Il premio Urania a Elena Di Fazio

Per celebrare la vittoria di Elena Di Fazio al premio Urania 2021, ripubblico un mio post apparso su queso stesso blog nel 2017, intitolato “1Q83”, secondo di una serie di tre interventi su tre nomi nuovi della fantascienza italiana, che avevano in comune la pubblicazione prevalentemente su eBook (i nuovi appassionati di fantascienza, a differenza di molti della mia generazione, sono favorevoli quasi “per definizione” alle nuove tecnologie), l’interesse per le scienze in generale e l’anno di nascita, il 1983.

Nata nel 1983 a Roma, laureata in Informazione, editoria e giornalismo (Teorie della comunicazione), naturalmente cum laude, appassionata di fantascienza fino da adolescente, Elena di Fazio adesso vive a Faenza. Nel 2007 fonda insieme a Giulia Abbate l’agenzia di servizi letterari Studio 83, «con il proposito di fornire servizi editoriali, discutere di letteratura, recensire libri, scrivere articoli che avessero a che fare con il mondo dell’editoria e degli esordienti»[1].

È autrice di alcuni racconti di fantascienza pubblicati su diverse riviste (tra cui Robot) e antologie; nel 2017 ha vinto il premio Odissea dell’editrice Delos Books con il romanzo Ucronia, pubblicato nel mese di ottobre in edizione cartacea e eBook. Se dovesse scegliere di gettare giù dalla torre Saramago o Camilleri, non sarebbe patriottica, se non in quanto cittadina europea.

Questo post prende in considerazione le seguenti opere di Elena Di Fazio:

  • l’antologia Lezioni sul domani, Delos Digital 2017, ISBN 9788825401684 scritta insieme a Giulia Abbate
  • Il racconto L’ultima milonga contenuto nell’antologia Le Variazioni Gernsback, storie di fantamusica a cura di Walter Catalano, Luca Ortino e Gian Filippo Pizzo, ed. Della Vigna, febbraio 2015, ISBN 9788862761345
  • Il romanzo Ucronia, Delos Digital 2017, ISBN 9788825403459

Lezioni sul domani comprende dodici racconti: sette scritti da Elena Di Fazio, tre da Giulia Abbate e due scritti a quattro mani da entrambe le autrici. Di questi ultimi due mi sono già occupato nella seconda  parte di 1Q83, per cui mi limito qui ai rimanenti, scritti dalla sola Di Fazio.

Il bombarolo è un racconto breve focalizzato su una (de)generazione di virus informatici/biologici che si diffondono nel cervello di individui collegati a una Rete mondiale, fornendo istruzioni segrete in grado di trasformare un essere umano in un micidiale assassino: senza che se ne renda conto, il soggetto infettato compie attentati terroristici dinamitardi che causano vittime. In realtà ci sono stintomi che permettono di rendersi conto della contaminazione da Bombarolo: per esempio, la cancellazione della memoria a lungo termine, oppure il falso ricordo, indotto dal virus, che duri ancora il rapporto personale con qualcuno che non c’è più, come un parente defunto o un coniuge separato. Il racconto è costruito sull’ambiguità narrativa dovuta alla forzosa reticenza della voce narrante: il lettore vede la vicenda attraverso i sensi forse “infetti” del punto-di-vista. I cinque brevi capitoli sono premessi da “Cinque regole per salvarsi dal Bombarolo” pubblicate dal Ministero della Difesa. L’alternanza tra questi brevi apocrifi e il testo narrativo contribuisce all’equilibrio tra reticenza e esigenze della narrazione, che arrivano a coincidere solamente nel finale di questa efficace rivisitazione di un’idea tutto sommato abbastanza comune, affrontata però sulla giusta lunghezza e risolta prima che il lettore abbia tempo di intuire il finale.

Perky Moon è giocato sull’empatia per il “diverso”, che in questo caso è l’androide. Un automa umanoide che occupa un posto nei ricordi della protagonista corre il rischio di essere eliminato per una curiosa incompatibilità di software con una canzonetta di Tinetta Cham, giovane cantante di successo. Il semplice ascolto del diffusissimo hit Perky Moon fa impazzire gli obsoleti robot di generazione SX; si decide pertanto di “ritirarli” per evitare che aggrediscano gli esseri umani. Il racconto è giocato sulla compassione della narratrice verso il “nonno”, che potrebbe anche essere solo nostalgia per l’infanzia in una specie di rito di passaggio. L’idea di una generazione di automi impazzita per un evento esterno ma relativo alla loto natura non è certo originale (pensiamo a Dick), ma il dettaglio della canzonetta che funziona da “istruzione” software possiede una certa suggestione, persino ironica se vogliamo.

