Il 27 febbraio 2020 esce in libreria Storie di Berlino, Odoya edizioni: il quarto libro che ho dedicato a una città, alla sua letteratura, al suo cinema e alla sua musica.
Nei miei sogni notturni sono stato spesso a Berlino. Non nella Berlino reale, ma in una sua rappresentazione scenica: una città sconfinata, opprimente, con fuligginosi edifici monumentali, campanili e statue. Io vago nel traffico che scorre incessante, tutto è ignoto e al contempo familiare. Provo terrore e piacere, e so piuttosto bene dove sono diretto: sto cercando il quartiere al di là dei ponti, quella parte della città dove accadrà qualcosa. Scendo per un ripido pendio, un aeroplano minaccioso vola tra le case, finalmente arrivo al fiume. Dall’acqua che straripa sul marciapiede sollevano con un argano un cavallo morto, grande quanto una balena.
La curiosità e il terrore mi spingono avanti, devo arrivare in tempo alle esecuzioni pubbliche. Incontro allora mia moglie morta, ci abbracciamo con tenerezza e cerchiamo una stanza d’albergo dove poter fare l’amore. Lei cammina al mio fianco con passi veloci e leggeri, io le tengo una mano sul fianco. La via è fortemente illuminata nonostante il sole ardente. Il cielo è nero e si muove stridendo. Ora so d’essere finalmente arrivato al quartiere proibito. Lì si trova il Teatro con la messinscena incomprensibile.
Ingmar Bergman, Lanterna Magica
Parigi e Berlino sono le città che più hanno sofferto di protagonismo nel secolo scorso in Europa; la politica, la scienza e l’arte hanno trovato terreno fertile nelle due capitali tradizionalmente nemiche, impegnate in tre devastanti confronti militari nell’arco di 75 anni: mentre il primo era però limitato a un confronto diretto, conclusosi con la nascita della Germania in quanto Stato (tra l’altro, dieci anni dopo la riunificazione italiana), i due successivi furono conflitti di portata mondiale. L’ultimo, anzi, è stato il più devastante e sanguinoso nella storia delle civiltà terrestri.
La responsabilità della Germania nella Seconda guerra mondiale fece sì che le conseguenze della rovinosa sconfitta e dell’occupazione straniera proseguissero per altri 35 anni, e Berlino era l’epicentro di una serie di azioni e reazioni trascinatesi per quasi un secolo. La città spopolata, mortalmente ferita e divisa in due, divenne il fulcro della guerra a bassa intensità tra Nato e Patto di Varsavia, la cosiddetta guerra fredda. Nel 1924 Berlino aveva 4.024.165 abitanti, nel 2018 soltanto 3.552,123; comunque mezzo milione in più rispetto agli anni del “cielo diviso”, efficace espressione di Christa Wolf, quando poco meno di due terzi vivevano nella cosiddetta Berlino Ovest e poco più di un terzo a Berlino Est.
A Berlino non si può sfuggire dal passato; ed è la città stessa che per prima non lo vuole, per fortuna. Una semplice camminata nelle vie dei distretti centrali, e ecco che quasi a ogni angolo si inciampa in reliquie che ci ricordano il passato prossimo — ottanta, novanta anni intendo. Molti monumenti, edifici e musei prolungano la memoria della criminale dittatura nazista e dell’insensato, paranoico totalitarismo comunista. Un percorso spezzato e irregolare separava la zona d’occupazione sovietica da quelle di Francia, Gran Bretagna e Usa, percorso sul quale le autorità della Ddr (Deutsche Demokratische Republik, la Repubblica democratica tedesca spesso definita semplicemente Germania Est) costruirono l’infame Muro, metafora della mortale divisione fra democrazie capitaliste e paesi del socialismo reale. Oggi il tragitto del Muro è segnalato da una doppia fila di pietre conficcate nel selciato, nell’asfalto, nei marciapiedi, attraverso i parchi, in cui sono inserite targhe di metallo con la scritta Berliner Mauer 1961-1989, le date di edificazione e smantellamento.
Su questo elemento di memoria dolente, che salta gli occhi al viaggiatore in maniera a volte inattesa, se ne innesta un secondo, a sua volta impossibile da dimenticare: il fatto cioè che prima della crisi economica degli anni Venti, esiziale per qualsiasi giovane democrazia, la Germania viveva una grande stagione culturale con scrittori di fama mondiale, registri e attori che inventarono un Cinema nuovo e furono poi tra i grandi che crearono il mito di Hollywood, filosofi che stamparono la loro orma nella storia del pensiero, urbanisti che rifondarono l’architettura moderna, scienziati che crearono dal nulla la fisica delle particelle, compositori che lasciarono pagine indimenticabili nella musica contemporanea, sollevandosi sulle spalle di giganti come Bach, Beethoven, Mozart.
