua vita del 1998, lo sfondo essenziale è il dialogo tra terrestri e alieni per un eventuale aiuto reciproco. Una visione progressista e utopica di cooperazione che sembra anticipare di una decina d’anni le coordinate del manifesto. Possiamo ascrivere il lavoro di Chiang e Arrival (l’adattamento cinematografico) nella categoria di sci-fi “proto solar punk”?

Se non del solarpunk, almeno della fantascienza “tecno-ottimista” del progetto Hieroglyph, che lo scrittore Neal Stephenson ha organizzato in collaborazione con l’università statale dell’Arizona: per reagire agli scenari cupi e monotoni del nuovo distopico, la fantascienza deve tornare a essere una fucina d’idee per storie avvincenti di innovazione scientifica, sociale, morale. Storia della tua vita è una storia che si adatta perfettamente a queste premesse, così come il solarpunk.

Avendo preso forma solo pochi anni fa, il solarpunk è molto legato alla circolazione del dibattito in rete. A che punto è la sua ricezione da parte degli autori di sci-fi? E com’è in particolare la situazione attuale in Italia?

C’è moltissima curiosità, non soltanto da parte di lettori che si sono stancati di una fantascienza che si identifica unicamente con il distopico, ma anche da parte di chi vede nel solarpunk un ritorno della narrazione ottimista, che cerca di indicare nuove vie alla scienza e alla filosofia, come accadeva negli anni d’oro della fantascienza. Quante invenzioni sono state non dico anticipate, perché la funzione della fantascienza non è prevedere il futuro, ma almeno suggerite da scrittrici e scrittori a scienziati e filosofi? Dopo l’uscita dell’antologia Assalto al sole sono stato incaricato dalla casa editrice Delos Digital di curare una collana di eBook esclusivamente solarpunk, Atlantis: ne sono già usciti alcuni numeri, e devo riscontrare nelle autrici e negli autori che ho contattato un entusiasmo commovente, che li ha portati a scrivere storie di notevole valore letterario, al di là della correttezza formale solarpunk.

Sarena Ulibarri scrive: “Il solar punk deve occuparsi esplicitamente della tecnologia energetica? Deve essere anticapitalista o post-capitalista? Deve essere utopico? Deve anche essere fantascienza?”. Qual è il tuo punto di vista?

Ora come ora, immaginare un futuro diverso e migliore significa per forza di cose occuparsi del problema dell’energia, della sua produzione e distribuzione, strettamente legato con la questione della democrazia sociale. Se la narrazione è post-capitalista, al tempo stesso è anti-capitalista perché indica una via d’uscita da un sistema di produzione che ci ha portati sull’orlo del baratro climatico e morale. Se debba essere utopico o meno, lascio la parola agli autori; io sono per l’utopia, ma capisco che anche puntare il dito sulle possibili distorsioni di un futuro “solare”, evidenziandone la possibile ambiguità, sia un contributo importante.

Qual è il rapporto e quali eventuali differenze tra l’antologia italiana e la raccolta internazionale Solarpunk. Come ho imparato ad amare il futuro curata da Francesco Verso e Fabio Fernandes?

L’antologia curata da Francesco Verso per l’editore Future Fiction raccoglie racconti tradotti da autori di tutto il mondo, a partire dal Brasile dove per la prima volta si è usata l’etichetta solarpunk per una raccolta di racconti. Io ho voluto esplicitamente convocare autori e autrici intorno a un’idea per cominciare a costruire una via italiana al solarpunk. L’unica differenza di approccio che ho riscontrato tra le due raccolte è che il carattere politico post-capitalista è meno caratterizzato nelle storie scritte in Italia, per ora.

Il “bosco verticale” (Boeri) di Milano è davvero un modello di architettura e urbanistica per il solarpunk?

Su questo è in corso un dibattito: è una vetrina per l’edilizia sostenibile oppure greenwashing, cioè una pratica di ambientalismo di facciata che indica più una tendenza estetica che di sostanza pratica? Io sono ottimista, anche se, solo per restare a Milano, sposterei piuttosto l’attenzione sulle elaborazioni di un collettivo come il Commando Jugendstil, che con il suo progetto “cartoline da un mondo possibile” pratica l’estetica solarpunk da dieci anni.

Che tu sappia c’è un romanzo italiano all’orizzonte?

Francesco Verso, che come il sottoscritto ha vinto il Premio Urania dell’editore Mondadori, ha già pubblicato quello che può essere definito il primo romanzo solarpunk italiano, I camminatori. Considerando che manca ancora una prima grande, influente opera solarpunk di livello mondiale, ciò che Neuromante di William Gibson rappresentò per il cyberpunk, si può dire che una volta tanto non siamo affatto in ritardo.

Nota

In sede di registrazione mi è stata posta una domanda “estemporanea” sul rapporto tra solarpunk e art-nouveau, come approfondimento alla penultima risposta; è stata infine compresa nel montaggio finale, ma per forza di cose non si trova nella traccia qui sopra.

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