Più tradizionale è il plot di Ho toccato il cielo, un racconto che gioca sul tasto del romantico e del patetico per raccontare la fine del mondo da un punto di vista privato. Anche in questo caso l’idea gioca intorno a un sentito nucleo di immagini intorno al quale Di Fazio costruisce una serie di declinazioni interessanti: di nuovo, abbiamo il conflitto/confronto tra biologico e virtuale, con i protagonisti che abbandonano il proprio corpo per fuggire alla sua inevitabile distruzione fisica. La storia si ferma prima di affrontare le implicazioni narrative di una vita esclusivamente virtuale, per concentrarsi sulla nostalgia del reale, e con una delicatezza che non cede mai agli orrori di quella che un tempo si definiva “fantascienza poetica”.

Il racconto migliore fra quelli firmati Di Fazio è lo stesso che dà nome all’antologia, Lezioni sul domani, divertente cavalcata in un 1969 alternativo in cui la corsa della NASA verso la Luna ha anche un secondo fine. In poco più di dieci pagine l’autrice riesce a introdurre una serie di tópoi fantascientifici da fare invidia: viaggi nel tempo, astronautica, reti mentali, fine del mondo. Di Fazio riesce a introdurre alcune “parole d’ordine” che agiscono da attrattori di significato, creando una micro-mitologia che funziona sulla lunghezza di una quindicina di pagine, come nella migliore tradizione dei racconti che fecero scuola grazie all’Isaac Asimov’s SF magazine nel periodo d’oro che seguì la prima, dirompente ondata cyberpunk. Scritto in un autentico stato di grazia, inanella poche brevi scene che trascinano un triangolo di personaggi sorprendenti, in un tour-de-force quasi interamente svolto intorno a un climax così veloce da precedere addirittura l’agnizione. Anche qui, come in altri racconti della raccolta, l’infodump è evitato in parte con l’inserto di titoli di giornale apocrifi, in parte sbriciolando le informazioni (ma solo quella strettamente essenziali) lungo tutto il testo; dal momento che il racconto è davvero ricamato con una narrazione asciutta intorno a un nocciolo di luoghi comuni di genere, rischia probabilmente di frastornare il lettore generalista — ciò nulla toglie al fatto che si tratta di un perfetto racconto di science-fiction, che stende la sua ombra su tutta la raccolta grazie alla scelta del titolo per l’antologia.

Niagara è di nuovo una rapida incursione in quella sorta di fucina d’idee per la fantascienza del nuovo millennio che è il rapporto reale/virtuale, la digitalizzazione dell’esperienza sensoriale; curiosamente, anche questa volta non viene affrontato dal punto di vista della mitografia fantascientifica, bensì da una delle sue numerose potenziali distorsioni — dunque sempre all’interno dello statuto biologico dell’Umano. Di nuovo, la scelta del punto di vista permette a Di Fazio di filtrare al lettore le informazioni nell’ordine strettamente funzionale al détournement di senso, che arriva solo nell’ultimo frammento narrativo: procedimento più che collaudato nel caso di questa autrice, che garantisce effetti narrativi in grado di incidere in profondità nel gusto, e nella memoria letteraria, del lettore, ma che sono tuttavia solo parzialmente adatti a prove di lunghezza maggiore.

Sette contro il mondo è un racconto da tutti i punti di vista inferiore ai precedenti, che ci riconferma attraverso la fallibilità nella nostra certezza che Elena di Fazio sia in fondo un essere umano con tutti i difetti degli scrittori di fantascienza. Anche La guerra è finita soffre di una costruzione meno notevole, forse perché di scrittura precedente, forse per l’argomento tragico che non stimola strutture arzigogolate: è una storia ambientata in un mondo parallelo (o futuro) devastato da una guerra che richiama lo scenario della Eclipse Trilogy di John Shirley, o (in misura minore) la RACHE di Evangelisti.