Com’è potuto accadere? si domandarono in molti. Come ha potuto la nazione di Albert Einstein, Thomas Mann, Walter Gropius, Käthe Kollwitz trasformarsi nella dittatura dell’irrazionale, nella culla della ferocia razziale, nel luogo in cui tutta la forza della tecnica industriale venne messa al servizio del genocidio? il paese la cui politica culturale è riassunta nello slogan “Quando sento la parola Cultura metto mano alla pistola” attribuito al Ministro della propaganda Josef Goebbels — e poco importa che egli l’abbia sottratta a chi la diffuse per primo, Baldur von Schirach, fondatore della Hitler-Jugend, il quale a sua volta l’aveva presa “in prestito” da un testo del commediografo nazista Hanns Johst, Schlageter, rappresentato per la prima volta nell’aprile del ’33:
Wenn ich Kultur höre … entsichere ich meinen Browning
Ogni volta che sento la parola cultura… rilascio la sicura della mia Browning. Tra l’altro, Berlino è una tra le città tedesche che più hanno resistito ai nazisti: alle elezioni amministrative del 12 marzo 1933, oltre un mese e mezzo dopo che Hitler era stato nominato cancelliere, i nazionalsocialisti presero soltanto il 38% dei voti.
Il libro che avete in mano, che si occupa come i precedenti (Parigi, Venezia, Torino) di luoghi e storie del Cinema, della Musica e della Letteratura, non ha certo l’ambizione di trovare una risposta a questa domanda; eppure ci sono parole, nei libri scritti da chi si trovò a vivere sulla propria pelle la stagione crudele, che possono metterci nella predisposizione mentale per farci un’opinione di come sia stata possibile la più grande tragedia della Storia, in uno dei paesi socialmente e culturalmente più avanzati.
Era una città splendida, viva, con milioni di abitanti che lavoravano, producevano e si organizzavano la vita con quella perfezione di cui sono capaci i tedeschi. Una città ricca con strade sempre illuminate a giorno, vetrine fastose e gente elegante che passeggiava per il Kurfürstendamm o Unter den Linden. Gente che affollava i ristoranti, i caffè, i cinematografi, i teatri e le sale da concerto. Gente che strepitava dentro al Palazzo Titania assistendo ai tanti avvenimenti sportivi. Gente che amava, che si sposava, aveva dei figli e li cresceva con sani principi. Una città moderna, dotata di un’efficiente sotterranea e di un’altrettanto funzionale sopraelevata.
Helga Schneider, Il rogo di Berlino
Come ogni città capitale, anche Berlino è lo scenario di innumerevoli opere letterarie e cinematografiche, e luogo privilegiato da molti musicisti; forse per la rapidità con cui si è conquistata un posto nella storia europea, o forse per la sua tragica nel Novecento, Berlino ha suscitato anche l’interesse di scrittori e registi stranieri — io stesso ho pubblicato due romanzi parzialmente ambientati qui — da Christopher Isherwood a Roberto Rossellini, da Thomas Pynchon a Ingmar Bergman, e così via; e negli itinerari che seguono ne incontreremo molti.
Volendo individuare dei nuclei di aggregazione tematica, o temporale, è possibile circoscrivere tre periodi in queste che ho voluto chiamare Storie: l’inizio del Novecento, con qualche Storia ambientata anche in precedenza (la più lontana a metà Settecento), quindi Berlino capitale recente, imbevuta di cultura mitteleuropea con una forte componente ebraica; il periodo nazionalsocialista, solo dodici anni in un intero secolo, ma terribilmente importanti per un libro su Berlino; infine, il secondo dopoguerra, la città divisa, la frontiera della guerra fredda.
Anche questo viaggio tra le meravigliose Storie di Berlino, come i tre che l’hanno preceduto, nasce all’incrocio tra la città della mia immaginazione, fondata su libri, film e musica, e quella reale che ho percorso a piedi per cinque lunghe, suggestive camminate, nella prima metà del mese di settembre, che mi hanno permesso di vedere, fotografare e respirare le strade, i viali, gli edifici, le acque, i parchi e le zone ancora libere da costruzioni, soprattutto dove il Muro spaccava in due il suo cuore.