La lettura del romanzo premio Urania 2020 mi ha fatto suonare un campanello d’allarme nel cervello. “Attenzione, la distopia è alla frutta!” dice; allora io mi metto alla tastiera, mi faccio un caffè e cerco di spiegare perché.
“Il pugno dell’uomo” (il titolo di lavoro con il quale ha partecipato al premio è “Per sempre i giorni”) è una allegoria della nascita del nazismo in Germania; al posto del Partito c’è il Pugno dell’Uomo, un movimento razzista e violento alla cui guida c’è lo spietato Ian Derrick, uscito più o meno dal nulla come Adolf Hitler, e al posto degli ebrei ci sono le minoranze appartenenti a tre razze non umane che coabitano la Città insieme ai discendenti di un’astronave giunta dalla Terra a un pianeta alieno. La Città è un’entità statale edificata su una serie di rilievi presso la costa di un mare; gli unici altri insediamenti abitati sul pianeta sono comunità che vivono in costellazioni galleggianti sull’acqua, discendenti di fuoriusciti che hanno optato per una società anarcoide, o comunque governata da regole meno articolate.
Del Popolo Riolo fornisce scarse descrizioni della Città, dove altri autori avrebbero al contrario approfittato dell’occasione per dettagli ridondanti, come etnologia e (nei casi più incurabili) persino linguistica — oppure quel pozzo di luoghi comuni fantasy rappresentato dalle descrizioni del bar/locanda/osteria nel quale prima o poi i protagonisti devono entrare. Nella Città ci sono le zone alte, dove vive la classe media e soprattutto i patrizi, e ci sono le Fosse dove la legalità rimane in sospeso, e l’ordine è mantenuto da organizzazioni che gestiscono anche il malaffare. L’atmosfera è debitrice nei confronti dello steampunk, con cavalli meccanici e computer a vapore. Il governo ha la forma politica della signoria rinascimentale, il primato si trasmette tra le discendenti della comandante dell’astronave giunta dalla Terra: se non in linea retta, la carica di Sindaca a vita spetta a una donna proveniente dalla Famiglia Anderson-Brown. Il romanzo ha inizio con la morte di una Sindaca, donna Ginevra, e la “elezione” della successiva, donna Alexandra; il passaggio di poteri avviene in concomitanza con una doppia crisi: una pandemia altamente contagiosa e apparentemente inarrestabile, che porta alla morte in soli tre giorni di decorso (magnifica anticipazione della pandemia da coronavirus in cui ci troviamo immersi nel momento in cui scrivo), e che nata nelle Fosse si diffonde anche nella città alta, e la rapida fortuna di un’organizzazione xenofoba e violenta, il Pugno dell’Uomo, guidata da un demagogo plebeo, Derrick, il quale sembra in grado di manipolare la volontà altrui tramite una personalità magnetica, o forse poteri super-omistici.
Diversi filoni narrativi si intrecciano nella narrazione, con una serie di personaggi che si passano a rotazione il punto-di-vista.
Al termine della lettura il mio primo pensiero è stato di sollievo; non per avere terminato il libro, ovviamente, ma perché la storia di Del Popolo Riolo non è impostata intorno a quella che io chiamo “pallida rivoluzione”, e che rappresenta il massimo di elaborazione politica dell’autore-tipo italiano di fantascienza: una società distopica (naturalmente) schiacciata sotto il tallone di ferro di una dittatura che non sta né in cielo né in terra, che non si regge su un blocco sociale più o meno ristretto bensì su una tecnologia pervasiva; una cittadinanza dominata dall’ignavia, o dalla rassegnazione; infine, l’iniziativa individuale di un Eroe che si oppone al sistema prima per casualità, poi per volontà esplicita, e riesce a avere ragione della dittatura grazie al coraggio e alla fortuna, senza cercare di sollevare le masse, talvolta con l’aiuto di una limitata selezione di aiutanti che agiscono come individui, anziché come parti di un’organizzazione. Il prototipo di queste rivoluzioni è il film Matrix delle sorelle Wachowski, per intendersi.
A questo punto devo avvertire i lettori che, pur senza raccontare nei dettagli la trama, la parte che segue contiene spoiler; se non gradite qualche rivelazione anticipata, evitate di proseguire nella lettura del post.
Una considerazione preliminare: ho letto questo romanzo con un piacere nettamente superiore alla maggior parte dei precedenti Premi Urania (non li ho letti tutti, forse meno di metà dei vincitori). Ciò non significa che io lo consideri esente da pecche; cercherò comunque di esporre le mie considerazioni in modo il più possibile “asettico”, sperando di evitare le trappole del mio gusto personale. Non mi interessa misurare quanta fantascienza contenga Il pugno dell’uomo, né chi ce l’abbia più lungo, per cui cercherò di trattare il libro come se non fosse pubblicato su Urania.