In L’ultima milonga, racconto contenuto nell’antologia Le Variazioni Gernsback delle Edizioni Della Vigna (e purtroppo non ripreso nella seconda versione della raccolta, ripubblicata su Urania con lo stesso titolo ma con una scaletta molto diversa dalla precedente), Elena Di Fazio si cimenta con una lunghezza superiore a quella dei racconti precedenti. Argomento comune alla raccolta è il rapporto tra musica e fantascienza: l’autrice sceglie come ambientazione un orribile futuro concentrazionario visto però da una milonga, una sala da ballo per la pratica del tango; lo scenario è un Sudamerica invaso e occupato da extraterrestri invincibili soprannominati brujos, stregoni, che si cibano di carne umana. Come nel mito del Minotauro, la scelta delle vittime da consegnare agli invasori è lasciata all’autorità collaborazionista, rappresentata nel racconto dal truce comandante Suárez. Costui impone come criterio di selezione il perverso scherno di autentiche gare di ballo: le coppie ultime classificate vengono trasferite in campi di concentramento e consegnate ai brujos. Protagonista del racconto è Mateo Molina, maestro di tango diventato una sorta di simbolo di opposizione ai collaborazionisti, che si mette in giorno per aiutare una ballerina inesperta. Un paio di colpi di scena che si annullano a vicenda suggellano questo racconto dall’atmosfera cupa e pessimista, con un riscatto nel finale.

Elena Di Fazio compie il grande balzo in avanti, dal racconto al romanzo, con Ucronia. Vincitore del Premio Odissea bandito da Delos Books, questo romanzo recupera il felice nucleo narrativo alla base del precedente racconto Lezioni sul domani: un cataclisma della struttura spaziotemporale ha provocato la Convergenza, cioè una sovrapposizione tra il mondo dell’anno 1968 e quello dell’anno 2051, che si trovano a coesistere forzatamente nello stesso spazio fisico, in una geografia tormentata e dai confini tuttora instabili. Il plot è quasi tutto ambientato in una Roma tagliata in due dalla faglia che serpeggia tra quartiere e quartiere, tra isolato e isolato, talvolta dividendo a metà la medesima abitazione. Il romanzo ha inizio in media res, alcuni mesi dopo la Convergenza. Di Fazio sceglie di non seguire il classico punto di vista “macro”, con personaggi che abbiano la consapevolezza della natura del cataclisma. La trama non insegue cioè una restaurazione dell’originaria integrità del reale, ma sfrutta le possibilità narrative pressoché infinite del paradosso. I suoi personaggi hanno accettato la situazione e si muovono all’interno dei limiti, sia spaziotemporali che narrativi. Di Fazio non cede (perlomeno, fino agli ultimi capitoli) a tentazioni millenaristiche sempre in agguato, soprattutto nelle opere prime, né a un generico pan-umanesimo che dica la parola definitiva sulla Vita o sull’Universo. I suoi personaggi si trovano a nuotare in un mare diverso dal nostro, e vi si adattano senza nostalgia per il Prima.

L’attraversamento della linea di cambiamento temporale (che si riassesta in continuazione di alcuni metri in una direzione nell’altra) è possibile, anche se le autorità tentano di erigere un muro per separare nettamente le due zone. Da alcuni riferimenti, sembra che la Convergenza sia originata da un evento accaduto sul pianeta Marte, le cui risorse naturali cominciano a essere sfruttate intorno alla metà del nostro secolo. Tra i protagonisti vi sono Eva Maia e il marito, il colonnello tedesco Adam Luft che è riuscito a rientrare da Marte con l’ultimo volo dell’astronave Mao Hsien per trovarsi imprigionato nella Berlino Est del ’68, che applica le proprie leggi sull’espatrio clandestino anche ai cittadini del futuro. Nel tentativo di fuga, sua moglie Eva abortisce il feto che porta in grembo. In seguito, la loro storia si intreccia a Roma con quella di alcuni studenti che hanno promosso un movimento per l’occupazione delle scuole esteso a entrambi i regimi temporali; però anche le polizie utilizzano adesso i medesimi metodi antisommossa del futuro, a partire dall’uso dei droni, e la repressione si abbatte violenta. A complicare ulteriormente l’ambientazione c’è il fatto che la rete che connette tra loro tutti i cervelli del futuro è stata quasi smantellata dalla Convergenza. Per fortuna si è scoperto che una sostanza biologica che secernono i nanuq, goffi animali alieni importati da Marte e riprodottisi a ritmo esponenziale grazie alla partenogenesi (!), è in grado di connettere in qualche modo le menti di chi la assume per via orale, come una sorta di droga.

