Riprendo qui la mia recensione del romanzo di Uwe Timm già apparsa su Pulp Libri
Con questo romanzo di Uwe Timm continua la breve selezione di opere pubblicate da Sellerio sulla fine del nazismo, scritte da autori tedeschi, che parlano anche dell’opposizione interna al regime, o si interrogano su una mancanza di opposizione. A parte la riedizione di E adesso, pover’uomo? Di Hans Fallada, già tradotto nel 1950 per Mondadori, la “quadrilogia” alla quale mi riferisco inizia nel 2010 con Ognuno muore solo (Jeder stirbt für sich allein, 1947), sempre di Fallada, che Primo Levi giudicò, dopo averlo letto nella prima traduzione Einaudi del 1950, «Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo». Il secondo libro cui mi riferisco, pubblicato nel 2017, è Berlino ultimo atto di Heinz Rein (Finale Berlin, 1946), anche questo apparso originariamente subito dopo la guerra, quando l’editoria tedesca pubblicava i primi testi critici verso il nazismo. Benché pressoché contemporanee, le due opere hanno una genesi molto diversa: il libro di Fallada, scritto di getto in nosocomio, durante le ultime settimane di vita dell’autore, racconta un tentativo di resistenza “privata” da parte di una coppia di mezz’età il cui figlio è morto in battaglia, nei primi giorni di guerra contro la Francia. Persa ogni fiducia in Hitler, i due scrivono e abbandonano di nascosto cartoline critiche contro il nazismo in luoghi pubblici dove possono essere facilmente ritrovare e “fatte circolare”.
Il lungo testo di Rein, scritto quando le rovine di Berlino sono ancora fumanti, riflette le teorizzazioni della Lega degli scrittori proletari rivoluzionari, il cui manifesto nel 1928 aveva propugnato una “letteratura dal basso”, quindi a portata delle masse: il monumentale romanzo è un testo scorrevole, popolare, che intreccia le vite di personaggi non particolarmente caratterizzati dal punto di vista psicologico, durante le ultime due settimane di vita del regime nazionalsocialista, quando l’Armata Rossa circonda e espugna Berlino. È un notevole documento che si lascia andare a considerazioni sulla natura del nazismo, e sulla fascinazione esercitata da un regime criminale su un intero popolo.
Il terzo romanzo che ho individuato è Tutto per nulla (Alles umsonst, 2006) pubblicato nel 2018, ambientato nell’ultimo inverno di guerra in Prussia Orientale; l’autore, Walter Kempowski (1929-2007), nel dopoguerra ha scontato otto anni di prigione in Germania Est per spionaggio a favore delle truppe d’occupazione americane.
Infine, Un mondo migliore di Uwe Timm non è l’opera di un testimone diretto, come i primi tre romanzi, perché l’autore aveva solo cinque anni all’epoca dei fatti, ed è il più recente dei quattro, apparso nel 1917 in Germania. La trama sembra una via di mezzo tra Autunno tedesco di Stig Dagerman e L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon — con i dovuti distinguo, ovviamente. Nel maggio del ’45 Michael Hansen, un tedesco naturalizzato americano (giunto negli USA all’età di 12 anni con la famiglia), arriva in Germania a seguito dell’esercito alleato. I suo superiori lo incaricano di scoprire più cose possibile sul professor Alfred Ploetz, campione dell’eugenetica nazista, che prima della guerra è arrivato vicino a vincere il Nobel: «Che cosa spinge davvero la gente, da dove viene questa ossessione scientifica per il miglioramento e al tempo stesso quest’idea di regolamentare, eliminare chi esula dalla norma, chi non funziona, tutte cose che certamente si trovano anche da noi in America, ma come hanno fatto qui in questo paese ad arrivare a un tal livello di perfezione omicida? Questa mescolanza di follia medievale e razionalismo tecnologico.»
Siccome non può più mettere alle strette lo scienziato, morto cinque anni prima, Hansen interroga a più riprese il suo migliore amico, il socialdemocratico Karl Wagner, ottantenne che ha vissuto in clandestinità a Monaco di Baviera per dieci anni nel timore di essere arrestato e tradotto in campo di concentramento.