Prima considerazione. I personaggi funzionano. Sono credibili, interessanti, talvolta imprevedibili (questo è un complimento), adeguati alle sfide che devo affrontare. Al contrario, il dialoghi non funzionano. I dialoghi sono la caratteristica che più avvicina Il pugno dell’uomo alla qualità media della fantascienza italiana (questo invece non è un complimento). Talvolta sono dialoghi statici, altre volte prolissi, sempre esauriscono una comunicazione tra personaggi che potrebbe passare attraverso gli strumenti propri del punto-di-vista, come un gesto, un’impressione, un ricordo.
Seconda considerazione. La scrittura di Del Popolo Riolo non è mai splatter, le azioni dei protagonisti sono realistiche, le reazioni conseguenti al carattere del personaggio. Tuttavia, occorre quantomeno sottolineare un aspetto piuttosto inconsueto per un romanzo d’avventura, che secondo me è una mancanza non veniale: alcuni dei principali turning point della storia avvengono fuori scena: certo, l’incipit comincia dopo la morte di donna Ginevra, ma almeno quattro passaggi cruciali vengono raccontati a posteriori anziché messi in scena davanti agli occhi del lettore:
1 La morte di donna Alexandra;
2 l’assassinio di Deirdre;
3 l’attentato contro Derrick;
4 infine, la caduta del regime del Pugno dell’Uomo; la Parte Terza infatti è ambientata vent’anni dopo le prime due, ma non racconta la dissoluzione della dittatura, bensì un momento successivo, in cui si ricapitolano a posteriori avvenimenti cruciali.
Voglio sottolineare questo aspetto: perché se il quarto punto può essere esteticamente accettabile, non vedo una giustificazione strutturale sufficiente per le prime tre elusioni. Faccio un esempio: l’opera di fantascienza che più mi ha ricordato strutturalmente questo romanzo è la Trilogia di Eclipse di John Shirley, perché personaggi delle due parti in lotta, che hanno in entrambi i casi la funzione di protagonisti, vengono eliminati nel corso degli eventi.
Se come lettore trovo cioè spiazzante che Alex scompaia dopo alcuni capitoli, e Deirdre (provvisoriamente) a metà libro, e ancora Derrick (sempre provvisoriamente) all’inizio della terza parte, potrei tuttavia trovare esteticamente giustificato questo sacrificio di immaginazione emotiva se avvenisse nel corso di una catarsi, cioè una scena madre, un punto di svolta importante nel quale le forze in campo si confrontano direttamente. Questo è ciò che avviene in Eclipse, mentre viene eluso nel Pugno dell’uomo.
Ultima considerazione. Nella terza parte tutto si fa confuso. Non mi riferisco all’azione in scena, ma alle ideologie rappresentate dalle forze in campo; cosa rappresenta Ekaterina? Una restaurazione patrizia o monarchica? Quali sono le prospettive di quella coalizione che si è insinuata nel vuoto di potere, le “costellazioni”, che possiede una dimensione collettiva, democratica e multietnica che è tra le caratteristiche più originali, meno omologate del romanzo? L’autore ha evitato la trappola onnivora della distopia (che è alla frutta, come dicevo all’inizio), e questo vale parecchi punti di merito, ma certe convenzioni estetiche non possono essere violate.
L’ultima pagina porta in scena una rivelazione forse superflua sull’origine della civiltà importata sul pianeta, ma lascia in sospeso la conclusione narrativa: e questo aspetto è in controtendenza rispetto a forme del romanzo contemporaneo che chiudono la narrazione, lasciando aperta la vicenda. Qui al contrario la vicenda sembra terminata, e la storia no.
Mi spiego: il conflitto intorno al quale si costruisce la trama è tra demagogia violenta/razzismo e democrazia/multiculturalismo; questa contrapposizione si esplicita in personaggi e avvenimenti, però mentre in un romanzo contemporaneo il conflitto risulterebbe alla fine narrativamente risolto, magari lasciando in sospeso il destino dei personaggi, qui entrambi gli aspetti rimangono aperti. Il nazismo è collassato, la Città è militarmente occupata come la Germania nel dopo guerra, ma qual è la forza che l’ha schiantato? È interna agli equilibri sociali della città o esterna? Chi ha prevalso nel conflitto, insomma?
Non voglio dare l’impressione di non aver apprezzato Il pugno dell’uomo. Se mi sono impegnato a analizzarne alcuni aspetti, è perché lo considero una tra le opere più originali nella fantascienza italiana di questi anni.