La trama, ricca di colpi di scena, si dipana intorno a questi punti cardine, sfiorando in continuazione le grandi domande alla base del romanzo: la Convergenza è uno stato definitivo del reale? Cos’è accaduto su Marte? Parecchie sono le invenzioni narrative tra il tragico e il surreale, in un’atmosfera che si fa sempre più cupa con il procedere della linea narrativa, una macchina pressoché perfetta che si mantiene in equilibrio tra sarcasmo e sense of wonder. Una parte consistente della trama si svolge di notte, senza indulgenza per l’estetica cyberpunk, tra continui spostamenti in auto tra la Città Nuova, quella del 2051, e la Città Vecchia del ’69, stridore di pneumatici, vecchie Simca e incidenti stradali. Imperdibili alcune invenzioni narrative, come le gite di massaie verso un futuro di vertigine consumista, con elettrodomestici inimmasginabili e silenziosi, oppure i grassi nanuk, goffi cuccioli bistrattati per le preziose lacrime che secernono dagli occhi, brutalmente sfruttati senza alcun retropensiero animalista.

Se il futuro è l’universo del consumismo capitalista, il passato invece esporta due sogni di natura molto diversa: la rivolta degli studenti e la conquista della Luna. Scrive Di Fazio nei Ringraziamenti in coda al libro: «Erano gli anni Sessanta e una generazione poco più che adolescente si sollevò oltre i confini politici e culturali per gridare a alta voce che un altro mondo è possibile.» Ma il futuro è già avvenuto, è ormai alle spalle della linea narrativa principale, la rivolta si è esaurita nel consumismo, e il sentito omaggio di Di Fazio a un tempo in cui eravamo innocenti di futuro è una battaglia sentimentale di retroguardia. Non si può cambiare il futuro, e in Ucronia non si può cambiare il passato, come scopre Adam Luft quando in un disperato tentativo di evitare la Convergenza acquisisce il potere di viaggiare nel tempo.

Il lettore si immedesima naturalmente nel personaggio Eva, il più positivo, ma un’analisi del testo evidenza che la trama è costruita intorno a suo marito Adam: la centralità di Adam Luft diventa infatti evidente se si applica alla trama il quadrato delle opposizioni, ovvero il “quadrato semiotico” proposto da Algirdas Greimas, che serve a rivelare il livello degli elementi fondamentali di un testo, la sua struttura profonda: e mi sembra bello che la sua formulazione risalga — guarda caso — al 1968.[2]

La parte che segue in carattere grigio contiene uno spoiler; chi non ha ancora letto il romanzo può saltare il testo, se non vuole venire a conoscenza di elementi fondamentali che potrebbero guastare il piacere della prima lettura.

Il quadrato semiotico è una derivazione dal quadrato delle opposizioni di Aristotele, che pone ai vertici superiori di un poligono due termini contrari uno all’altro, a sinistra l’essere, a destra il sembrare; per questa ragione ho posto nel primo il Patriarca e nel secondo Adam Luft. I due termini sono legati da connessioni di contraddizione (in diagonale) con i vertici inferiori del quadrato, in basso a sinistra non sembrare e in basso a destra non essere. Il quadrato semiotico si può quindi leggere così: il Patriarca sembra Adam Luft, ma non è umano; Luft è il Patriarca ma non sembra alieno. Sui due lati abbiamo invece relazioni subalterne tra i quattro termini, presi a due a due in verticale. Si legga infine il quadrato con l’interpretazione delle funzioni date da Greimas: nell’ambito del Segreto (sinistra verticale), «il Patriarca è un alieno», in quello della Menzogna (destra verticale), «Adam Luft è umano», ovviamente nel Falso (orizzontale inferiore) «l’alieno è umano», infine nel vero (orizzontale superiore) «Adam Luft è il Patriarca».

Ecco che tutto ruota intorno all’identità di Adam, in questo romanzo che trovo il più geniale e divertente pubblicato nel mondo della fantascienza italiana da diversi anni a questa parte.

Le immagini originali di questo post sono di © Aykut Aydoğdu, Istanbul

[1] In Radio – Intervista a Studio 83, luglio 2010, da “Il blog si Studio 83”

[2] Originariamente in A. Greimas e F. Rastier, The interaction of the semiotic contraints, Yale French Studies n. 41, 1968

Un pensiero su “Il premio Urania a Elena Di Fazio

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