Malgrado gli opposti ruoli nella scala sociale, Wagner e Ploetz non hanno mai smesso di frequentarsi, anche grazie a una donna, che tutti chiamano la Greca, un’artista che dopo essere stata corteggiata dal primo ha sposato il secondo. L’aspetto che più stupisce Hansen e i suoi superiori è l’evoluzione di Ploetz da comunista radicale, seguace delle teorie del francese Étienne Cabet, a alfiere del razzismo genetico.
Il romanzo è costruito a capitoli alterni: quelli più lunghi sono la trascrizione delle lunghe sedute di interrogatorio di Wagner, che si protraggono per 14 giorni; i più brevi raccontano invece l’esperienza di Hansen a Monaco e dintorni, dalla fine della guerra e fino ad agosto, i suoi rapporti con i tedeschi vinti, le riflessioni sul paese in ginocchio e sul nazismo, le relazioni con le donne che cercano nei militari dell’esercito occupante qualche comfort dopo anni di razionamento e privazioni.
Le sedute d’interrogatorio con Wagner si trasformano in un riassunto di mezzo secolo di storia dei movimenti utopisti in Germania, con molte divagazioni su come si sia scivolati da “una nazione industrializzata con una classe lavoratrice politicamente cosciente e organizzata” alla barbarie medioevale del nazionalsocialismo. Il racconto inizia a fine Ottocento, quando Ploetz e Wagner si recano in America del Nord per visitare le colonie icariane, fondate dai seguaci di Cabet.
Poiché la storia dei movimenti comunisti pre-marxisti è oggi archeologia politica, Uwe Timm fa in modo che le interviste di Hansen riportino alla memoria anche quel frammento di storia del socialismo.
Nel 1840 l’ex deputato francese Étienne Cabet scrive un lungo pamphlet utopistico, Voyage en Icarie, che per due anni circola in forma clandestina e viene stampato nel ’42 come “romanzo filosofico”. Con il pretesto di narrare un viaggio nell’isola greca di Icaria, vicino alle coste turche, Cabet racconta la realizzazione pratica di una società comunista, senza proprietà né classi, lontana dai programmi massimalisti che dall’89 avevano caratterizzato il socialismo fino al regno di Luigi Filippo, attraverso Babeuf e il conte di Saint-Simon. Cabet è tra l’altro il primo al mondo a usare la parola “comunismo” in riferimento a un partito politico.
Wagner racconta dunque il viaggio in America, dove i due si scontrano con la realtà pratica delle colonie icariane, che ospitano in stati del Midwest migliaia di emigrati dall’Europa, L’ideale è costruire una società senza classi, che indichi al mondo “esterno” la via nonviolenta al socialismo — un socialismo tra l’altro con forti venature di Nuovo Testamento. I due trovano in realtà una realtà divisa e austera, assorbita dai problemi della produzione agricola, con un processo decisionale scarsamente democratico, dal momento che le donne neppure hanno diritto di voto in assemblea.
Al rientro dall’esperienza americana, le strade dei due amici cominciano a divergere: Wagner rimarrà sempre fedele al radicalismo politico, alla democrazia integrale, appoggerà la Repubblica dei Consigli nata dalla rivoluzione a Monaco di Baviera, che sarà schiacciata dal governo socialdemocratico con l’utilizzo dei freikorps armati dagli industriali, sarà incarcerato sotto il nazismo, costretto alla clandestinità per salvarsi la vita. Ploetz invece studia Medicina; partendo dalle teorie evoluzioniste sul miglioramento della razza approderà all’eugenetica, perseguita negli anni ’20 e ’30 anche dai governi socialdemocratici scandinavi, e finirà come campione delle teorie razziste del Reich — peraltro, senza mai levare la sua protezione a Wagner.
Con la fine dell’estate ‘45, ha termine anche l’incarico di Hansen, che da qualche tempo già sentiva l’inutilità del proprio lavoro: eliminato il pericolo nazista, ottenuta la resa del Giappone con il lancio di due bombe atomiche, i suoi superiori perdono interesse per l’eugenetica di Ploetz, e sembrano più interessati all’eventuale appartenenza di Wagner a un’organizzazione comunista.
La guerra mondiale è finita; dietro l’angolo c’è già la guerra fredda.
Uwe Timm, UN MONDO MIGLIORE
(Ikarien, 2017, traduzione di Matteo Galli)
520 pagg. € 15,00, Sellerio 2019